Fisiopatognomoscopia X
Nel 1542, a 62 anni, Lorenzo Lotto scrive nel suo testamento “Solo, senza fedel governo e molto inquieto nella mente”, ove “fedel” è da intendere “su cui poter fare affidamento.” I veneziani suoi concittadini lo trascuravano per Tiziano. Decise allora di farsi oblato presso la Santa Casa di Loreto, donando i suoi averi e il lavoro degli ultimi due anni di vita.
Nato nel 400, dal quale accoglie l’architettura della massa corporea della figura umana, pittore rinascimentale per la compostezza della composizione, Lorenzo va oltre e anticipa l’età barocca con l’animazione drammaturgica delle sceneggiature e il movimento attoriale della figura umana. Allievo di Giovanni Bellini, guarda ad Antonello e da lui apprende la messa in scena dei personaggi. Non trascura la lezione di Dürer, presente a Venezia, e ne accoglie sprazzi di luce fredda e piani taglienti, lontano in ciò dalla morbidezza e dalla fusione coloristica del contemporaneo Giorgione.
È avido di conoscenza, ma con la Deposizione di Jesi (1512) e con la Trasfigurazione di Recanati (1513), assume un proprio definitivo linguaggio e si libera, non senza sofferenza, dalla soggezione tizianesca.
L’Annunciazione della Pinacoteca Comunale di Recanati illustra compiutamente la sua poetica e la sua scrittura. L’ambiente domestico e il paesaggio dello scorcio sono rinascimentali, le figure, specie l’angelo, sono monumentali e masaccesche, animate tuttavia, espressionisticamente, con accenti baroccheggianti.
Così come nell’ufficio della gabella della Vocazione caravaggesca, anche qui l’interno è immerso nell’oscurità e la finestra non dà luce, pur essendo l’ambiente esterno dello scorcio – vi campeggia però la figura di Dio padre – luminoso. È la consueta dialettica oscurità mondana/luce divina. A rinforzo, la candela sulla scansia è spenta e una clessidra su uno sgabello – esso però luminoso – è coperta da un panno. Oscurità e arresto del tempo sconvolti dall’evento (étimo: venuto da fuori) dell’Annuncio.
Dio, dall’alto, comunica a Maria, attraverso le mani congiunte, la sua potenza, l’angelo irrompe come un vento e porta luce, riflessa (nell’originale, non nella riproduzione) sul volto di Maria. Vento e fiamma con cui lo Spirito discende come nella scena della Pentecoste (Atti degli Apostoli, 2,1).
L’angelo, in primo piano, diverge dall’iconografia tradizionale. È massiccio e muscoloso, lo sguardo acceso, l’espressione concitata. I capelli sono ancora sollevati dal controvento del volo e la tunica è schiacciata sul corpo.
È colto nel momento in cui, visibilmente, pone il piede a terra. Sprazzi di luce sulla chioma e sul braccio. È luce che lo spinge e che irraggia nell’ambiente. Inquietante il giglio che porta in mano, simbolo della verginità del concepimento. Annuncia una gravidanza extraconiugale che spiazza la giovinetta. Il suo viso denota non accoglienza, ma profondo turbamento, le labbra sono serrate e tirate. Il gatto di casa fugge atterrito, la schiena e la coda arcuate, il volto rivolto all’intruso con gli occhi sbarrati. Anche la natura si ritrae.
Maria, pur avendo abbandonato il libro e l’inginocchiatoio, non guarda l’angelo; guarda ad se ipsam, segno di un pensiero interiore. Avverte però la forza della nuova presenza. Anche le sue vesti sono agitate dal vento, il mantello si alza sulla spalla e un lembo è rattenuto sotto il braccio. Le mani sono aperte in avanti, non parallelamente al petto come nell’Annunziata di Antonello del Palazzo Abatellis di Palermo, ma in obliquo, a indicare diniego e, al contempo, turbamento.
Quest’opera di Lotto è una smentita, e forse anche una protesta, contro la santità per destino e per immediata adesione. Maria, al momento, è una ragazza che valuta le conseguenze sconvolgenti, sul piano umano ed esistenziale, di quell’annuncio.