La realtà virtuale: dalla ricerca scientifica alle applicazioni terapeutiche.

Riuscire a stimolare i nostri sensi al punto di vivere un’esperienza realistica e comprendere come il cervello elabora queste informazioni, come si originano i nostri comportamenti e quali sono le nostre emozioni: tutto questo rappresenta, da tempo, una grande sfida per la ricerca neuroscientifica. I rapidi sviluppi delle tecnologie e dell’informatica negli ultimi tre decenni hanno offerto un nuovo e potente strumento per affrontarla, ovvero la realtà virtuale, che ha iniziato a ricoprire un ruolo importante come strumento di indagine nei laboratori di ricerca di tutto il mondo. Infatti, quando indossiamo un visore di realtà virtuale, esperiamo gli oggetti e gli ambienti virtuali come se fossero in qualche modo reali e ci sentiamo pienamente coinvolti negli eventi che ci circondano. Ma perché la realtà virtuale ha questo effetto su di noi? Come reagisce il nostro corpo e il nostro cervello quando siamo immersi in un ambiente virtuale? E come possiamo sfruttare questa tecnologia per migliorare la vita delle persone?

Gaetano Tieri, Ph.D in Neuroscienze Cognitive e Sociali e Valentino Megale, Ph.D in Neurofarmacologia e CEO di Softcare Studios, rispondono a questi interrogativi nell’articolo scritto in esclusiva per il nostro blog: il primo di una serie realizzata in collaborazione con VRE – Virtual Reality Experience – il festival internazionale ideato e diretto da Mariangela Matarozzo che si svolgerà a Roma dal 16 al 18 ottobre.

Realtà Virtuale e sviluppo sostenibile 2030: è infatti questo il fil rouge che attraversa VRE20. Vita comune, istruzione, lavoro, salute, diseguaglianze di genere, sostenibilità e sviluppo sono i grandi temi dell’agenda 2030 per affrontare i meandri nei quali la realtà virtuale potrebbe essere, in alcuni casi è già, uno strumento prezioso di coinvolgimento ed indagine. VRE20 espande così ulteriormente i propri confini e per farlo si avvale di personalità di grande talento e competenza che spaziano dall’ambito scientifico a quello artistico, da quello imprenditoriale a quello tecnico, in perfetto stile Humanistic Management.

Fra i focus anche Salute e Medicina, fra i settori che più hanno sentito i benefici della realtà aumentata negli ultimi anni: a partire dall’ambito della riabilitazione motoria e cognitiva, dei disturbi in ambito psichiatrico, per finire all’apprendimento in un contesto di simulazione. Terreni di ricerca e di cura in cui la realtà virtuale ed aumentata possono effettivamente fare la differenza.

Principali vantaggi della realtà virtuale come nuovo strumento per la ricerca scientifica in neuroscienze.

Per prima cosa, possiamo dire che uno dei principali vantaggi della realtà virtuale è quello di poter simulare a computer un ambiente reale, composto da stimoli come oggetti da afferrare o persone virtuali con cui interagire, che rimangono sotto il totale controllo del ricercatore. In questo modo possiamo “immergere” un individuo in un ambiente virtuale pericoloso (ma senza alcun rischio), e studiare le sue risposte fisiologhe e cerebrali o, creare stimoli ed esperienze che non sono altrimenti possibili nella realtà, come ad esempio far rivivere la sensazione di avere un braccio ad una persona che lo ha perso in seguito ad una amputazione o di far muovere le gambe ad una persona in sedia a rotelle.

Un altro importante fattore della realtà virtuale, che rende unica questa tecnologia, è “l’immersività”. Il termine immersivo si riferisce alla qualità tecnica che ci permette di connettere il maggior numero di canali sensoriali e motori e all’ambiante virtuale. Ad esempio, indossando un visore VR di ultima generazione, siamo stimolati a livello visivo e uditivo, possiamo muovere il nostro corpo (testa e mani) per poter interagire con l’ambiente virtuale che, a sua volta, si modificherà in tempo reale in base al comportamento dell’utente, creando così una relazione tecnologia-utente unica, cosi come accade nell’ambiente fisico reale. Queste tecnologie immersive possono essere facilmente combinate con gli attuali strumenti di indagine neuroscientifica; nella figura in basso, vengono riportate alcune foto degli esperimenti condotti nel Laboratorio di Neuroscienze Sociali e Cognitive dell’IRCCS Fondazione Santa Lucia e in collaborazione con il Laboratorio di Realtà Virtuale UnitelmaSapienza, dove la realtà virtuale è stata combinata con le registrazione dei segnali fisiologici (a sinistra), stimolazione magnetica transcranica (al centro) e elettroencefalogramma (a destra).

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La combinazione della tecnologia VR con gli strumenti di neuroscienze ci dà così la possibilità unica di poter indagare, dall’interno, gli effetti della realtà virtuale sul nostro corpo e cervello e di poter quindi comprendere meglio come funzioniamo e come possiamo usare queste conoscenze per scopi riabilitativi.

Gli effetti della realtà virtuale sul nostro cervello: dal senso di presenza e incorporamento alle applicazioni pratiche

Gli studi condotti nei campo della psicologia e delle neuroscienze hanno messo in luce alcuni degli effetti più evidenti che la realtà virtuale ha su di noi, come la sensazione di sentirsi fisicamente presenti all’interno dell’ambiente virtuale (sensazione di presenza) e di indossare e sentire come proprio un corpo virtuale (sensazione di incorporamento). Infatti, quando ci immergiamo nella realtà virtuale attraverso un visore VR, il nostro comportamento sarà fortemente influenzato da ciò che sperimenteremo: ad esempio, avremo paura di camminare su una trave sospesa nel vuoto o scanseremo la nostra testa se un oggetto virtuale prova a colpirci negli occhi. Questo fenomeno è stato denominato “sensazione di presenza”: l’illusione di sentirsi fisicamente presenti nell’ambiente virtuale che ci porta a rispondere in maniera realistica agli stimoli circostanti, con reazioni fisiologiche e cerebrali osservabili. Possiamo così ricreare degli ambienti virtuali con determinate caratteristiche, come ad esempio particolari ambienti sociali o ambienti architettonici, e studiare il comportamento dell’utente in maniera controllata. Come esempio applicativo possiamo citare un recente progetto di ricerca multidisciplinare che si sta conducendo con il Laboratorio di Realtà Virtuale UnitelmaSapienza, in cui si sfrutta la sensazione di presenza della VR come strumento di didattica innovativa, mirato allo sviluppo delle competenze finanziarie per bambini e bambine. In questo caso gli utenti vengono immersi in un ambiente virtuale ricco di stimoli e programmato per giocare e apprendere le nozioni di base della finanza e dell’economia, come ad esempio il consumo e il risparmio, l’investimento e il debito (vedi figura in basso a sinistra che rappresenta il progetto in fase di svolgimento presso l’istituto I.C. Volsinio di Roma).

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Tuttavia, la sensazione di presenza non è l’unico effetto che la realtà virtuale ha sulla nostra mente. Numerose ricerche scientifiche mostrano che tramite la realtà virtuale possiamo “indossare” un corpo virtuale e sentirlo proprio. Immaginiamo ad esempio di avere un visore VR, se guardiamo in basso e vediamo un corpo virtuale al posto del nostro, allora è molto probabile che anche il cervello percepisca questo corpo come suo (vedi figura in alto, pannello destro, dove l’utente osserva un corpo virtuale, avente dimensioni e posizione del tutto simili, da una prospettiva in prima persona che sostituisce il proprio). Questo fenomeno, denominato di “sensazione di incorporamento”, ha aperto nuove prospettive per studiare il rapporto mente-cervello. Possiamo ricreare corpi simili ai nostri o con arti più lunghi, oppure copri più grassi o più magri, con la pelle di colore diverso o di sesso opposto e farli “incorporare” agli utenti per studiare come il cervello risponde alla loro vista.

Questo approccio sta aprendo la strada non solo alle nuove ricerche di base mirate alle comprensione del rapporto corpo-cervello e ai fenomeni sociali connessi (come ad esempio lo studio dell’empatia per il piacere e per il dolore), ma soprattutto allo sviluppo di nuove forme di terapia sperimentale quali il trattamento del dolore dell’arto fantasma (a seguito di un’amputazione), in cui il paziente rivede il proprio arto virtuale ai fini di ridurre il dolore e favorire l’uso di protesi; oppure il trattamento dell’anoressia nervosa, in cui l’incorporamento di corpi di diverse dimensioni può aiutare a ricalibrare la propria immagine corporea distorta. Un altro interessante fenomeno connesso all’incorporamento è che questo non si limita alla percezione del corpo, ma agisce anche sugli stimoli che il corpo riceve: ad esempio, provare la sensazione di essere accarezzati da una mano virtuale o di essere punti da una siringa virtuale (che in realtà non esistono). Attualmente le neuroscienze sociali stanno dando grande rilievo a questo potere “trasformazionale” della realtà virtuale per studiare fenomeni come il bias razziale, in cui l’utente può incorporare un corpo di etnia diversa dalla propria, oppure la violenza di genere, in cui uomini aggressivi incorporano una donna che viene maltrattata verbalmente per indurre loro un senso di consapevolezza più profondo.

Costi più accessibili e migliore usabilità

Vi è la percezione non corretta, ma diffusa, che la realtà virtuale sia una tecnologia recente. La sua diffusione commerciale al grande pubblico lo è senza dubbio e possiamo fare risalire la presente generazione di dispositivi al 2012, quando la startup Oculus lanciò con successo una campagna di crowdfunding su Kickstarter presentando il suo primo visore, l’Oculus Rift.

Lo studio scientifico della realtà virtuale e delle sue basi neuroscientifiche copre però almeno tre decenni di ricerche. Una conoscenza che ha richiesto notevole pazienza prima di potersi trasformare in applicazione pratica al servizio delle necessità quotidiane richieste dal mercato. Cosa ha di diverso la VR oggi rispetto al passato e perchè è venuto il momento di affrontare concretamente il suo utilizzo?

Prima di tutto, negli ultimi dieci anni il costo degli schermi, delle lenti e delle componenti elettroniche è diminuito drasticamente. Questo ha permesso di ridurre sensibilmente le dimensioni dei visori, aumentare le performance e soprattutto rendere la tecnologia accessibile ad un numero molto più vasto e variegato di utenti. Basti pensare che la prima startup di realtà virtuale, la VPL Research co-fondata nel 1984 da Jaron Lanier, definito “padre della VR”, forniva visori che costavano decine di migliaia di dollari. Prezzi abbordabili solo da parte di grosse aziende ed enti di ricerca. Diverso lo scenario dei nostri tempi, in cui Facebook (che nel 2014 ha acquisito Oculus) ha appena presentato il suo ultimo visore, l’Oculus Quest 2 a soli 299 $.

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Negli ultimi anni, insomma, i visori VR sono ufficialmente alla portata del grande pubblico, hanno un design meno ingombrante, e si presentano ormai come dispositivi standalone, portabili e sempre connessi, pronti ad inaugurare l’era del cloud VR e degli ambienti immersivi sociali (come Altspace e Facebook Horizon). Come accaduto con gli smartphone, i dettagli tecnici non rappresentano più il principale ostacolo (né per i progettisti, né per gli utenti finali), ma stanno progressivamente cedendo il passo ad una maggiore attenzione ai contenuti ed all’esperienza utente, con una una crescente varietà di applicazioni in tutti i settori.

Dalla ricerca ai prodotti commerciali

Subito dopo il gaming e l’entertainment, il settore healthcare è il secondo per dimensione di mercato e investimenti futuri (previsti $ 5.1 Mld entro il 2025 secondo Statista), oltre che tra i primi ad aver storicamente impiegato la realtà virtuale, convertendo nel tempo le conoscenze emerse dalla ricerca in prodotti, servizi e metodologie innovative per la salute ed il benessere.

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La VR trova il suo razionale in questo settore come protesi cognitiva, ossia come tecnologia nativamente progettata per stimolare i sensi dell’utente, coinvolgere la sua mente e guidare le reazioni degli utilizzatori verso obiettivi significativi per l’andamento del percorso terapeutico. Ne derivano innumerevoli applicazioni in settori quali la riabilitazione psicomotoria e la pratica psicoterapeutica (es. trattamento di fobie, PTSD, dolore, cure palliative), utile a supportare e completare i trattamenti tradizionali, promuovere una migliore aderenza alla terapia dei pazienti, aumentando i loro engagement e motivazione e riducendo potenzialmente costi e tempi della cura. In ogni contesto in cui lo stato psicologico del paziente comporti limitazioni significative all’efficienza ed allo svolgimento dei percorsi terapeutici, la realtà virtuale offre importanti opportunità per velocizzare ed ottimizzare il raggiungimento degli obiettivi di salute attesi, in maniera del tutto digitale e non invasiva.

L’esperienza sul campo con Softcare Studios

Come descritto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, la salute va intesa come stato di completo benessere non solo fisico, ma anche mentale e sociale (e non semplicemente mancanza di malattia). In particolare, il benessere mentale è il risultato di diversi fattori, tra cui l’insieme di stati psicologici che viviamo, la tipologia di spazio che occupiamo e la qualità del tempo che vi trascorriamo. Questi aspetti diventano essenziali quando affrontati dal punto di vista dei pazienti, ancora di più se ospedalizzati. Qui spazio e tempo percepiti dal paziente acquistano un ruolo chiave nel promuovere un esito positivo del percorso di cura.

Partendo da questo presupposto, nel 2017  un team di 5 co-founders ha fondato Softcare Studios, startup innovativa con sede a Roma allo scopo di trasformare le potenzialità della VR in prodotti concretamente fruibili dai pazienti e utili ad affrontare le loro sfide quotidiane, migliorando anche la loro aderenza alla terapia. Una missione che è stata affrontata in chiave profondamente multidisciplinare, grazie a skills professionali che spaziano dalla ricerca farmacologica all’ingegneria biomedicale, dallo sviluppo software all’innovazione business. Un aspetto non trascurabile che ha permesso di connettere efficacemente le potenzialità delle nuove tecnologie con le criticità e la complessità del settore salute.

Foto 3 TOMMI by Softcare Studios

Un percorso selezionato come miglior progetto in salute digitale dalla Commissione Europea nel 2018, che ha portato alla realizzazione di TOMMI, progetto VR dedicato a pazienti pediatrici in oncologia e odontoiatria. L’obiettivo è quello della riduzione di ansia e dolore nei giovani pazienti sottoposti a trattamenti medici particolarmente stressanti, da realizzare sfruttando la capacità della VR di monopolizzare l’attenzione dell’utente e distrarlo da stati emotivi spiacevoli dovunque questi si trovi con il corpo. Con TOMMI, la VR offre la possibilità di trasportare i pazienti oltre le mura dell’ospedale, aiutandoli ad affrontare meglio la terapia, oltre a stimolare una comunicazione più spensierata tra bambini e genitori e facilitare il lavoro dei medici.

Da idea di progetto a prodotto concreto, TOMMI è stato lanciato ufficialmente nel 2019. Ad oggi, grazie alla collaborazione con associazioni e fondazioni quali DEAR Onlus e Fondazione Amici di Jean, Fondazione Maria Letizia Verga, LWB Project e Associazione Stella Marina e l’Istituto Oncologico Romagnolo è stato impiegato in 5 ospedali e reparti pediatrici in Italia e presso la UTHealth School of Dentistry di Houston negli USA. Partendo da TOMMI, oggi Softcare Studios è al lavoro per sviluppare nuove esperienze immersive e supportare anche pazienti adulti e anziani nei rispettivi setting terapeutici.

Le sfide del settore healthcare

Ma quali sono le principali sfide per rendere la realtà virtuale una tecnologia pienamente integrata e operativa nel sistema salute? Passare dalle ricerche accademiche ad un prodotto sul mercato comporta in primis un maggiore focus sull’aspetto di usabilità del prodotto stesso. Lo sforzo principale dietro lo sviluppo di un prodotto VR, in salute come in altri ambiti, è semplificare significativamente la complessità della tecnologia e del suo funzionamento, in modo che l’utente percepisca soprattutto l’utilità del prodotto nel risolvere determinate criticità e soddisfare le sue richieste. Elemento ancor più importante se ci riferiamo a una classe specifica di utenti quali i pazienti.

Va inoltre sottolineato che il settore healthcare è un ambiente profondamente multistakeholder: qualsiasi servizio o prodotto non può essere progettato tenendo in conto esclusivamente l’utilizzatore finale, ma va pensato per essere efficacemente inserito entro processi e routine più ampi, già attivi e precedentemente validati. Questa è probabilmente tra le sfide principali affrontate da chi fa innovazione in ambito healthcare, ovvero la necessità di conoscere profondamente il settore, le sue dinamiche e le necessità di diverse figure che operano in sinergia: medici, personale sanitario, pazienti, caregiver e provider.

A vantaggio della VR vi è la sua capacità non solo di fornire esperienze utili a supportare gli utenti durante la terapia, ma anche di raccogliere dati e potersi così trasformare in strumento di monitoraggio. Grazie alla connettività, non ultima vi è la possibilità di svolgere tale monitoraggio da remoto, in maniera del tutto automatizzata. L’idea di una telemedicina immersiva qualche mese fa sarebbe stata senz’altro accolta con interesse, ma in seguito alla pandemia da COVID19 emerge come una funzione particolarmente significativa per assicurare la continuità di servizi sanitari, in ospedale come a domicilio.

La raccolta di dati, ad esempio biometriche di stress, performance motorie e attitudini comportamentali, diventano fondamentali non solo per misurare l’efficacia dell’intervento ma anche per connettere in maniera oggettiva lo stato di benessere del paziente all’operatività ospedaliera ed alla gestione del sistema sanitario. Questo crea i presupposti per poter elevare il benessere mentale e sociale del singolo paziente a priorità, in grado di impattare non solo la qualità della sua esperienza terapeutica soggettiva, ma anche l’efficienza delle routine mediche. Un paziente che sta bene e vive meglio la terapia è chiaramente un valore da perseguire a tutti i livelli del sistema sanitario.

Come strumento di digital health, la realtà virtuale ha i presupposti per giocare un ruolo crescente nell’ambito della più ampia value-based healthcare, un approccio al sistema salute che promuove la riduzione dei costi, l’equità nella copertura delle cure, interventi basati su evidenze scientifiche e migliore efficienza degli interventi sanitari.

Tenendo conto dei risultati ottenuti in ambito accademico come anche dai player commerciali attivi nel settore, possiamo prevedere uno scenario futuro in cui la realtà virtuale verrà utilizzata efficacemente per ridurre tempi e costi di ospedalizzazione, supportando lo stato psicologico dei pazienti per limitare l’impatto negativo della terapia (che dalla stato mentale impatta considerevolmente quello fisico) e motivarli ad aderire fedelmente alle linee guida del personale medico. Grazie all’evoluzione della tecnologia, i benefici delle soluzioni immersive potranno aiutare un numero sempre maggiore di pazienti, ovunque questi si trovino, aiutandoli ad accedere ai trattamenti nonostante un contesto di distanze fisiche e sociali, fornendo trattamenti in linea con le loro necessità e adattabile in tempo reale alle loro variabili condizioni. Parliamo di uno scenario in cui la mente del paziente non è più relegata a focus di serie B, ma è ufficialmente riconosciuta come aspetto impattante il percorso di cura, misurabile grazie all’impiego di neurotecnologie come la VR e gestibile in maniera sempre più oggettiva.

Infine, per completare i presupposti di utilizzo della VR da parte del sistema sanitario, serve un ulteriore tassello: la validazione clinica delle soluzioni immersive (e successiva regolamentazione e certificazione). La validazione rigorosa di ogni novità in ambito medico-sanitario, non dimentichiamolo, è il più grande alleato dei pazienti. E’ grazie alla validazione che il sistema sanitario si assicura che ogni nuova soluzione offra il più alto livello di sicurezza ed efficacia secondo gli standard riconosciuti dalla comunità scientifica. Questo aspetto, però, non è di facile approccio, soprattutto a causa delle ben note lunghe tempistiche dei percorsi tradizionali, che rischiano di non fare emergere adeguatamente l’impatto ed il valore dell’innovazione digitale. Possiamo quindi porci una domanda: le soluzioni di digital health vanno sottoposte alle stesse dinamiche di validazione e regolamentazione tradizionali? Una domanda colta in pieno da enti certificatori quali l’americana FDA che si  impegnata a riscrivere tali dinamiche ottimizzandole al contesto attuale. La sfida adesso è connettere dinamicamente ricerca, innovazione business e validazione, promuovendo un compromesso sano e costruttivo tra rigore scientifico e tempi dell’innovazione.

Possiamo concludere che la realtà virtuale non è più un hype dell’innovazione tecnologica, per costi e funzioni è concretamente a disposizione per apportare valore al settore healthcare, ed il suo impiego è destinato a crescere già nel breve termine. A noi il compito di promuoverne un impatto rigoroso ed un uso etico al servizio della salute pubblica.

Gaetano Tieri e Valentino Megale approfondiranno i temi toccati in questo articolo nel corso della talk ibrida di VRE20 il 16 ottobre alle ore 10.30 nell’Aula Magna Unitelma Sapienza dal titolo Tecnologie emergenti, salute e medicina: Le grandi potenzialità delle tecnologie emergenti nella cura e benessere della persona.

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gaetano tieriGaetano Tieri, Ph.D in Neuroscienze Cognitive e Sociali.

Affiliazioni:

Laboratorio Realtà Virtuale UnitelmaSapienza, Roma

Laboratorio Neuroscienze Sociali e Cognitive, AgliotiLAB, IRCCS Fondazione Santa Lucia, Roma.

Link per approfondimenti sulle pubblicazioni scientifiche.

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valentinoValentino Megale, Ph.D in Neurofarmacologia e CEO di Softcare Studios