Cominciamo il 2013 (che Forbes ha definito l’anno delle “Social HR“) riprendendo il filo dei nostri ragionamenti sul tema della trasformazione delle aziende tradizionali in Social Organization e quindi dei processi HR in ottica 2.0. Lo facciamo aggiungendo una nuova case history a quelle già presentate su questo blog: quella di Heineken, che ha ricevuto una Menzione Speciale per il Premio Smart Working assegnato dal Politecnico di Milano.
Ricordiamo innanzitutto qualche dato saliente. Il Gruppo Heineken opera in Italia nel settore della birra da 38 anni, in seguito all’acquisizione della Dreher nel 1974. Grazie ad una mentalità aperta e creativa, a rigorosi controlli qualitativi e ad un processo di innovazione continuo, Heineken è diventato negli anni il primo produttore di birra nel nostro Paese. Opera in Italia con i 4 birrifici di Comun Nuovo (BG), Assemini (CA), Massafra (TA), Pollein (AO). Con più di 2000 dipendenti, produce e commercializza oltre 5 milioni di ettolitri di birra e ha una quota di mercato nazionale superiore al 30%. I principali marchi venduti in Italia sono Heineken, Birra Moretti, Dreher, Ichnusa e StrongBow Gold (sidro). Il Gruppo comprende anche Partesa, un network distributivo che opera nel settore beverage e Dibevit Import, una società attiva nell’importazione e nella distribuzione di birre speciali da tutto il mondo.
Heineken in Italia è dunque una azienda leader, riconosciuta e di consolidato successo. Al fine di mantenere e rafforzare questa leadership, recentemente il Management Team del Gruppo ha lanciato all’interno dell’organizzazione un programma basato su cinque priorità strategiche. Una delle 5 priorità è dedicata alle persone e mira a rendere Heineken un’azienda sempre più attrattiva nei confronti di risorse qualificate, leader nella gestione delle Risorse Umane e quindi vincente sul mercato del lavoro. Al progetto di Smart Work, che è uno dei pilastri per realizzare questa priorità, Heineken ha affidato il compito di intervenire sulla cultura aziendale per renderla ancora più aperta, flessibile, capace di adattarsi al cambiamento e in grado di sfruttare tutte le risorse a disposizione. Per saperne di più, abbiamo intervistato Mario Perego, 44 anni, monzese, che ha assunto la carica di direttore risorse umane del gruppo Heineken Italia nel 2010, e Mara Maffei, 47 anni, che dal 2007 ricopre il ruolo di ICT Manager per tutte le società del Gruppo in Italia. Entrambi sono componenti del Management Team di Heineken Italia, anche se sono arrivati a questo traguardo per strade differenti. Il percorso professionale di Mario Perego si è svolto inizialmente nei Sistemi Informativi per poi completarsi in ambito organizzazione, relazioni industriali e quindi HR management. Precedentemente all’attuale incarico Mario Perego è stato Direttore Risorse Umane di Lindt & Sprungli Italia. Mara Maffei, invece, da oltre 25 anni nei Sistemi Informativi nel settore beverage, ha iniziato come programmatrice e quindi business analyst, rivestendo poi nel tempo diversi ruoli di crescente importanza per lo sviluppo e l’evoluzione delle soluzioni e dei servizi IT.
Marco Minghetti: Come definireste in breve l’approccio allo Smart Working di Heineken?
Mario Perego: In primo luogo è bene sottolineare che non abbiamo voluto modificare i processi aziendali, bensì intervenire – ovunque possibile – sulla modalità con cui tali processi sono eseguiti e soprattutto sulle modalità con cui le persone interagiscono, attraverso un combinazione di flessibilità (di tempo e di luogo), autonomia e collaborazione, basata su un solido ricorso alle migliori soluzioni in termini tecnologici e di ambienti fisici. Le principali attività finora implementate hanno riguardato l’attivazione di un sistema di Employee Self Service e l’avvio di un progetto pilota di telelavoro. Infine il fatto che nel 2012 sia stato realizzato un cambio di sede dei nostri uffici di Milano ha rappresentato un’opportunità imperdibile per dare una svolta decisiva a questo scenario, attraverso una intensa e molto partecipata riprogettazione di tutti gli spazi.
Marco Minghetti: Siete d’accordo nel ritenere che questo progetto rappresenti l’architrave di un processo che tende a far divenire Heineken una “Social Organization”, ovvero “una impresa che consente ad un vasto numero di persone di lavorare collettivamente valorizzando al massimo grado le singole riserve di competenza, talento, creatività ed energia”?
Mario Perego: Certamente. Il nostro obiettivo per questo progetto, prima che all’efficacia o all’efficienza operativa, è rivolto al miglioramento della cultura aziendale.Peter Drucker diceva: ”Culture eats strategy for breakfast…”, cioè senza una cultura aziendale adeguata anche la miglior strategia è destinata a fallire.In questo momento storico abbiamo la necessità di rafforzare la capacità delle nostre persone di agire in autonomia, in presenza di risorse scarse (soprattutto il tempo), operando scelte corrette e prendendo decisioni in modo rapido. Abituare le persone a lavorare in un contesto “virtuale” che cambia gli schemi di lavoro tradizionali, ma proprio per questo responsabilizza e aiuta ad organizzarsi meglio, è
fondamentale.
Mara Maffei: Proprio così, per noi questo progetto significa avviare un percorso destinato a mettere la tecnologia, ancor più che nel passato, al servizio dei cambiamenti culturali e del business. Con il nostro “Smart Work” i Sistemi Informativi ampliano il proprio ruolo: da dorsale per le informazioni aziendali si trasformano in dorsale per le relazioni. Siamo solo all’inizio ma è un’evoluzione importante ed affascinante al tempo stesso.
Marco Minghetti: Al centro di una Social Organization si pongono le Community fondate sul lavoro collaborativo. Quali e quante di queste sono attive in Heineken? Sono più di tipo funzionale, progettuale o di processo?
Mara Maffei: Abbiamo attive diverse community collaborative di livello internazionale. La maggior parte di esse sono community funzionali, nelle quali prevalentemente collaborano persone di livello manageriale, altre sono invece orientate alla condivisione di conoscenza interfunzionale, altre ancora sono comunità di esperti all’interno di una stessa funzione, volte alla risoluzione di problemi specifici e alla condivisione di idee e progetti (nel qual caso la partecipazione è molto più ampia). Inoltre vi sono community temporanee, aperte a tutti coloro che lavorano per il gruppo Heineken nel mondo, incentrate sullo sviluppo di idee innovative riguardanti i prodotti ed il modo di presentarli al consumatore. A livello locale, in Italia ci siamo
specializzati sulla costituzione di community per specifici progetti. L’esempio più recente e più significativo è quello della community dei nostri HEIBuilders, cioè di tutti i colleghi (circa 60 persone ) che hanno collaborato al progetto di cambio sede.
Mario Perego: un’altra esperienza interessante riguarda la community di tutti i partecipanti al nostro programma di sviluppo della Leadership per Manager, che abbiamo recentemente lanciato.L’approccio del programma è basato sull’autosviluppo e sulla progettazione individuale del proprio percorso formativo. In sostanza non esiste un percorso formativo standard, ma viene messo a disposizione un “menù” di opportunità formative e di sviluppo – come
corsi, testi, libri, opportunità esperienziali – con il quale il manager è in grado di progettare autonomamente il proprio percorso, decidendo su cosa focalizzarsi, dopo aver compiuto un’autovalutazione. Nell’intraprendere questo percorso di crescita professionale, la partecipazione e la discussione nella community costituiscono elementi molto importanti. Aver messo a disposizione un’area di condivisione delle conoscenze e delle esperienze attraverso la piattaforma tecnologica è stato fondamentale per il successo del programma e per dotare la community di solide fondamenta.
Marco Minghetti: Come si connota la proposta di valore che definisce la vision e gli obiettivi di ciascuna community?
Mario Perego: Si collabora in community molto spesso nell’ambito della partecipazione a specifici progetti, ma anche la condivisione della conoscenza e delle best practices è molto diffusa. In questi ambiti, l’abbattimento delle distanze geografiche rimane un elemento determinante per la fondazione di una soluzione collaborativa virtuale. Un altro elemento di stimolo che spinge in questa direzione è la gestione organizzata dei saperi, facilitata dalle moderne soluzioni tecnologiche che consentono di trattenere la conoscenza ed organizzarla meglio.
Mara Maffei: Nella grande maggioranza dei casi le community “pre-esistono”, cioè sono comunità di pratica consolidate e operanti da tempo, che decidono di passare al 2.0 per migliorare l’interazione ed ottenere risultati migliori. La vera svolta nel successo di una community avviene quando i partecipanti si rendono conto che con la collaborazione virtuale risparmiano tempo ed abbattono i formalismi tipici di una collaborazione tradizionale, creando valore per sé e per l’organizzazione.
Marco Minghetti: Quali e quanti social media supportano le attività collaborative?
Mara Maffei: La Intranet globale è la porta d’ingresso virtuale che ognuno di noi varca quando avvia il proprio PC ed è anche la prima area informativa e di raccordo delle diverse piattaforme di knowledge management e collaborazione – prevalentemente basate su SharePoint – a loro volta integrate con la soluzione di web presence Lync. Vi sono poi community sperimentali su Yammer e blog “fatti in casa” con soluzioni open source a supporto di iniziative particolari quali gli “IT Roadshow”, dove vengono pubblicati video, foto e commenti dei partecipanti alle diverse tappe delle giornate dedicate all’incontro tra il team ICT ed i propri “clienti interni”. Uscendo dai confini aziendali, la collaborazione con i propri consumatori avviene sulle più diffuse piattaforme social (FB, Twitter, etc..) dove Heineken è presente con i propri brand, internazionali e locali: molto attiva in Italia la comunità dei fan di Ichnusa, la birra sarda del gruppo.
Marco Minghetti: Quale è il grado di formalizzazione delle modalità di coordinamento e gestione delle community?
Mara Maffei: Le comunità internazionali hanno un grado di formalizzazione abbastanza significativo, i ruoli sono ben chiari, esiste un coordinamento centrale ben definito e coerente coi diversi livelli organizzativi (country, region, global),…..
Mario Perego: Per le esperienze che abbiamo condotto a livello locale, che per noi costituiscono un pilota, ci siamo limitati invece a definire in modo preciso le dinamiche di coordinamento della community in modo da evitare confusione o perdita di valore. Non abbiamo ancora affrontato la definizione delle policy specifiche e l’individuazione dei ruoli organizzativi dedicati.
Marco Minghetti: Quali sono i parametri di misurazione del ROI di ciascuna community rispetto al raggiungimento di specifici obiettivi aziendali?
Mara Maffei: Ogni progetto ha dei propri indicatori di performance, attraverso i quali
vengono misurati i risultati raggiunti. Quindi per le community dedicate a specifici progetti mi sento di dire che la questione del pay back è più semplice. Nel caso di community di funzione o di condivisione di conoscenza invece, almeno per quanto riguarda l’ambito locale, siamo ancora in una fase sperimentale, con investimenti limitati ed iniziative pilota, per le quali non abbiamo formalizzato dei veri e propri obiettivi di ritorno degli investimenti. Bisogna tra l’altro considerare che uno dei principali vantaggi delle tecnologie 2.0 sta proprio nella facilità di attivazione/disattivazione a costi limitati. E’ infatti più importante l’investimento orientato al cambiamento culturale piuttosto che quello per gli strumenti tecnologici.
Marco Minghetti: Passare da un modello organizzativo top down ad uno tendenzialmente orizzontale e collaborativo, richiede un impegno rilevante non solo sotto il profilo tecnologico ma sotto quello del rinnovamento di politiche e strumenti di HR (formazione, comunicazione, modello delle competenze, sistemi retributivi, eccetera). Come si sta muovendo la funzione HR di Heineken su questo fronte?
Mario Perego: Premesso che siamo ancora, per quanto riguarda la nostra azienda, in una fase che definirei embrionale, posso dire che noi ci stiamo muovendo prevalentemente sul terreno delle policy, adeguandole alle nuove situazioni. Un esempio concreto: il telelavoro ci ha richiesto di rivedere il sistema di gestione delle presenze ed il regolamento di sede. Ovviamente il modello collaborativo richiederà di attivarsi su molte altre leve, noi ci stiamo preparando nei prossimi mesi ad analizzare i risultati dei test che stiamo conducendo sui casi pilota di telelavoro per indirizzare interventi specifici su due strumenti che riteniamo fondamentali per questo passaggio epocale: la comunicazione e la formazione. Sul primo fronte ritengo siamo molto attrezzati dal punto di vista tecnologico, tutti gli strumenti sono già a disposizione, quindi ancora una volta la questione sarà culturale: occorrerà passare da una comunicazione interna molto “push” o “top-down”, ad una “pull” dove cioè le informazioni ci sono e sono a disposizione, ma sono fruibili solo da chi sa come e dove trovarle. Sul fronte della formazione invece abbiamo intenzione di progettare percorsi di “promozione del virtuale”, cioè inserire nella nostra offerta formativa contenuti che invoglino ad entrare in contatto col mondo “2.0”, per assaporarne i vantaggi e le opportunità. Un discorso a parte merita infine la questione del project management. Stiamo investendo molto nell’offerta formativa per lo sviluppo delle competenze specificatamente legate a questo ambito, perché la riteniamo una precondizione al modello collaborativo, trattasse una sorta di fase di “preparazione atletica” prima di passare alla fase “agonistica”.