Realtà Virtuale e sviluppo sostenibile 2030: è stato questo l’obiettivo e il fil rouge che ha attraversato la scelta editoriale ed artistica del VRE20, di cui ci siamo occupati in una serie di post dedicati con approfondimenti sugli approcci più innovativi delle tecnologie immersive in ogni settore umano.
Uno dei temi cardine di discussione è stato costituito dalle Digital Humanities (vedi anche il post Etica e Tecnologie Emergenti. Una conversazione con Gilberto Corbellini e Nicola Gasbarro): in particolare, durante una talk realizzata durante il Festival sono state raccolte le esperienze e i percorsi professionali di tre donne che, guidate da Luciana Maci, Giornalista tecnologico esperta in digital innovation, hanno proposto il loro punto di vista sulla tematica; un contributo reso ancora più ricco dalle differenti esperienze delle protagoniste. Con lei Gianna Martinengo, Fondatrice e Presidente di DKTS la prima “Web knowledge company” italiana, Maria Eugenia D’Aquino, Direttore artistico TeatroInMatematica – ScienzaInScena, Valeria Cagnina, Co-Founder and Mentor OFpassiON. L’incontro è disponibile sul canale VRE di You Tube.
A chiusura di questo percorso, abbiamo quindi chiesto un commento finale a Mariangela Matarozzo, Fondatrice e Direttore Artistico di VRE, che, dopo aver realizzato un festival visionario dedicato al Mashup, remix e cinema sperimentale (MashRome Film Fest 2012-2014), nel 2017, intuendo che le tecnologie immersive avrebbero giocato un ruolo via via sempre più importante, ha ideato questo nuovo festival, interamente dedicato al mondo delle tecnologie immersive.
Voglio sottolineare con orgoglio che lo staff che ha permesso la realizzazione di VRE è caratterizzato da una forte presenza femminile. Grazie al lavoro di un gruppo di donne: oltre a me, laureata in antropologia, Serena Bernardelli e Marina Massaro con una laurea magistrale in comunicazione, Lorenza Somogyi Bianchi, dottoressa in filosofia. Accanto a loro tante altre donne; ognuna con un proprio portato di competenze, capacità e vissuto ma tutte con in comune una solida formazione umanistica e una grande passione per la tecnologia e l’innovazione.
Ognuna è portatrice di pezzi della sua vita, di scelte, di curiosità, di approcci, di passioni ed interessi. È un fluire continuo di energie e vivacità intellettuale, di elaborazioni e di progettualità: una fucina di idee in cui dialogano le nostre diversità fino a dare vita a progetti originali ed “utili” e che abbiamo un valore culturale e sociale. Tra questi, VRE, un festival che coniuga cultura, arti e tecnologie.
Non è un caso che i nostri saperi di base siano legati al mondo umanistico. Crediamo, e ne siamo la prova, che questo tipo di struttura conoscitiva si applichi ad ogni tipologia di contenuto e che sia il punto di partenza verso la costruzione di un’archeologia di saperi, di competenze e di valori trasversali. Un’ibridazione, un crossover funzionale al nuovo tipo di umanità, di conoscenze e di economia a cui stiamo andando incontro. La volontà di scoprire nuove modalità di narrazione e di superare i limiti di ciò che è conosciuto ci ha portato naturalmente a guardare all’innovazione e alle tecnologie immersive. Siamo convinte che questo tipo di tecnologie confluiranno, in futuro, in un vero e proprio linguaggio transmediale capace di oltrepassare i confini tra le arti, costituendosi come linguaggio altro, profondamente ibrido e altamente coinvolgente.
La nostra attenzione come donne e professioniste è rivolta dunque ad una sempre maggiore conoscenza, condivisione e diffusione di questo tipo di tecnologie ma senza tralasciare il confronto con tematiche di interesse generale. VRE, infatti, aderisce a molti degli obiettivi di sviluppo sostenibile contenuti nell’Agenda 2030, obiettivi che orientano la pianificazione delle nostre attività e la scelta del concept stesso del festival. Uno dei temi a cui siamo particolarmente legate è quello dell’inclusione sociale e della parità di genere che ci tocca da vicino in quanto individui storicamente soggetti a varie forme di discriminazione.
Abbiamo incluso nella nostra selezione diverse opere sulla condizione femminile e un Focus On, Woman in VR, che hanno lo scopo di sensibilizzare il pubblico di ogni età rispetto ai diversi tipi di discriminazione cui sono soggette le donne: dalle situazioni a volte disperate, ingiuste, senza uscita di donne che vivono in paesi lontani dal nostro, fino alla disparità di trattamento di cui noi, donne occidentali, libere, indipendenti, siamo costantemente vittima: Gap retributivo, mancanza di servizi adeguati, discriminazione su base sessuale, stereotipi di genere.
L’impegno per scardinare gli stereotipi di genere parte da ognuno di noi, e anche noi come VRE ci impegniamo a fare la nostra parte; contribuiamo con la nostra preparazione, il nostro entusiasmo e con la nostra capacità di porci come interlocutrici, realizzatrici e professioniste capaci. Con la volontà di mettersi in gioco e puntare su un settore in grande crescita, conquistando passo dopo passo uno spazio importante in un ambiente ancora prettamente maschile.
La nostra lotta per il miglioramento delle condizioni di vita delle donne, in ogni loro aspetto, deve necessariamente partire dall’educazione. Il tipo di scelte che sono state nel compiute, nel corso del tempo, sotto la veste di una educazione alle differenze, poco o niente ha a che fare con la meritocrazia, la parità e il rispetto ma piuttosto con il pregiudizio e l’opportunismo. Numerosi sono gli studi statistici che hanno rilevato una tendenza, perpetuata nel tempo, quanto mai uniforme, nel vedere le donne accedere a livelli di istruzione sempre più alti ma stranamente settoriali. Le caratteristiche appartenenti alle donne e il loro naturale orientamento al sociale, all’educazione, alla comunicazione e alla cura, invece di costituire un valore aggiunto sono diventate dei fastidiosi cordoni entro i quali sono state relegate tutte quelle skills considerate prettamente femminili e un altro recinto è stato costruito per quelle maschili. Così il relegamento ad ambiti opposti e definiti, l’assenza di incoraggiamento nell’intraprendere strade e settori considerati non adatti per il sesso femminile, ha portato alla creazione una vera e propria linea di demarcazione fondamentalmente arbitraria tra quello che sarebbe stato considerato opportuno studiare o meno. La discriminazione, come apprendiamo, si manifesta sin dai banchi di scuola.
L’esistenza di queste tacite regole riguardo l’educazione di donne e uomini ha causato forti squilibri e generato danni, fino ad ora non calcolati, sia per l’economia che per la cultura di intere società. L’instaurazione di un sistema paritario che garantisca le stesse possibilità per tutti sta alla base dello sviluppo integrale di un intero sistema sociale, politico, economico. Ogni risorsa umana, deve avere la possibilità di esprimere il proprio talento e la propria ricchezza nei modi che gli sono più adatti, senza lasciarsi tentare dal cadere in vecchie categorizzazioni che sono state create al solo scopo di svilire, apparentemente, un sesso nei confronti dell’altro. Nella realtà questi rigidi codici di comportamento danneggiano sia gli uomini che le donne, poiché i primi, non avendo la possibilità di entrare in contatto con il diverso, sono privi della possibilità di imparare quelle skills che sono peculiarmente femminili e che attualmente tornano alla ribalta acquisendo un valore inestimabile, un capitale da poter reinvestire in qualsiasi settore.
Abbiamo volutamente lasciato per ultimo uno dei temi fondamentali che fa da cerniera tra tutte le tematiche affrontate nel corso dei vari incontri a cui sono intervenuti personalità di ogni ambito del sapere e della cultura.
Le Digital Humanities contengono in sè un approccio sistemico alla complessità in grado di andare oltre le false dicotomie della divisione dei saperi umanistici da quelli scientifici.
Prendendo in considerazione come indicatore di una estrema unità di pensiero la civiltà greca e come punto di massima specializzazione la civiltà postindustriale e postmoderna, possiamo rintracciare diverse tendenze, orientate da circostanze storiche, correnti filosofiche e vere e proprie dispute teologico-morali. Tutti i movimenti che si sono susseguiti e le categorizzazioni di cui siamo vittime ancora oggi, non sembrano più così tanto dure a morire. In ogni ambito disciplinare è in atto un ripensamento educativo, cognitivo, realizzativo che ha alla sua base una nuova differenziazione rispetto a quella introdotta nel 2006 da Georgette Yakman, creatrice dell’acronimo STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) nell’ottica dell’ampliamento del vecchio paradigma verso una nuova versione integrata, ovvero STEAM (Science, Technology, Engineering, Art and Mathematics) che possa fornire delle competenze ancora più trasversali e capaci di realizzare un nuovo approccio conoscitivo.
Non a caso è stata una donna ad inventarsi l’acronimo che sta rivoluzionando l’architettura dei saperi contemporanei, facendo leva sulle applicazioni pratiche di quest’ultimi e sulle loro modalità di apprendimento.
Questo tipo di paradosso non è infrequente. L’apporto femminile nell’ambito delle nuove tecnologie digitali è infatti qualitativamente rilevante, se non purtroppo quantitativamente. Il mettere al centro le competenze umane ha portato ad una rivalutazione di quelle skills che sono per la maggiore appartenenti al genere femminile: elevata capacità di resistenza alle crisi, grandi capacità di adattamento, orientamento al problem solving e capacità di generare empatia.
La nostra riflessione è una riflessione che non vuole essere esaustiva, ma spunto di discussione e di confronto.
Nel quadro metodologico definito da Mariangela Matarozzo, rilevante è la testimonianza di Cinzia Tedesco una grande vocalist italiana, che ha saputo coniugare la sua formazione scientifica e il suo talento artistico. Oggi è una delle voci più importanti del panorama jazz a livello internazionale, a cui abbiamo chiesto in che misura si fondono arte e scienza nella tua formazione accademica ed ora in quella professionale.
Arte e scienza si compenetrano e sono cardini indissolubili della mia formazione umana e professionale. Studiare chitarra classica e laurearmi in Informatica sono stati momenti di vita in apparenza molto lontani ma in sostanza vicinissimi. Lo studio della musica, così come quello di materie scientifiche, richiede rigore, organizzazione ed una attitudine a ragionare in termini matematici, ma anche curiosità, pensiero laterale, interpretazione di quanto studiato per poi andare oltre, utilizzando quanto assorbito per ‘creare un nuovo approccio’, una ‘terza via’ che è ‘la propria’. L’artista, così come lo scienziato o il tecnologo, sono protagonisti di atti cognitivi basati su ragione ed intuizione, dove per me l’una e l’altra hanno pari dignità. Non ho mai sentito distanti i due mondi che da sempre costituiscono il mio essere donna, artista, persona e elemento vitale della società civile.
Matematica e musica, poi, sono intimamente interconnessi, come scoprì Pitagora che intuì l’esistenza di rapporti numerici tra le frequenze musicali, ed anche i testi che canto non sono affatto svincolati da un insieme di regole metriche proprie della poesia. La musica che propongo è suonata con strumenti acustici e raramente inserisco l’elettronica nelle mie proposte musicali, però i musicisti registrano utilizzando computer, programmi di ingegneria del suono che sono da supporto anche in fase di missaggio dei suoni e mastering del disco che realizziamo. La musica esce però dal numero e si propaga nell’aria, diventando un elemento dell’ambiente che ci circonda, entrando in contatto con corpi, menti e cuori. Che sia prodotta da uno strumento o che esca dalle casse acustiche di uno stereo o di un computer, la musica è viva e tocca le corde profonde della nostra emotività.
Da vocalist non posso che definirmi a tutti gli effetti un ‘corpo sonoro’ che vibra ed emette suoni, muovendosi tra regole e improvvisazione, misura e guizzo creativo, spartito e interpretazione, mente e cuore. Sono convinta che il trovare una propria dimensione e unicità come artista non possa prescindere dal sintonizzare i due mondi, quello artistico e quello tecnico, dal metterli in equilibrio in modo originale, proprio, sentito e vero, senza scantonare da un percorso di studio e di ricerca emotiva che è lungo e spesso in salita. Oggi un artista non può non entrare nel mondo della tecnologia ed avere competenze trasversali, perché con la tecnologia l’artista forma ‘il suono del suo prodotto sonoro’, quel particolare disco che lo rappresenta e lo identifica nel mare sconfinato delle proposte musicali.
Personalmente cerco di ‘usare la tecnologia’ e non farmi condizionare o peggio ‘violentare’ da essa. Credo si possa facilmente cadere nella trappola del ‘computer che crea’ piuttosto che del ‘computer che supporta la creazione’, e che non si debba mai smettere di creare in analogico quello che il digitale consentirà di trasformare in un prodotto fruibile all’istante in tutto il mondo. Nei miei ultimi due dischi prodotti da Sony Classica (Verdi’s Mood – 2016; Mister Puccini in Jazz – Lecce – 2020) ho unito tradizione e futuro, jazz e melodie universalmente note, per creare un qualcosa di originale ed unico, usando la tecnologia come mezzo di assemblaggio di suoni strumentali che emergono da musicisti non solo tecnicamente forti ma anche emotivamente coinvolti e coinvolgenti.
Devo ammettere che sebbene io sia un Informatico, credo fermamente che ‘il cuore comanda’, per cui le mie proposte musicali vivono dell’emozione che provo nel cantarle, sono parte di me e delle mie vibrazioni più profonde. Per questo la dimensione ‘live on stage’ è quella che più mi rappresenta e che parla di me, una dimensione che amo e nella quale spero di ritornare presto.