Le scarpe nuove del ciabattino
L’obiettivo di questa serie di post è di offrire qualche indicazione concreta in termini di Social Media Strategy alle Direzioni HR che stanno avviando la trasformazione dell’azienda in coerenza con le nuove logiche del Web 2.0. Se infatti, come abbiamo detto nell’Introduzione, il ruolo della funzione non può che essere quello di regia tecnica del cambiamento, attraverso l’organizzazione di un processo di change management che investa tutta l’azienda, il motore di questo processo deve consistere in primo luogo nel ripensamento e nella ristrutturazione di strumenti e prassi di cui l’HR è direttamente responsabile: Employer Branding, Recruiting, Screening, Internal Marketing, Modello delle Competenze, Training (su cui ci siamo soffermati specificamente), ma anche Knowledge Management e Rewarding (su cui abbiamo dato indicazioni nell’ambito della riflessione sulla creatività di gruppo sviluppata nelle Note ispirate ad Alice in Wonderland).
Tutto questo, abbiamo detto nella puntata precedente, deve essere inquadrato in una social media policy ad hoc, implementata nell’ambito della volontà del Top Management di perseguire il nuovo paradigma dell’impresa 2.0, che è prima di tutto quel paradigma strategico, organizzativo, culturale descritto negli articoli intitolati appunto La Social Organization, nonchè più in generale nei vari materiali (interviste, recensioni, case history) raccolti nella categoria Humanistic Management 2.0.
Il consunto alibi secondo cui “il ciabattino ha sempre le scarpe rotte”, dietro cui i vecchi Direttori del Personale si nascondevano quando venivano colti in fallo rispetto a progetti di cambiamento che coinvolgevano tutte le funzioni aziendali tranne l’HR (motivo non ultimo della crescente scarsa credibilità acquisita dalla funzione negli ultimi 10-15 anni), questa volta non funziona. Non solo perchè ormai tutti vedono che l’imperatore è nudo, ma soprattutto perchè solo con veri (e non vuotamente retorici) processi di HR 2.0 si possono rendere efficaci le piattaforme collaborative che tutti i grandi player di mercato (IBM, Cisco, Microsoft, Sap, eccetera) stanno mettendo a disposizione per rendere più efficienti ed efficaci le aziende, innescando quella mass collaboration, che oggi fa la differenza ed è derivante dall’interazione di tre fattori: le community aziendali, le value proposition intorno a cui si costituiscono, i social media che consentono loro di operare anche a distanza.
Se questo è vero, il fattore chiave di successo per costituire una funzione HR 2.0 consiste nella capacità di far divenire le tradizionali famiglie professionali community di persone in grado di programmare e realizzare il proprio autosviluppo, diffondere esperienze e best practices all’interno, acquisire competenze innovative dall’esterno. Come perfettamente rappresentato nello schema proposto da Jane Hart, riprodotto sopra (clicca sopra per allargare), si tratta di integrare la logica tradizionale del corso d’aula e degli incontri face-to-face con linguaggi e modalità più interattivi e virtuali, attraverso la costituzione di learning community basate anche sulla realizzazione di sistemi di comunicazione e Knowledge Management 2.0, transmediali e pluricanale. Il Progetto Alice Postmoderna propone un format di education 2.0 che va in questa direzione, mentre il modello dei concorsi per idee online proposti su una piattaforma specializzata, integrata da barcamp offline, eventi “fisici” e comunicazione sui social network, come nel caso di ideatre60, fornisce un benchmark di come operare non solo a favore dei talenti esterni all’impresa, ma anche e soprattutto per valorizzare le persone che si trovano all’interno dell’organizzazione. Le piattaforme di Idea Management (come quella che abbiamo testato nel corso del progetto La rivoluzione social e le aziende) costituiscono un’altra strada ancora.
Comunicazione interna ed esterna + education + knowledge management=social learning
Per la serie (un po’ antipatica, lo ammetto) “io lo avevo detto!”, si è insomma avverata la mia profezia, (risalente agli anni Novanta) relativa all’avvento di un nuovo dominio manageriale, derivante dall’abbattimento dei silos interni ed esterni alla funzione HR che portavano a rigide distinzioni (di competenze e di potere) fra comunicazione interna, marketing, social innovation, education, knowledge management. In generale, come ricorda ancora la Hart (cfr. The impact of social media on workplace learning e Top 100 Tools for Learning 2011), tutti i principali social network e le piattaforme collaborative aziendali (fino a ieri sotto il rigido controllo, in quanto considerate di esclusiva competenza, di unità dedicate, come il marketing o la comunicazione interna) possono venire utilizzate per il social learning. Per altro è significativo che l’annunciato Microsoft Office 2013 sia totalmente ripensato in chiave social (il che fa il paio con il progetto di acquisizione di Yammer. Per i dettagli vedi qui: Microsoft Office 2013 Built For Social Sharing). In tutto ciò non va infine dimenticato l’inarrestabile progresso dell’utilizzo di file video e strumenti di telepresenza, che accentuerà il carattere conviviale del lavoro collaborativo online, avvicinandolo sempre più a quello offline. Su Repubblica del 22 luglio 2012 Jaime D’Alessandro nell’incip di Dimenticate la password ora bisogna metterci la faccia, scrive:
“Dal pc allo smartphone, dal web alle applicazioni, dai motori di ricerca ai social network. E ora dalla parole alle immagini. Meglio: dalla parole ai volti. La nuova frontiera della tecnologia, una di quelle che potrebbe rivelarsi fra le più remunerative, ha a che fare con le nostre espressioni. Perché se oggi cerchiamo contenuti online attraverso nomi, frasi e vocaboli, domani lo faremo attraverso elementi visivi. E per un semplice motivo: il web sarà fatto soprattutto di video, dunque avremo bisogno di strumenti completamente diversi per continuare a usarlo… Entro il 2016, sostiene la Cisco System, il traffico della Rete sarà per il 78 per cento da e verso dispositivi mobili e per il 70,5 per cento si tratterà di video. Questo significa, stando a un’altra indagine della Ericsson, un flusso di quindici volte superiore rispetto a quello attuale”.
Un nuovo centro servizi HR 2.0
In questo quadro, la Direzione HR deve ripensare il proprio modo di essere, ri-organizzando radicalmente la propria struttura di servizi alla linea. Soprattutto se opera in una azienda già sovraesposta a livello di social media marketing. Stiamo parlando, basandoci sugli ultimi dati OssCom, di almeno 100 aziende (vedi infografiche, clicca sopra per allargarle), ed in particolare di quelle che hanno una presenza molto attiva anche su 4 social network contemporaneamente, come Nokia per il settore “Consumer Electronics”; Fiat per “Automobili”; Webank e Genialloyd per “Banche/Assicurazioni”, Ikea per “Retail” e Vodafone Italia (“Servizi energetici e telecomunicazioni”).
Una valida proposta metodologica viene ancora da Jane Hart. Ci avviamo quindi alla conclusione di questa serie di post analizzando e in parte rivedendo il suo Workplace Development Services (WDS) Framework. Un modello focalizzato sull’obiettivo di fornire ai singoli dipendenti e alle learning community una vasta gamma di servizi per rendere sempre più efficiente il lavoro collaborativo, fondato su apprendimento continuo e sviluppo permanente del Know-How.
Il modello della Hart prevede 4 aree di servizi: Training/Instructional, Performance Support, Social Collaboration, Performance Consulting.
Training/Instructional Services. Questa area di servizio continuerà a progettare, fornire e gestire la formazione in e-learning e/o modalità di apprendimento blended, ovvero basate su un mix di online e offline. Tuttavia la quantità di questo tipo di interventi è destinata a ridursi nel tempo, mano a mano che altre forme di Social Learning prenderanno piede. Di fatto la formazione sarà sempre più integrata con la comunicazione interna divenendo parte del flusso di lavoro quotidiano all’interno delle varie community che costituiranno la social organization.
Performance Support. Questa area di servizio faciliterà individui e community ad accedere e ad utilizzare i tools per il miglioramento dell’apprendimento e delle prestazioni, scelti magari fra gli oltre 2.000 elencati nella Directory of Learning & Performance Tools. Le attività includono il sostegno quotidiano all’apprendimento individuale e collettivo, ad esempio attraverso il riutilizzo di materiale didattico disponibile. Ma soprattutto si incentiverà la creazione di contenuti generati dai dipendenti, l’uso individuale di strumenti e contenuti sulle piattaforme di Entrprise 2.0 aziendali, nonchè la condivisione di utili risorse esterne attraverso l’aggregazione dei contenuti e l’affinamento di tecniche per la cura dei contenuti (content curation).
Social Collaboration. Qui ci si concentrerà sul sostegno al lavoro collaborativo e alla costruzione di reti interne, comunità e spazi di collaborazione. Questi servizi diventano elementi chiave per avviare e mantenere nel tempo la cultura collaborativa di una social organization. Le attività comprenderanno il supporto alla costituzione di gruppi online, lo sviluppo di una nuova cultura aziendale della collaborazione (a partire dalla redazione della social media policy) e delle competenze necessarie per la sua traduzione pratica. Si tratta quindi anche di mappare gli atteggiamenti vigenti verso le nuove logiche 2.0 (soprattutto le aree di ostilità al cambiamento) per descrivere ed incoraggiare nel modo migliore nuovi comportamenti social. Naturalmente occorre mettere a punto nuove prassi di valutazione della performance e di rewarding, in modo che si crei una relazione simbiotica tra lavoro collaborativo, apprendimento e continuo miglioramento dei risultati ottenuti dalle performance di individui e community. Infine è qui che insistono le attività di Employer Branding e Recruitment 2.0.
Performance Consulting. Questa è l’area focalizzata sulla ricerca di soluzioni ai problemi di apprendimento, comunicazione o prestazione che si possono determinare durante l’attività collaborativa di una community e/o nell’integrazione delle diverse community aziendali. Qui si creeranno le unità per affrontare eventuali crisi dovute ad errori di gestione dei social media, ma soprattutto si opererà in chiave anticipatoria, per evitare che queste crisi scoppino. Verranno quindi individuate le cause dei problemi nelle prestazioni delle community, ad esempio mediante audit workflow o collaborando con i community manager alla revisione della value proposition, ma anche assessment del potenziale 2.0 dei dipendenti, in modo da individuare percorsi di sviluppo professionali adeguati ad occupare i vari ruoli aziendali critici per lo sviluppo della social organization (community manager, content curator, eccetera).
Un nuovo stile di leadership 2.0
Siamo così giunti alla fine del nostro percorso. Il modello sopra esposto ovviamente è del tutto esemplificativo, serve soprattutto a dare un possibile riferimento a chi voglia effettivamente mettere mano alla riorganizzazione della struttura dei servizi HR in ottica 2.0, senza la quale anche alla migliore social media strategy del mondo mancherebbero poi le gambe per mettersi adeguatamente in moto.
Ritengo tuttavia doveroso ricordare che tutto quello che ci siamo detti è vano senza un impegno consapevole e convinto da parte del Top Management, che passa dalla cruna dell’ago costituito da uno stile di leadership 2.0 vero e coerentemente agito. Purtroppo sotto questo profilo anche dopo la pubblicazione del post I 10 alibi del Top Manager ostile all’innovazione 2.0, risalente a qualche mese fa, i segnali provenienti dalla business community hanno continuato a non essere incoraggianti. Ad esempio, il 19 luglio sono stati pubblicati i risultati di una analisi relativa ai CEO delle aziende della classifica Fortune 500 dal titolo significativo: Fortune 500 CEOs Shy Away From Social.
“If the “social enterprise”, scrive l’autore del post, “is the direction in which organizations want to head, and common wisdom has it that the impetus for the social enterprise must come from the top down, then CEOs of the country’s most successful companies must be all over social media, right? That’s not what I found when checking out tech execs’ public social presence for those who are setting an example, and it is not what DOMO and CEO.com found in a report they released jointly last week.
The 2012 Fortune 500 Social CEO Index, created “to evaluate the extent to which top business leaders are embracing social media,” found that, with the exception of LinkedIn, CEOs at Fortune 500 companies participate in social networking less than the general public and less than smaller companies”. In sintesi, più del 70% dei CEO non hanno alcuna presenza sui social network. Non considerando LinkedIn, la percentuale è ancora più ridotta.
Ma se negli USA piangono da noi c’è da strapparsi addirittura i capelli. Amate l’horror e le sensazioni forti? Provate a leggere il servizio pubblicato pochi giorni fa da Business People con il roboante titolo Leadership 2.0. Agghiacciante. Otto interviste ad altrettanti Top Manager di aziende medio grandi (nessuna non casualmente presente fra le 100 più attive sul Web 2.0 individuate da OssCom), da cui risulta che le metafore di riferimento sono ancora quelle usate dalla retorica aziendale da trent’anni a questa parte: Direttore d’orchestra (Edoardo Bernardi, general manager Estée Lauder Italia), allenatore sportivo (Stefano Abbati, amministratore delegato Fossil Italia), Pilota di elicotteri (Arturo Frixa, direttore generale marketing, communication & pr Jaguar Land Rover Italia), … Ma possibile che ci sia ancora chi crede che la gente sia disponibile a bersi questa roba? Il sonno del giornalismo accoppiato con un aggiornamento manageriale datato 1960 o giù di lì genera mostri.
Ma è quando arriviamo alla domanda sull’impatto in azienda dei social network, che sfioriamo (anzi entriamo a capofitto) nel grottesco. Per uno di questi Top Manager il massimo del 2.0 è il Blackberry aziendale, un altro dichiara che, bontà sua, per ottenere trasversalità e collaborazione “i social tool possono aiutare”. Mi fermo qui perchè non ho mai trovato divertente sparare sulla Croce Rossa. E poi perchè mi ostino a sperare che la classe manageriale italiana trovi presto la via di un suo profondo rinnovamento, senza il quale non ci sarà scudo anti-spread che possa salvarci dal collasso.
Non sarà quindi inutile stilare una lista dei criteri da usare se si vuole parlare di Leadership 2.0 in maniera sensata e che inevitabilmente diviene una vera e propria Etica 2.0. Anche come sintesi finale del cammino percorso fin qui, io proporrei quindi a riassumerla in un piccolo dizionario, che forse coincide con il Libro dei Mutamenti Aziendali posseduto dai protagonisti de Le Aziende InVisibili:
Apertura dei confini organizzativi, fondata sulla condivisione di informazioni, opinioni ed esperienze con tutti gli stakeholder: clienti, partner, dipendenti, fornitori, comunità locali, associazioni, fondazioni. E’ il principio fondativo della Wikinomics, descritta da Dan Tapscott nel suo bestseller del 2006. Il libro si apre con la case history di Goldcorp, una azienda mineraria in crisi che è diventata la più importante azienda nel settore dell’estrazione dell’oro, dopo aver deciso di divulgare i dati relativi alle proprie mappe geologiche e chiedendo su Internet a chiunque ne avesse la capacità di interpretarle per avere nuove indicazioni di ricerca. In settori meno hard, Amazon, Google, E-bay sono tutte imprese che hanno deciso di aprire le loro infrastrutture e le loro applicazioni di successo allo scopo di sviluppare vasti ecosistemi di business. Questo principio si articola in tre sub-principi ovvero:
Inclusione. L’apertura a tutti permette di acquisire le migliori idee attraverso la loro selezione naturale; Open Innovation. E’ il paradigma in base al quale si assume che le imprese possono e devono utilizzare le idee esterne così come quelle interne; Abbattimento dei silos aziendali. Comporta la rottura delle barriere fra sub-culture d’impresa e l’abolizione di prassi lavorative di tipo strettamente divisionale, quali la rigida suddivisione di uffici, reparti, gruppi di lavoro in base a competenze specifiche e non interconnesse.
Autonomia. E’ la libertà di agire da soli, di prendere decisioni senza la necessità di specifica direzione o di approvazione da livelli più elevati di gestione. Il Web ha dato agli individui gli strumenti che consentono loro di agire in modo indipendente. Dove in passato la gestione è stata strutturata attorno al modello del comando e controllo, le aziende di oggi devono sapere esprimere un principio più profondo e più potente di libertà per gli individui nelle loro organizzazioni.
Co-creazione di valore (modello organizzativo a rete). In opposizione al tradizionale flusso top-down della catena del valore, principio fondate della nuova economia social è la co-creazione di valore che nasce dalla collaborazione orizzontale, da attuare all’interno dell’azienda e al suo esterno, con e fra tutti gli stakeholder. Diventa essenziale la valorizzazione della collaborazione emergente tra le persone indipendentemente da gerarchie e schemi organizzativi predefiniti, che grazie allo sviluppo delle nuove tecnologie web 2.0, diviene collaborazione di massa, “mass collaboration”.
Convivialità. In una comunità collaborativa le persone si raccolgono intorno ad una proposta di valore unificante. Questa è ciò che la rende un Mondo Vitale ovvero un “sistema aperto e regolato da empatia sistemica tra i suoi membri” (Ardigò). Empatia sistemica significa fiducia reciproca, informalità, autenticità, anche fra perfetti sconosciuti. Su queste basi valoriali le persone si raccolgono attorno a Wikipedia per creare articoli enciclopedici o intorno a YouTube per condividere video. Ne scaturisce l’atto di contribuire ad uno sforzo collettivo, che si espande grazie a una moltitudine di contributi individuali ed indipendenti. E’ questa la novità della “mass collaboration” ed è ciò che distingue il suo approccio da quello di altre tecnologie come l’email o il file transfer. Sotto questo profilo l’”in-person communication” (telepresence), la vicinanza virtuale fra persone fisicamente molto distanti, è un approccio potentissimo per migliorare le relazioni fra le persone e la produttività del lavoro collaborativo.
Convocazione. In un sistema produttivo conviviale (collaborativo), si è convocativi se si sa suscitare l’iniziativa discorsiva e operativa dei collaboratori chiamati alla realizzazione di un progetto. In particolare l’obiettivo, la “value proposition” intorno a cui si raccoglie la community, da cui essa viene “convocata”, è l’ingrediente essenziale della collaborazione di massa e quindi della social organization. E’ ciò che determina la spinta interiore, la motivazione, la volontà di lavorare insieme ad altri mettendo a disposizione la propria conoscenza, le proprie esperienze e le proprie idee. E’ la proposta di valore, il fine comune, la pietra di paragone in base alla quale si misura l’efficacia di una community, l’adeguatezza della tecnologia sociale da utilizzare, la coerenza con gli obiettivi di business.C’è una differenza fondamentale fra il potere di convocazione e le altre forme di leadership: si costruisce nell’esercizio anzi nel tentativo di esercitarsi. Le altre forme di potere invece – il prestigio, la tradizione, l’autorità… – sono pre-dati: sono già costituiti prima del loro esercizio. Di pre-dato nella convocazione c’è solo la volontà di esercitarla. Il prestigio viene esibito, l’autorità esercitata: la convocazione discorsiva viene costruita nell’interazione e in cooperazione con il convocato.
Creatività. La creatività intesa come commistione di fantasia e concretezza, è un fattore strategico dell’organizzazione. Nella costituzione di gruppi di lavoro e community online finalizzati alla trasformazione dell’impresa in social organization, è importante allora mettere insieme professionalità e singoli individui che hanno gradi alti dell’una o dell’altra caratteristica. Mentre, generalmente, nei contesti di lavoro prevale una logica ispirata allo slogan “similia cum ro positi”, volta a creare una cultura d’impresa e relativo clima organizzativo che impedisce una collaborazione fattiva fra queste due anime, in linea di massima presenti ma quasi mai comunicanti.
Decentramento E’ opposto all’approccio top-down tipicamente tayloristico per cui le attività e i processi decisionali sono strettamente mantenuti in piccole aree di potere centrale. Sul Web, i mercati possono trasferirsi e crescere come vuole la domanda. Allo stesso modo, secondo Gary Hamel, “organizations can also distribute power and resources in more equitable ways, giving individuals the opportunity to play a role in allocating resources, and driving accountability and decision-making throughout the organization”. Ancora una volta, siamo in presenza di un principio che rispecchia un concetto fondativo tipico dello Humanistic Management, centrato sulla valorizzazione di tutte le potenzialità della persona che opera nel contesto aziendale.
Emersione dal basso. I comportamenti che producono la collaborazione di massa non possono essere definiti, disegnati e controllati dall’alto come nei sistemi tradizionali. Questi comportamenti semplicemente emergono dal basso attraverso le interazioni fra i membri della community. Questa capacità di emersione spontanea dal basso è la chiave che consente di aprire le porte dell’innovazione, di trovare nuove idee, di escogitare soluzioni a problemi apparentemente irrisolvibili. Il Management deve costruire ambienti di lavoro (proprio in termini logistici) ma soprattutto sociali che ne facilitino l’espressione (sensemaking).
Metadisciplinarità, contrapposta ad ogni eccessiva e babelica commistione, significa che le persone sono in grado di fare due cose: relativizzare il contributo della propria disciplina rispetto ad altre discipline e dialogare con gli operatori interni ed esterni di discipline diverse dalla propria. Essere metadisciplinari significa in sostanza avere la capacità di fare riferimento, direttamente o indirettamente, a competenze diverse da quelle che si possiedono pienamente. Ora, se la multidisciplinarità può essere garantita da un’équipe di specialisti e la interdisciplinarità da un dialogo tra specialisti, la metadisciplinarità sorge da uno sguardo che nasce da una ampia visione del mondo: delle sue premesse, dei suoi modi di essere, dei suoi fini.
Mobilità. Ogni membro della community deve poter partecipare al lavoro collettivo dovunque si trovi, con qualsiasi device. Una ricerca di Cisco Systems, che si intitola IBSG Horizon Study, descrive la tendenza del bring-your-own-device (BYOD): ognuno porta in azienda il suo dispositivo preferito. I manager affermano che così aumenta la produttività dei dipendenti e la loro soddisfazione.
Partecipazione (generazione di contenuti da parte degli utenti). La gente ha un bisogno innato di contribuire, di esprimersi, di sostenere un ideale. Il Web 2.0 è lo strumento più potente mai creato per consentire alle persone di lasciare il segno e mobilitarle verso una missione comune. Così, una organizzazione 2.0 sarà tale nella misura cui sarà social nel duplice senso di “partecipativa” e “animata da una vera responsabilità sociale”. In altre parole, per ottenere un sostanziale beneficio dai social media, occorre essere in grado di mobilitare una community. Negli ambienti sociali efficienti la massima parte dei contenuti viene dai partecipanti. Sembra banale, ma la quasi totalità delle aziende ritiene che i social media siano semplicemente un ennesimo canale broadcasting attraverso cui veicolare la comunicazione corporate. L’effetto è disastroso, sia in termini di comunicazione interna sia di marketing. Del resto la gran parte delle agenzie di pubblicità e della società di consulenza cui le aziende si rivolgono non le sanno guidare, perché non possiedono le necessarie competenze, verso un diverso approccio, ovvero un approccio genuinamente social. Ma basta pensare a LinkedIn, Wikipedia, YouTube o Facebook: senza ciò che in termini tecnici viene definito “user generated content” sarebbero dei gusci vuoti. Proprio come la comunicazione corporate della maggior parte delle aziende oggi.
Perseveranza. Le organizzazioni che utilizzano i social media per abilitare la collaborazione di massa devono stabilire che tipo di continuità richiedere alla contribuzione dei partecipanti. Comprendere esattamente quali informazioni devono essere catturate, per quanto tempo devono essere mantenute, ogni quanto tempo aggiornate è vitale per il successo di qualsiasi social media.
Personigramma. L’innovazione oggi si fonda sulla distinzione fondamentale fra organigramma e Personigramma, come chiave di volta per ripensare l’impresa in termini di social organization incentrata sulla sviluppo di community collaborative online, oltre che offline. Il Personigramma o, in altre parole, la rete di relazioni formali e informali che esistono all’interno dell’azienda, rappresentano come l’azienda stessa funziona veramente: ogni organizzazione ha una struttura formale, da cui si può desumere chi occupa quale posizione e chi riferisce a chi; ma quando si cerca di capire come realmente funzionino le cose, scopriamo una rete completamente diversa: le persone sanno a chi rivolgersi nella realtà per prendere decisioni rapide ed efficaci, indipendentemente da ciò che dice l’organigramma. Ognuno sa a chi rivolgersi se deve raccogliere informazioni aggiornate su una tecnologia o sul mercato dei prodotti. Questa rete di relazioni – il capitale sociale – è ciò che oggi dobbiamo liberare se vogliamo sfruttarlo a nostro vantaggio, aggirando i silos aziendali.
Serendipity. Il verificarsi di eventi casuali ha sempre giocato un ruolo fondamentale nell’innovazione. Il Web è forse il più grande motore di serendipità nella storia della cultura, spinto dalla sua natura connettiva di ipertesto così come dalla fame continua dei social media per tutto ciò che è nuovo. Le organizzazioni devono imparare dal Web e aumentare le probabilità di creazione di valore basata sulla casualità, incoraggiando lo sviluppo di connessioni il più possibile variate con e fra gruppi diversi di persone, il più spesso possibile.
Sperimentazione. E’ resa possibile solo in un ambiente dove le idee possono essere testate in modo rapido e migliorate continuamente. Proprio come il Web, che è sempre under costruction, in un beta perenne. Qui le persone hanno l’opportunità di creare e testare le esperienze on line ad un ritmo notevolmente più veloce e un costo inferiore rispetto al passato.
Trasparenza. Trasparenza in questo contesto significa che tutti i partecipanti possono vedere i contributi di tutti gli altri. Non solo: possono usarli, aumentarli, validarli, criticarli. Solo applicando questo concetto di trasparenza la community è in grado di creare contenuti innovativi, migliorarli e farli evolvere. Fra l’altro, il vedere i contributi degli altri costituisce spesso la molla che attrae nuovi contributori, oltre ad essere la condizione indispensabile per ottenere la fiducia da parte di tutti i membri della community. E’ la trasparenza che distingue la collaborazione di massa da cose come i motori di ricerca, i tradizionali sistemi di knowledge management o le survey online. Senza trasparenza la “mass collaboration” si trasforma inevitabilmente in “mess” collaboration (in un casino, per dirla chiara).
Meritocrazia. Il Web è un ambiente in cui emergono idee e persone in base alla qualità dei loro contributi. Sul Web, le idee sono disponibili a tutti e l’unico modo per imporle è ottenere una valutazione positiva spontanea da parte degli utenti della Rete, che ne determinano il ranking attraverso il meccanismo dei tag e dei link nella classifica dei motori ricerca, o attraverso il retweet, o il numero di visualizzazioni su YouTube. Organizzazioni che operano con criteri meritocratici analoghi a quelli diffusi in Rete possono portare le persone ad essere più motivate, poiché sanno che le persone sono promosse e le idee vengono finanziate attraverso sistemi trasparenti, corretti e fondati su una valutazione di colleghi ed esperti, piuttosto che essere imposte dall’alto spesso solo con logiche di puro potere interno.
Velocità E’ data dal ritmo senza precedenti del cambiamento e dall’immediatezza delle informazioni. Grazie al web, grandi quantità di conoscenze sono ora disponibili in tempo reale. Con la tecnologia mobile, l’accesso a queste informazioni è raramente fuori portata. Le organizzazioni devono essere in grado di muoversi alla stessa velocità. In altre parole, proprio come Alice nel Paese dello Specchio devono correre più rapidamente che possono solo per rimanere ferme. Per muoversi, devono essere veloci il doppio.
Una social media strategy per le risorse umane 7. Fine
Puntate precedenti:
HR 2.0? Una Social Media Strategy per le risorse umane. Parte seconda: Recruiting
HR 2.0? Una social media strategy per le risorse umane. Parte terza: Screening
HR 2.0? Una social media strategy per le risorse umane. Parte quinta: Training The Company
HR 2.0? Una social media strategy per le risorse umane. Parte sesta: la Social Media Policy