Social Business Manifesto!

Social Business Manifesto copiaUna piattaforma concettuale per il Social Business Forum

Finalmente ci siamo: lunedì 4 giugno parte a Milano (Hotel Marriot, viale Washington 66), la due giorni del Social Business Forum 2012, evento cui ci siamo avvicinati su questo blog con una serie di post dedicati nei giorni scorsi (HR 2.0? Una conversazione con Judith MatharanHR 2.0? Una conversazione con Thierry de Ballon e Bjoern NegelmannIl social business al punto di svolta). Una attenzione che gli organizzatori di OpenKnowledge meritano per la passione e la competenza con cui dal 2008 (anno della prima edizione del Forum)  stanno diffondendo in Italia la cultura del Social Business. Anni di esperienza che hanno condensato in un vero e proprio Manifesto, articolato in 59 tesi e in una serie di approfondimenti che vanno dai sistemi di comunicazione 2.0 al social learning, dalla Network analyisis al ROI del Social Business. Il Manifesto, che ho avuto l'opportunità di leggere in anteprima, verrà distribuito a tutti i partecipanti insieme al numero di giugno della Harvard Business Review cui è allegato.

Senza entrare nei dettagli di tutti gli argomenti proposti nel Manifesto  (sarebbe impossibile nello spazio ristretto di un post), meritano un commento specifico le 59 tesi (che riporto integralmente qui sotto). Una elaborazione concettuale leggibile in una  linea di continuità con quel Manifesto dello Humanistic Management che, nel 2004, proponeva per la prima volta in maniera compiuta una visione alternativa allo Scientific Management (o Management 1.0), di cui oggi tutti (Gary HamelBoston Consulting Group, McKinsey, Gartner)  celebrano finalmente le esequie.

Questo ad esempio era l'incipit della Premessa al Manifesto dello Humanistic Management: "I paradigmi imprenditoriali classici, via via affermatisi negli ultimi cento anni, si mostrano sempre più inadatti a offrire sia interpretazioni convincenti dell’impresa, sia strumenti operativi efficaci per la sua gestione. I limiti attuali dello  scientific management e dei suoi derivati sotto il profilo tecnico, psicosociale e politico sono stati posti in luce da molti autorevoli studiosi. In questa sede, ci interessa sottolineare che le condizioni di permanente incertezza e di bassa prevedibilità della maggior parte delle variabili strategiche impongono alle aziende, oggi più che mai, la necessità di trasformarsi in tempi rapidi. Il cambiamento non può più essere considerato una fase dell’evoluzione aziendale, essendo divenuto il normale stato delle organizzazioni contemporanee, chiamate ad essere continuamente “mutanti”. Il capitale intellettuale diventa così un imprescindibile generatore di valore aggiunto. E siccome, a differenza della catena di montaggio la “fabbrica delle idee” si fonda sulla creatività, sulla imprevedibilità, sulla sorpresa e sull’emozione, vengono meno i presupposti di un mondo dove i ruoli sono precisi, le professionalità definite, le competenze omogenee. La realtà non è più tracciabile attraverso linee rette che congiungono i singoli punti: essa viene, al contrario, rappresentata da infiniti possibili percorsi, ciascuno dei quali meriterebbe di essere esplorato".

Del tutto analogamente, nell'articolo introduttivo alle 59 tesi del Social Business Manifesto (vedi pdf riportato in coda a questo post)  leggiamo: "Il modo in cui abbiamo concepito sinora l’organizzazione delle nostre aziende non funziona più. Abbiamo fatto del management una scienza; abbiamo cercato di trasformare le persone in macchine; abbiamo segmentato i compiti togliendo significato alle cose che facciamo mentre lavoriamo; abbiamo spersonalizzato per cercare di controllare l’organizzazione; abbiamo cercato di standardizzare il lavoro (cfr. su questo  La dittatura dello Standard e il Nonsenso di Alice  - Alice Annotata 17b) per garantirci la possibilità di replicare le prestazioni senza imprevisti. Questa organizzazione ha funzionato molto bene fino a quando il tema era replicare. Diventa un modello che funziona molto meno bene quando il valore che le persone sono chiamate a generare ha a che fare con la conoscenza, con l’innovazione continua, con il mondo dell’intangibile". Concetti che in maniera più articolata troviamo espressi anche nella Quarta Variazione Impermanente del Manifesto dello Humanistic Management (confrontare per credere).

Insomma, è giunta l'ora dello Humanistic Management 2.0: come dimostra, fra le altre cose, un dettaglio: il richiamo che gli estensori del Social Business Manifesto fanno a quella Alice che anche noi da molti mesi abbiamo assunto come simbolo della ricerca di un nuovo modo di gestire le organizzazioni: "Questa operazione di adeguamento deve essere fatta molto in fretta, perché il mondo è sempre più veloce. Come dice la Regina di Cuori di Alice nel paese delle meraviglie, dobbiamo correre, ma dobbiamo correre per rimanere nello stesso posto", scrivono gli estensori del Social Business Manifesto. Proprio le stesse parole che abbiamo utilizzato nel corso della presentazione del progetto La rivoluzione social e le aziende, come si può vedere anche dalle slide usate in quell'occasione pubblicate su Slideshare (Risorse Umane 2.0?).  

Una visione dall'alto

Una prima lettura delle 59 tesi del Social Business Manifesto può lasciare perplessi.  Si parte con affermazioni quasi Zen, "Il caos è una semplicità che non siamo ancora riusciti a vedere", tesi n. 1, per passare senza soluzione di continuità ad osservazioni empiriche molto concrete, tipo "La mail è superata da piattaforme di scambio più aperte ed emergenti", tesi n. 4;  apparenti paradossi della serie "I clienti conoscono i prodotti molto più delle imprese che li producono", tesi n. 7; evidenti contraddizioni, come  "Il punto debole del knowledge management è il management", tesi n. 14, che confligge con uno degli articoli del Manifesto stesso dedicato ai nuovi tool di "Idea Management"; esagerazioni, vedi la tesi n. 35 "Reputation: è tutto qui"; qualche ingenuità che salta all'occhio in maniera particolarmente eclatante nella tesi che recita: "Per costruire nuove organizzazioni non c’è bisogno di società di consulenza" (ehm… neanche della società di consulenza chiamata OpenKnowledge? Ma no, i cattivi sono altri, esplicitamente indicati nella tesi 59: "Ha fatto più innovazione negli ultimi 15 anni un gruppo di ragazzini che IBM, Microsoft e Oracle messi insieme").

Insomma uno zibaldone estremamente variegato espresso nel "Twitter mode" dei 140 caratteri, la cui disorganizzazione è ritengo voluta, anche perchè coerente con la tesi-ossimoro n. 19: "Le organizzazioni ad alta performance hanno come punti di forza la disorganizzazione e i legami deboli". Più in generale, questo approccio è chiaramente derivante dalla Serendipity intesa come principio fondativo del Management 2.0 (cfr.  I 12 principi del Management 2.0 secondo gli esperti di Hackathon), evocata nell'apertura del Social Business Manifesto, che si diffonde per diversi paragrafi sul classico esempio di Cristoforo Colombo e la scoperta dell'America (che lui ha sempre pensato fosse l'India).

Tuttavia, ad una seconda lettura, dalle cinquantanove tesi emerge un metodo che rende ragione della apparente follia. Un metodo che è affine a quello utilizzato nel Manifesto dello Humanistic Management, in cui si sostiene, come ci ricorda la front page del sito istituzionale: "ciò che occorre oggi non è un nuovo paradigma, non una nuova verità assoluta, assiomatica, ma piuttosto un nuovo tipo di discorso. Un discorso che  metta al centro l’“arte”, quale ci è mostrata in massimo grado da poeti, romanzieri, drammaturghi: da “umanisti” nel senso rinascimentale, narratori di storie, “facitori di senso” (sensemakers) tramite il romanzo, la poesia, l’autobiografia, il teatro, il cinema, ma anche  il social networking e il web 2.0”. Un discorso al centro del quale si pone la convinzione che "la capacità di comprendere la natura conversazionale e web based di questa svolta epocale è essenziale per la sopravvivenza stessa delle aziende" (Humanistic Management 2.0 per le Aziende).

La stessa convizione  anima il  Social Business Manifesto,  in cui la parola "conversazione" torna con frequenza ossessiva, per quanto dal punto di vista dei contenuti il focus qui è soprattutto sui nuovi strumenti e le nuove tecnologie (anche se non manca l'enfasi su sensemaking e storytelling: "Oggi abbiamo bisogno di unire, di creare storie e significati comuni, di coinvolgere le sensibilità personali, di trovare l’ingaggio delle persone", tesi n. 17, "Le Intranet a senso unico sono inutili; le Social Intranet oggi possono diventare il sistema nervoso che permette a un organismo di sentire e di agire come un’unità: permette lo scambio degli stimoli, l’accumularsi della memoria, il formarsi dell’identità, il coordinamento delle azioni", "Oggi c’è bisogno di unire: collegare i punti (vision) ma anche collegare le persone e creare sistemi autopoietici" – tesi n. 38 e n. 39).  Ma in prima battuta è soprattutto lo stile apparentemente disordinato, rapsodico aforistico, e quindi in fondo poetico (non a caso abbiamo usato il termine leopardiano "zibaldone" per descriverlo), con cui è redatto, ad iscriverlo senza dubbio nella linea dello Humanistic Management (cfr. Wislawa Szymborska: dalla prosa del taylorismo alla nuova poesia manageriale). Tanto più che, quando scendiamo nel concreto dei punti-chiave, vengono alla luce evidenti analogie. 

Complessità

Il primo elemento che il Social Business Manifesto mette in luce è l'incapacità delle organizzazioni attuali di gestire la complessità crescente delle organizzazioni: "Davanti a problemi sempre più complessi e interconnessi, l’architettura decisionale rappresentata dai modelli di impresa e di governance contemporanei – ancorati ad un principio di tipo gerarchico e di comando-controllo – mostra tutta la sua inadeguatezza" (tesi n. 5), "Le organizzazioni troppo ordinate rischiano l’estinzione" (tesi 18), "Nelle nostre organizzazioni c’è molta più intelligenza di quella che il management è disposto a riconoscere" (tesi n. 20)". Sono tutte affermazioni che riportano ad un caposaldo dello Humanistic Management: il difetto d’origine del cosiddetto scientific management è la persistente ricerca di una formula in grado di dominare integralmente la complessità della vita e quindi delle imprese, mentre la realtà non consente più di essere regolata da un paradigma ordinatore dalla validità assoluta.

Citando ancora la Premessa del Manifesto dello Humanistic Management : "Il pensiero unico pervade  lo scientific management e se ne comprende facilmente la ragione: disporre di una dottrina e di un relativo complesso di formule per dominare intellettualmente e amministrativamente una pratica di vita quanto mai mobile e sfuggente quale quella della produzione è certamente suggestivo e apparentemente funzionale. Eppure, le dottrine e le formule, che si sono succedute, da Taylor in poi, hanno avuto quasi sempre vita breve, soprattutto negli ultimi due decenni. È interessante notare come, tramontata una dottrina e il relativo formulario, nessuno desideri più citarla e meno che mai fare ammenda per averla escogitata o raccomandata. Ad ogni modo, i ripetuti fallimenti delle interpretazioni dell’azienda come macchina o come sistema perfetto hanno progressivamente lasciato spazio all’accettazione dell’imperfetto, dell’inconsueto, del non predeterminabile. Le vecchie metafore dell’organizzazione vengono sostituite da immagini provenienti da mondi ludici e legati alla dimensione del tempo libero (osservazione che anticipa di quasi dieci anni l'attuale crescente interesse verso la gamification, di cui ci ha parlato Stefano Besana in Social learning: come le aziende impareranno a imparare. Intervista a Stefano Besana e a cui è dedicato uno dei capitoli del Social Business Manifesto, firmato dallo stesso Besana, ndr). Ciò accade perché si afferma finalmente la consapevolezza che nel lavoro sono necessarie quelle attitudini creative che fino ad oggi sono sempre state confinate alla dimensione privata e considerate in antitesi con il concetto di professionalità. Decadono i metodi e le suddivisioni tradizionali dell’azienda e si avverte sempre di più la necessità di sperimentare approcci non verticali, non orizzontali, bensì multidirezionali e flessibili".

Convivialità e metadisciplinarietà

Un secondo elemento decisivo del Social Business Manifesto è dato da ciò che lo Humanistic Management chiama Convivialità, con riferimento al Convivio o Simposio platonico come luogo dominato dall’eros e dalla cooperazione discorsiva, regolata da un simposiarca (che diventa il "community manager" quando il social network diviene un "mondo vitale", cfr.il saggio Il mondo vitale di Facebook). Il modello conviviale dell’impresa è l’attualizzazione del potere di parola e d’iniziativa attribuito a tutti i soggetti-persone presenti nel sistema dello “stare insieme per”, attivi nel personigramma. E’ una traduzione sistemica della cooperazione attiva integrale, condizione essenziale della qualità totale e dell’innovazione continua. Una visione che gli estensori del Social Business Manifesto traducano in affermazioni quali: "Chi lavora si aspetta in qualche modo di poter partecipare al progetto organizzativo; il malessere è frutto dell’impossibilità di questa partecipazione" (tesi n. 8), "Guardare al mercato tramite lenti del prodotto e segmenti sociodemografici ha perso di valore. Andiamo a caccia di passioni, bisogni, tribù" (tesi n. 47). 

In buona sostanza, tutto ciò conduce all'archetipo della social organization, che, come abbiamo avuto modo più volte di sottolineare, pone al suo centro il concetto di community (cfr. Verso la Corporate Social Identity: come ripensare strategia e modelli organizzativi per vincere la sfida del Management 2.0). 

Per  realizzare la social organizzazion occorre una cultura manageriale improntata all' apertura e alla co-creazione di valore, come viene sottolineato spessissimo nel Social Business Manifesto: vedi tesi quali "La conoscenza viene generata e trasformata nelle conversazioni tra dipendenti, tra clienti e tra clienti e dipendenti", "Le conversazioni superano i muri e i ruoli e privilegiano relazioni di fiducia difficili da condizionare". Ovvero, nei termini dello Humanistic Management, occorre quella metadisciplinarietà che consente di sviluppare, come recitava l'originale payoff di ideaTRE60, il primo social media dedicato ai progetti di utilità sociale da me progettato e avviato, "intelligenza collettiva per un mondo vitale". Concetto che gli estensori del Social Business Manifesto rendono così: "Collaborazione non significa (solo) coordinamento, pianificazione, gestione dei ruoli. Collaborazione significa mettere a frutto l’intelligenza collettiva". 

Tutti questi temi (complessità, convivialità, metadisciplinarietà) sono poi strettamente connessi ai nuovi modelli di leadership (ne abbiamo in particolare parlato qui: La social organization – parte quarta), questione ben presente agli autori del Social Business Manifesto (cfr. la tesi n.24 "Oggi grandi opere dell’uomo nascono dalle conversazioni,e spesso non hanno bisogno di manager" o la n. 45, "Le idee di clienti, dipendenti e fornitori sono buone quanto quelle del management"), così come agli estensori del Manifesto dello Humanistic Management: “E’ importante la condivisione della conoscenza, come fonte di possibilità esplorabili, di cui occorre riconoscere la specificità, ossia l’esigenza di rendere dialogico, non gerarchico, non unidirezionale, il suo uso: la conoscenza non è sottoponibile a gerarchia (perché perderebbe la sua efficacia)” (Manifesto dello Management, Decima Variazione Impermanente)

La nuova sfida dell'HR 2.0

La nostra analisi del Social Business Manifesto si ferma qui, almeno per il momento. Non senza mettere in evidenza però come gli autori richiamino con forza la necessità per la funzione HR di cambiare finalmente pelle e diventare  vera protagonista del cambiamento. Basterebbe ricordare la tesi n. 29: "I piani della Direzione Personale servono a coprire la paura di liberare l’energia e l’intelligenza presenti all’interno dell’organizzazione".

Tuttavia io credo che alla pars destruens debba seguire una pars costruens. E non ci si può limitare alla proposta di un catalogo di strumenti innovativi che peraltro talvolta rieccheggiano pericolose analogie con i vecchi attrezzi dello scientific management (mi riferisco in particolare all'articolo del Manifesto dedicato alla "reingegnerizzazione" dell'organizzazione in chiave social). Certo è verissimo che "I tuoi dipendenti vengono prima. Senza il loro coinvolgimento il tuo Marketing non sarà mai capace di coinvolgere" (tesi n. 43). Ovvero, troppo spesso le aziende pensano si possa essere 2.0 verso gli stakeholder esterni, mantenendo un rigido sistema organizzativo 1.0 per quanto riguarda gli stakeholder interni, i dipendenti (salvo poi ritenere che il social media marketing si risolva nell'aprire una pagina Facebook gestita da qualche stagista, con risultati spesso disastrosi, cfr. I 10 alibi del Top Manager ostile all’innovazione 2.0. Per dirla con le parole del Social Business Manifesto: "52.Aprire una pagina Facebook è facile. Aprire le porte dell’azienda ed accogliere i clienti è difficile").  Ne risulta una organizzazione 1,5.0 che non è nè carne nè pesce. E come è noto non si può essere incinta a metà: il tentativo porta al massimo a gravidanze isteriche. Lo stesso vale per la social organization e il Management 2.0. Ecco perchè la proposta dello Humanistic Management 2.0 si colloca a livello strategico: solo se il top management delle organizzazioni si convince che questa volta è di fronte ad un cambiamento che non consente scappatoie retoriche o di facciata, ma che rende necessaria una profonda rivisitazione dei propri modelli cognitivi, prima ancora che operativi, quindi una radicale rivisitazione della cultura aziendale, possiamo sperare in una svolta decisiva. Ed io personalmente credo che la Direzione HR debba assumersi la responsabilità di questo cambiamento, proponendosi come "regia tecnica" del processo di change management.

Ma in che modo, concretamente, avviare questo processo? Occorre una mappa su cui posizionarsi, definendo quale è l'attuale situazione dell'organizzazione; stabilire una rotta consapevole e condivisiva; definire quindi piani operativi  specifici, sistemi di governance chiari, parametri di misurazione del risultato strettamente connessi  agli obiettivi strategici aziendali.


Il modello di sviluppoIl modello dello Humanistic Management 2.0 si sviluppa lungo due direttrici: dodici fattori-chiave e quattro Stadi o Livelli di Sviluppo Organizzativo.

I fattori presi in esame sono:

1. Cultura
2. Strategia
3. Leadership
4. Community Management
5. Contenuti
6. Governance
7. Strumenti
8. Metriche
9. Gestione HR
10.Learning
11.Comunicazione
12.Corporate Responsibility / Social Media Marketing

 

Gli stadi o livelli di sviluppo organizzativo considerati sono:

1.Gerarchia/Burocrazia:  caratterizzato da un uso sporadico, mirato  e direttivo delle community

2.Comunità emergenti: caratterizzato dalla presenza di qualche progetto pilota che sperimenta  l’adozione di strumenti e processi social e dallo sforzo di capire le opportunità che una filosofia di management 2.0 può offrire all’organizzazione

3.Comunità diffuse: caratterizzato da un programma  dedicato per lo sviluppo di community ben definite, dai ruoli strutturati, mirate a specifici obiettivi aziendali, con parametri per la misurazione della loro efficienza/efficacia

4.Rete: caratterizzato da una strategia corporate guidata da concetti di apertura dei confini organizzativi, co-generazione di valore, trasformazione delle famiglie professionali in learning community.

Ecco allora che un Modello di Sviluppo Organizzativo di questo tipo può essere utilizzato:

come framework per l’individuazione del posizionamento dell’organizzazione nel suo complesso e di specifiche business unit rispetto a logiche/processi di management 2.0

come strumento per l’avvio di  gap analysis su uno o più dei fattori considerati

come bussola per favorire un riallineamento di processi e metodi di lavoro

come roadmap per un processo di sviluppo evolutivo (a livello macro e/o micro)

come modalità per organizzare le attività training, comunicazione, gestione hr, social innovation

come base per ordinare le community interne/esterne e identificare la necessità di costruirne di nuove (eventualmente anche abolendo quelle che non funzionano).

Il fondamento etico

Ma tutto questo si ridurebbe ancora a sterile esercizio manageriale, se non fosse accompagnato da una autentica ricostruzione del fondamento etico in base al quale opera l'organizzazione. Questo è un punto su cui il Social Business Manifesto non si sofferma abbastanza (non reputo che sia sufficente ad esaurire la questione il fuggevole riferimento all'economia del dono: "39.Dall’economia della conoscenza all’economia del dono…"). E' essenziale invece riprendere il messaggio dello Humanistic Management: "Non si tratta dunque tanto di umanizzare i metodi, le strategie, le modalità relazionali, quanto piuttosto di concepire la direzione e la gestione come progettualità e monitoraggio culturale continuo, riattribuendo al management una sua più alta funzione pedagogica ed etica: un tema, quest’ultimo, su cui gli “scientific manager” hanno accumulato grossi equivoci. La loro preoccupazione, comprensibile, è di fondare l’etica su un terreno solido, pertanto organizzativo tradizionale, a evitare che si riduca a una semplice professione di buone intenzioni. Prevedono pertanto sanzioni, commissioni disciplinari, codice etico e codice rosso. Si giunge così a formule quali “etica degli affari”, “effetto di reputazione”. Formule deterministiche che nulla hanno a che fare con la natura dell’etica. L’etica, tutt’al contrario, sprigiona forza ed energia vitale, soltanto se formulata e praticata come libero impegno, se non sanzionata, se non soggetta a procedure giurisdizionali. L’etica vive e ha senso soltanto in un clima, in una cultura e come obbligazione liberamente assunta e personalmente professata, appoggiata da una testimonianza che, in primo luogo, deve essere top down. L’etica libera – ma l’espressione è tautologica – comporta il depotenziamento di tutti gli strumenti di indirizzo e di controllo gerarchici, centralizzati, sanzionatori, punenti e persino premianti a favore di una autonoma convergenza di iniziative, insieme all’autocontrollo e a una responsabilità personale liberamente assunta" (Manifesto dello Humanistic Management, Quattordicesima Variazione Impermanente)

 

Appendice: Social Business Manifesto: Le 59 tesi 

1. Il caos è una semplicità che non siamo ancora riuscitia vedere

2.Le organizzazioni sono conversazioni

3.L’entropia nasce dal cercare di usare strumenti nuovi per fare cose vecchie, o dall’usare strumenti vecchi per fare cose nuove

4.La mail è superata da piattaforme di scambio più aperte ed emergenti. Le organizzazioni dovrebberoabolire l’utilizzo della mail al proprio interno

5.Davanti a problemi sempre più complessi e interconnessi, l’architettura decisionale rappresentata dai modelli di impresa e di governance contemporanei– ancorati ad un principio di tipo gerarchico e di comando-controllo – mostra tutta la sua inadeguatezza

6.La strada deve essere la cultura del rischio: senza rischi non si aprono nuove prospettive

7.I clienti conoscono i prodotti molto più delle impreseche li producono

8.Chi lavora si aspetta in qualche modo di poter partecipare al progetto organizzativo; il malessere è frutto dell’impossibilità di questa partecipazione

9.Per vedere fenomeni nuovi bisogna costruire strumenti nuovi di analisi e misurazione

10.Le organizzazioni sono organismi viventi. Prima ancora di generare prodotti generano e trasformano conoscenza

11.Questa capacità di generare e trasformare conoscenzale fa emergere o declinare nell’economia della conoscenza

12.La conoscenza viene generata e trasformata nelle conversazioni tra dipendenti, tra clienti e tra clienti e dipendenti

13.Le conversazioni superano i muri e i ruoli e privilegiano relazioni di fiducia difficili da condizionare

14.Il punto debole del knowledge management è il management

15.La collaborazione è la sfida delle organizzazioni contemporanee. Abbiamo solo iniziato ad occuparcene;gli strumenti di gestione e di managementattualmente disponibili sono inadeguati allo scopo in quanto nati in un’altra epoca e per obiettivi opposti

16.Collaborazione non significa (solo) coordinamento,pianificazione, gestione dei ruoli. Collaborazione significa mettere a frutto l’intelligenza collettiva

17.Oggi abbiamo bisogno di unire, di creare storie e significati comuni, di coinvolgere le sensibilità personali,di trovare l’ingaggio delle persone

18.Le organizzazioni troppo ordinate rischiano l’estinzione

19.Le organizzazioni ad alta performance hanno come punti di forza la disorganizzazione e i legami deboli

20.Nelle nostre organizzazioni c’è molta più intelligenza di quella che il management è disposto a riconoscere

21.L’intelligenza presente nelle organizzazioni rimane oggi intrappolata nelle procedure, nei riti, nei ruoli

22.É difficile guidare una conversazione, è più facile alimentarla o farla tacere per sempre

23.Una crisi economica è anche una crisi di modelli di management e di organizzazione del lavoro

24.Oggi grandi opere dell’uomo nascono dalle conversazioni,e spesso non hanno bisogno di manager

25.Il sapere delle organizzazioni oggi sta più nelle connessioni che nei data base aziendali

26.Teamwork, integrazione, collaborazione: le organizzazionisi riempiono la bocca dei concetti più lontani dalla propria pratica

27.Il mercato ha oggi una intelligenza più rapida e articolata di quella delle organizzazioni

28.Le organizzazioni reagiscono agli stimoli del loro mercato con una velocità inversamente proporzionalealla propria dimensione

29.I piani della Direzione Personale servono a coprire la paura di liberare l’energia e l’intelligenza presentiall’interno dell’organizzazione

30.I clienti, come i dipendenti, cercano un contatto e un dialogo ma trovano muri di gomma con titoli altisonanti: call center, customer care, direct line

31.I consulenti rafforzano lo status quo: cercano di riportare la complessità all’ordine prestabilito ma così facendo aumentano solo l’entropia poiché spostano il disordine ad un altro livello

32.L’innovazione disruptive non avviene nei dipartimenti di Ricerca e Sviluppo: avviene mescolando punti di vista e saperi in connessioni nuove e aperte

33.Le Intranet a senso unico sono inutili; le Social Intranet oggi possono diventare il sistema nervoso che permette a un organismo di sentire e di agire come un’unità: permette lo scambio degli stimoli, l’accumularsi della memoria, il formarsi dell’identità, il coordinamento delle azioni

34.Oggi c’è bisogno di unire: collegare i punti (vision) ma anche collegare le persone e creare sistemi autopoietici

35.Reputation: è tutto qui

36.Centro e periferia sono concetti del secolo scorso: nella rete la centralità è funzione dell’autorevolezza e della visibilità

37.Ascoltare, ascoltare, ascoltare: è il cliente che ti dice chi sei

38.Nell’economia della conoscenza puoi non sapere tutto ma devi essere ben connesso

39.Dall’economia della conoscenza all’economia del dono…

40.Il processo di business emerge dal basso, apprende continuamente, si adatta a partire dai feedback di dipendenti e clienti

41.Per pensare in un modo nuovo: abbandoniamo le slide e ristrutturiamo gli spazi di lavoro

42.Ascoltare le conversazioni non basta. Bisogna estrarne senso e guidare il cambiamento

43.I tuoi dipendenti vengono prima. Senza il loro coinvolgimento il tuo Marketing non sarà mai capace di coinvolgere

44.Per costruire nuove organizzazioni non c’è bisogno di società di consulenza

45.Le idee di clienti, dipendenti e fornitori sono buone quanto quelle del management

46.Il Social Business non è una nuova tecnologia, è una nuova azienda

47.Guardare al mercato tramite lenti del prodotto e segmenti sociodemografici ha perso di valore. Andiamoa caccia di passioni, bisogni, tribù

48.Un’azienda è centrata sul cliente quando riesce a guardarsi da fuori, abbattendo le barriere sia all’internoche all’esterno

49.Innovazione dal basso non significa realizzare tutto quello che i clienti chiedono. Innovazione dal basso significa capire qual è il problema che i clienti vogliono sia risolto e aiutarli nel risolverlo

50.Socializzare i processi non significa creare altri silos, seppure sociali. Socializzare i processi significa abbattere i silos tradizionali e sociali

51.Lavorare per uno stipendio non fa mai la differenza. Le persone oggi cercano una missione comune

52.Aprire una pagina Facebook è facile. Aprire le porte dell’azienda ed accogliere i clienti è difficile

53.Le aziende non sanno quasi mai cosa il cliente desidera perché hanno sempre avuto paura di ascoltare

54.Le community di persone non si creano e non si gestiscono.Le community si attraggono e si coltivano

55.Il nuovo management è più vicino alla coltivazione di una community che alla guida di un gregge

56.Il cambiamento parte dagli early adopters, ma il cambiamento sostenibile arriva a tutti gli altri

57.Il servizio al cliente è il nuovo marketing

58.L’unico modo per bilanciare l’eccesso di informazioneda cui siamo sommersi è aggiungere ulterioreinformazione che agisca da filtro

59.Ha fatto più innovazione negli ultimi 15 anni un gruppo di ragazzini che IBM, Microsoft e Oracle messi insieme

Pdf dei testi:

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Scarica 1. Social Business Manifesto

  • Giovanni Re |

    Domani stamperò le tesi in grande formato, ricoprendo tutto il corridoio in azienda. Fortunatamente abbiamo una community e stiamo perseguendo da tempo queste linee guida. Il vero problema sono i colleghi commerciali e i detrattori che vedono il nostro lavoro in parte superfluo in quanto non misurabile. La mia affermazione, in linea con la tesi 35 dice: “il vero ROI è il ritorno di REPUTAZIONE.”

  • Raffaele conte (@Socialmedia_RC) |

    Credo che la parte più importante sia questa “l primo elemento che il Social Business Manifesto mette in luce è l’incapacità delle organizzazioni attuali di gestire la complessità crescente delle organizzazioni”
    E’ quella che le aziende italiane non riescono a migliorare

  • Paolo Zanenga |

    Caro Marco, concordo con la necessità di dialogo sui temi posti. C’è una generica consapevolezza di convergenza tra molteplici sviluppi coesistenti, alcuni di lungo periodo, altri più veloci o passeggeri. La collezione di buzzword e frasi candidate alla celebrità testimonia di una nuova narrazione, ma credo che il segno di una nuova civilizzazione sia proprio l’uscita dalla soggezione a qualsiasi “io narrante”. Le organizzazioni, le comunità e le stesse narrazioni sono oggi, come ieri e come sempre, fenomeni emergenti da contesti connotati soprattutto dai mutamenti della tecnologia a disposizione (in più e anche in meno), che dipende a sua volta da una dinamica del tutto serendipica, di cui i moderni hanno cercato di appropriarsi interpretandola come “conquiste”, “progresso”, ecc. Oggi ci rendiamo conto che non possiamo controllare ciò che è sempre stato fuori dal nostro controllo, e dobbiamo di nuovo imparare a nuotare – cioè a costruire un nostro mondo, anziché pensare di governare quello che avevamo scambiato per vero.

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