La rivoluzione social e le aziende nell’ultimo libro di Bennato

BennDavide, non Eduardo o Eugenio. Non si tratta quindi di canzonette ma di  Sociologia dei media digitali: giusto il titolo dell’ultimo libro (edito da Laterza) del professore che insegna la materia presso l’università di Catania. 

Il testo propone una panoramica attualissima su quello che è oggi il Web partecipativo, in termini di modelli  sociologici concretamente applicati (specialmente nel secondo dei tre capitoli in cui si articola il testo) rispetto agli strumenti di comunicazione 2.0 più noti e usati oggi in Rete:dai social network come Facebook e Twitter, ai blog, ai wiki, alle piattaforme di condivisione come Youtube.

E’ quindi interessante vedere come le analisi di Bennato incrocino i 15 topics dell’indagine Delphi 2.0 La rivoluzione social e le aziende, che abbiamo lanciato pochi giorni fa qui, con la presentazione ufficiale e  l’annuncio del go live. Quella che segue è ovviamente solo una rapida sintesi che non rende giustizia della ricchezza del libro, ma può costituire una utile chiave di lettura.

1)     Il mondo come rete e conversazione. Il nostro Delphi parte dalla celebre affermazione del Cluetrain Manifesto (1999), secondo cui i mercati sono oggi divenuti conversazioni, ritenuta anche da Bennato una pietra miliare nella storia dei social media (p.54) e che conduce subito alla domanda cruciale: cosa è il Web 2.0 (termine coniato da Tim O’Reilly nel 2005)? Il termine è oggi piuttosto ambiguo e variamente utilizzato, ma possiamo convenire con Bennato che sostanzialmente rimanda a due concetti essenziali: “architettura della partecipazione e intelligenza collettiva, ovvero “quel comportamento collettivo di tipo cognitivo che prende forma attraverso le tecnologie che consentono l’aggregazione dell’intelligenza distribuita in diversi individui e gruppi sociali” (p. 60).

2)     L’apertura dei confini organizzativi. Come si afferma nella Premessa al Manifesto dello Humanistic Management, “per capire il presente e  guardare al futuro occorre promuovere apertura mentale, autoanalisi e riflessioni individuali, coniugate alla capacità di trovare continuamente soluzioni originali, attraverso una maniacale attenzione al contesto, a ciò che sta fuori”. Il primo principio della nuova economia social è proprio l’apertura dei confini organizzativi, fondata su trasparenza, condivisione di informazioni, opinioni ed esperienze con tutti gli stakeholder: clienti, partner, dipendenti, fornitori, comunità locali, associazioni, fondazioni.  In questo quadro, diventano cruciali le osservazioni di Bennato sul mobile. “I  social media diventano lo strumento per la creazione di un legame sociale che viene ad essere stabilito sul web, ma la cui potenza può esprimersi anche nel mondo fuori dal web grazie al contatto reso possibile dalle tecnologie mobili. Usando uno slogan, i social media sono la mente di un sistema sociale e culturale di cui le tecnologie di comunicazione mobile sono il braccio” (pp.71-72). 

3)      La co-creazione di valore. In  opposizione al tradizionale flusso top-down della catena del valore, il secondo principio della nuova economia social  è la co-creazione di valore che nasce dalla collaborazione orizzontale, conviviale,  da attuare all’interno dell’azienda e al suo esterno, con e fra tutti gli stakeholder. Diventa essenziale la valorizzazione della collaborazione emergente tra le persone indipendentemente da gerarchie e schemi organizzativi predefiniti. Non sorprende così che Bennato sottolinei come i servizi 2.0 abbiano la seguente caratteristica: all’aumentare del numero degli utenti aumenta il valore e la qualità del servizio. In effetti questo aspetto lo vediamo realizzato proprio nel nostro modello di Delphi 2.0, che, rispetto al metodo tradizionale, comporta l’aumento sia del numero di persone partecipanti (si passa in sostanza dal concetto di panel a quello di community) sia delle interazioni fra di loro (che nel Delphi tradizionale sono del tutto escluse).

4)     La trasformazione del modello operativo e cognitivo. Il passaggio dal Management 1.0 al Management 2.0 è non solo un cambiamento di modello operativo, ma una vera trasformazione del modello cognitivo, mentale, culturale. In particolare secondo Bennato: “l’attuale panorama della comunicazione nel web si è spostato da un semplice processo di accesso alle informazioni ad un processo più complesso di costruzione e manutenzione delle relazioni sociali… alla base vi è il concetto di infrastruttura, poiché è in atto un processo di riorganizzazione e ripensamento delle istituzioni sociali che riproduce la dinamica disintermediazione/re intermediazioni” (pag. 45).

5)     Il ruolo critico della funzione HR. Il ragionamento che sviluppiamo nel Delphi ci porta a discutere il ruolo degli HR manager: andrebbero ripensati radicalmente gli obiettivi loro assegnati e la relativa valorizzazione economica in termini di risultati coerenti con un contesto strategico ispirato ai principi di apertura, trasparenza, co-creazione del valore fondativi della nuova organizzazione social oriented. Parlando dei social network, infatti,  Bennato sostiene che “nascono più con l’intento di gestire la propria rete relazionale che di sostituirsi ad essa” (p.107). In altre parole, non bisogna mai dimenticare che le relazioni online integrano quelle offline: il che significa, trasponendo il concetto in azienda, che la socialità aperta che viene incentivata ad esempio tramite la richiesta di commenti a un blog corporate, non può essere smentita da una socialità nei rapporti “reali” ancora ispirata al modello del “comando e controllo”. Inoltre, da ciò scende che non si può essere 2.0 verso l’esterno e 1.0 al proprio interno: la rivoluzione social o attraversa tutte le conversazioni aziendali, esterne ed interne, o non è.

6)     Il commitment diffuso. Nel suo libro, l’autore ci ricorda che le componenti dell’intelligenza collettiva (colonna portante del Web 2.0) sono essenzialmente tre: “collaborazione, coordinamento e tecnologia. Collaborazione, perché le persone coinvolte nel progetto di produzione della conoscenza devono decidere autonomamente di far parte del progetto e partecipare secondo le proprie intenzioni e possibilità. Coordinamento, perché è necessaria una forma di distribuzione dei compiti non gerarchica che rispetti le competenze (e le intenzioni) delle persone coinvolte. Tecnologia, perché rende possibile l’aggregazione di intelligenze individuali in maniera scalare”.

7)     La social corporate identity. L’introduzione in azienda del Web 2.0 produce una inevitabile ridefinizione della corporate identity in una ottica appunto social, che passa in primo luogo dal ripensamento dell’identità dei singoli “clienti interni”. Può essere utile allora ricordare con Bennato che, per quanto riguarda le strategie d’uso dei social network, è necessario distinguere due categorie: gli utilizzatori e i non utilizzatori. Gli utilizzatori possono essere classificati in cinque idealtipi: i socializzatori alfa, che usano questi siti in maniera intensiva per flirtare e divertirsi, ma che sono la minoranza degli utenti; i cercatori di attenzione, che bramano i commenti degli altri; i seguaci, che sono la maggioranza e che usano questi siti per monitorare le attività dei propri pari; i fedeli, anch’essi presenti in maniera cospicua, che sono interessati a tenere i contatti con i vecchi amici o colleghi; i funzionali, che hanno un interesse ben preciso (ad esempio, un gruppo musicale). Fra i non utilizzatori, le categorie chiave sono tre: i preoccupati per la sicurezza online, gli inesperti tecnologici e coloro che hanno un rifiuto ideologico verso Internet (pp.95-96). Credo che sia fondamentale traslare il ragionamento e valutarne gli effetti  rispetto a quanto può avvenire quando gli utenti di un sistema di comunicazione 2.0 diventano gli stakeholder interni ed esterni all’impresa.

8)     La formazione 2.0. Su questo versante, il modello di riferimento forse più importante è il wiki, cui Bennato dedicato uno specifico paragrafo. Penso sia utile ricordare qui la definizione che viene proposta dall’autore. “Il termine wiki… indica una particolare classe di software il cui scopo è la possibilità di creare siti in cui chiunque sia registrato può contribuire alla produzione di contenuto. I wiki hanno alcune soluzioni tecniche – le pagine di commento, gli spazi per la sperimentazione, l’archivio delle modifiche – che rendono semplice negoziare la propria attività rispetto alla community che si riconosce in quello specifico wiki. Ogni wiki infatti è l’espressione di una specifica comunità… un wiki quindi non è solo un sito per l’editing collaborativo, ma uno spazio socio tecnico caratterizzato da specifiche regole di appartenenza e uso sociale”.  E’ evidente già da queste poche righe che il wiki è  uno strumento potentissimo per vincere la sfida della trasformazione delle tradizionali e rigide “famiglie professionali” in vere e proprie “learning communities”.

9)     La comunicazione 2.0. Come dimostra il caso Vodafone, il blog è forse lo strumento più usato attualmente nelle aziende impegnate nelle pratiche di management 2.0. Utilissima quindi è la lettura del paragrafo intitolato Blog: la dimensione dialogica (pag. 72), dove se ne ricostruisce la storia e le attuali evoluzioni.

10)  L’innovazione sociale. Proprio come ho a suo tempo sottolineato definendo la mission originale di ideaTRE60, il primo social media focalizzato sulla social innovation (“intelligenza collettiva per un mondo vitale”) anche nel testo di Bennato si considera il concetto di intelligenza collettiva (vedi ssopra, punto 1 e 6) come centrale per sviluppare innovazione sociale. La sua messa in pratica è legata poi ai modelli del “diffusionismo  e dell’addomesticamento”,  che il professore catanese esamina in dettaglio (pp. 64 e sgg.). Mi interessa qui sottolineare  il ruolo dei cosiddetti evangelist, “ovvero coloro che sono chiamati a portare la buona novella”. Si tratta di figure chiave per il successo dei processi di change management interni alle organizzazioni aziendali.

11)  Sostenibilità 2.0. La Sostenibilità, affermiamo nel nostro Delphi online, deve trovare messaggi, modalità e strumenti di dialogo aziendali con stakeholder interni e/o esterni diversi da quelli tradizionali, ormai insufficienti. Il tema è toccato  da Bennato, secondo cui “l’onnipresenza della tecnologia in qualsiasi aspetto della vita quotidiana ha come conseguenza quella di interagire con la delicata sfera dei valori individuali e con il modo in cui la società si relaziona ad essa” (pag. 123)”.

12)  La CSR 2.0. Così il tema valoriale diviene centrale anche per Bennato che dedica l’intero terzo capitolo di Sociologia dei media digitali alla "dimensione etica della network society”. L’autore propone una prospettiva che chiama tecnoetica, che si presenta con tre specifiche connotazioni: l’idea che la tecnologia sia una forma di potere, che non sia una forza neutrale ma che porta con sé una specifica visione del mondo e che abbia un fortissimo impatto antropologico. Ad ulteriore riprova che l’introduzione di sistemi 2.0 in azienda non è un fatto solo tecnico legato agli strumenti, ma che incide profondamente su convinzioni, comportamenti e valori.

13)  La nuova leadership. La possibilità di evolvere verso forme di Corporate Social Responsibility e Sostenibilità meno retoriche e più incisive di quelle tradizionalmente perseguite dalle aziende, e più in generale di arrivare al Management 2.0, passa anche attraverso la capacità di sviluppare una nuova forma di leadership convocativa a tutti i livelli manageriali. A questo proposito è utile l’esame che Bennato fa dei modelli di inclusione, esclusione e adesione che emergono dall’esperienza di Wikipedia, che come è stato dimostrato anche da una accanita discussione svoltasi in questo blog, sono tutt’altro che pacifici.

14)  L’empowerment basato sulla condivisione di valori. Nel quadro economico attuale, segnato dalla rivoluzione  social ma anche da una profonda crisi a livello mondiale e dall’emergere di nuove modalità contrattuali,  l’empowerment coniugato a forme flessibili di retribuzione, di orario, di organizzazione (ad esempio il televoro, citato anche da Bennato) si ottiene solo se la persona trova consistenti ragioni di adesione psicologica alla mission della società di appartenenza. La rivoluzione social richiede un profondo ripensamento di comportamenti manageriali che mai come oggi devono essere ispirati da una forte visione etica. Che deve confrontarsi ancora una volta con prospettive nuove, come quella dell’”etica hacker “una nuova concezione del lavoro che rigetta i valori tipici dell’etica capitalistica e li sostituisce con altri: passione, libertà, valore sociale, apertura, creatività” (p. 131).

15) Un nuovo dominio manageriale. Si potrebbe ribattere: bello, ma le aziende non sono associazioni benefiche: tuttavia la sfida sta qui,  nella loro capacità di essere culturalmente flessibili, ovvero in grado di declinare i propri obiettivi di business in termini accettabili per le persone, attraverso il  continuo  dialogo interno e la realizzazione di una socialità reale, fondata non solo sul dispiegarsi delle informazioni (che è comunque il prerequisito alla formazione di una responsabilizzazione diffusa), ma sulla costruzione di un rapporto fondato su apertura, fiducia, trasparenza, condivisione, fra collega e collega, fra manager e collaboratore, fra fornitore e cliente, fra azienda e territorio. Un rapporto che disegna un nuovo dominio manageriale da realizzarsi online e offline, attraverso i supporti tecnologici così come tramite le interazioni “reali” e concrete fra le persone.