Astrogrammi – 1. Il Viandante

Coelum mutant non animum qui trans mare currunt

ovvero il Viandante a Trude

Di Andrea Biggio.

Il Viandante è un archetipo dell’uomo che, nell’esagramma 56 del Yi Jing (Il Libro dei Cambiamenti – I Ching), viene descritto dall’antica filosofia cinese; molti secoli prima che noi ne afferrassimo il concetto con Kant: “il cielo stellato sopra di noi, la legge morale (cioè… l’anima, direbbero Hillman e Jung) dentro di noi”. I due trigrammi che compongono le linee sono costituiti dal FUOCO sopra “la Montagna”, una stupenda immagine per rendere il passaggio del viandante che allo scopo di riscaldare il suo breve soggiornare si è acceso un fuoco. Una gran parte degli uomini sono al tempo d’oggi dei viandanti, anticamente lo erano solo nomadi e conquistatori, perché difficilmente trovano un posto che gli conviene realmente, lungo il corso dell’esistenza oppure semplicemente in certi periodi.

L’archetipo del viandante viene reso dai cinesi del Yi Jing con l’ideogramma  . Esso è variamente tradotto con viandante, voyageur, traveling, soggiornare; il suo etimo pittografico è rappresentato da più uomini che si riparano sotto un albero (o per altri sotto una bandiera) e ciò lo fa tradurre pure con folla, numerosi, brigata di soldati, truppa. Come in tutti gli archetipi, vi è una potenzialità assoluta. Qui vi troviamo quella dello spostarsi fuori dagli usuali punti di riferimento, pur restando centrati. Ci si può destabilizzare senza destabilizzarsi interiormente, per esplorare situazioni nuove: vi sono spesso circostanze o periodi della vita durante i quali non ci si può fermare dentro uno stato di cose, ma bisogna procedere oltre e perdere, per almeno un certo tempo, le abituali coordinate entro le quali ci muoviamo abitualmente:luoghi (anche interni) e persone. Durante il cammino, infatti, si riducono molto i rapporti con parenti ed amici: siamo in viaggio. Partire è un po’ morire! La potenzialità dell’archetipo si realizza solo quando riusciamo ad entrare in relazione con i nuovi ospiti, quelli che abbiamo incontrato nel camminare, con l’altro da sé: ciò che realmente ci mette in contatto con il nostro andare per via.

Che succede quando il Viandante arriva a Trude? Ma, prima ancora, che posto è Trude? Italo Calvino così tratteggia questa “città invisibile”. Se toccando terra a Trude non avessi letto il nome della città scritto a grandi lettere, avrei creduto d’essere arrivato allo stesso aeroporto da cui ero partito. I sobborghi che mi fecero attraversare non erano diversi da quegli altri… Seguendo le stesse frecce si girava le stesse aiole delle stesse piazze. Le vie del centro mettevano in mostra mercanzie… che non cambiavano in nulla. Era la prima volta che venivo a Trude, ma conoscevo già…; avevo già…; altre giornate uguali a quella…. Perché venire a Trude? mi chiedevo. E già volevo ripartire. – Puoi riprendere il volo quando vuoi, – mi dissero, – ma arriverai a un’altra Trude, uguale punto per punto, il mondo è ricoperto da un’unica Trude che non comincia e non finisce, cambia solo il nome all’aeroporto. Della città di Trude hanno parlato in termini sociologici di omogeneizzazione, urbanistici ed estetici. Vi sono anche aspetti psicologici. E’ inutile che il Viandante vada a Trude se prima non si è munito di una “etica del viandante”, come la chiama Umberto Galimberti, una etica che dissolva recinti e certezze, una etica libera da mete, da punti di partenza e punti di arrivo, una etica che cerchi il centro non nel reticolato dei confini – che ci fanno sentire minacciati dall’immigrazione povera – ma “in quei due poli che Kant indicava nell’”anima” e nel “cielo stellato” che, per ogni viandante, hanno sempre costituito gli estremi dell’arco in cui si esprime la sua vita in tensione”. Oggi qui, domani là, come cantava Patty Pravo.

Trovo davvero interessante l’aspetto psicologico di Trude, di cui sono altro facile esempio gli innamorati delusi e abbandonati quando provano a cambiare vita e a dimenticare l’amato partner semplicemente cambiando città. Quante volte parenti e amici, in questi casi, consigliano il viaggio! “Parti” “Vattene dall’altra parte del mondo” “Stai via per un periodo” Ma no, risponde l’ammonimento di Orazio (Epistulae I, 11 v.27: Coelum non animum mutant qui trans mare currunt): non illudetevi di cambiare così facilmente stato d’animo e di ritrovare una serenità solo per il fatto di scappar via in un altro luogo, addirittura oltre oceano. In simili casi si arriva sempre a Trude, una Trude interiore, il cui angusto panorama e relativa ristretta visione del mondo non consentono di sfuggire a noi stessi. E quindi è con il “noi stessi” che dobbiamo fare i conti prima di decidere di partire per Trude, è con la nostra anima strapazzata che è bene relazionarsi allo scopo di esplorare prudentemente, qui prima che altrove, nuove possibilità ed altre…città invisibili.

  • Andrea Biggio |

    Nadia cara, ti piace scoprire I Ching, vero? Sono d’accordo con te: fondamentale questo archetipo del viandante! Grazie per aver aggiunto materiale interessante a quanto ho scritto.
    A me piace richiamare, a questo punto, anche Nietzsche, con qualcosa che mi riguarda in questo periodo:
    “Se in me è quella voglia di cercare, che spinge vele verso terre non ancora scoperte; se il piacere è un piacere di navigante; se mai gridai, giubilante: ‘La costa scomparve’. Ecco, anche la mia ultima catena è caduta, il senza-fine mugghia intorno a me, laggiù lontano splende per me lo spazio e il tempo, orsù! Coraggio! Vecchio cuore!”

  • nadia prato |

    Caro Andrea,
    che bello ritrovarti per il tramite della newsletter di “Le Aziende In-Visibili” cui sono iscritta. Il tuo commento, all’Esagramma 53 – La Decisione, mi aiutò in un momento difficile e che stavo “trascinando” dandomi la forza di prendere “la decisione”.
    Appena ho letto il titolo di questo tuo articolo su “Il Viandante” sono subito andata a leggere I CHING. Le sensazioni immediate che ho provato nella lettura mi hanno fatto entrare in contatto con “Il viandante” interno ed esterno che è in noi in nuce ed ho pensato che è una condizione da attraversare periodicamente in alcuni momenti di cambiamento nelle/delle nostre vite. Ho colto le energie dei “riti di passaggio” che ben ci ha descritto Van Gennep. Quando si è nella condizione del viandante occorre stare “accuorti”. Sul versante interiore si è viandanti in quei periodi in cui dentro di noi sta germogliando un cambiamento. Improvvisamente vediamo il mondo, lo stesso mondo che ci ha circondato fino a qualche giorno prima, come un mondo diverso. Ed a quel punto inizia la danza del riposizionamento del “nuovo sè” all’interno del “nuovo mondo” (mondo di prima ora visto con occhi diversi e mondo di prima che se noi cambiamo anche lui cambia) ed i giochi di riposizionamento sono aperti, si può anche scoprire che non c’è più la possibilità di costruire un nuovo riposizionamento e che è giunta l’ora di partire per un nuovo viaggio.
    Ho appena letto il tuo articolo. Trude c’è! E’ il rischio di tentare di ‘accorciare i tempi’ su una situazione che ci va stretta e allora via “diamoci un taglio” per scoprire che siam partiti da Trude e siamo arrivati dopo tutti quei chilometri…a Trude.
    Ed infine leggendo il tuo articolo mi è venuta in mente una fiaba di cui, ahimè, ignoro l’autore e che ho trovato su un libro di Jennifer Day:
    Io resterò a casa
    C’erano una volta tre sorelle…….
    C’erano una volta tre sorelle. Appena diventarono adulte, ognuna decise di cercare a modo suo la verità e il senso della vita; la prima sorella disse: «Mi occuperò dei malati e dei poveri. Ce ne sono così tanti, per le strade della città. Li guarirò e mi prenderò cura di loro».
    La seconda sorella disse: «Ovunque io guardi vedo persone in conflitto, gente che si combatte, popoli in guerra. Andrò a riconciliarli. Parlerò loro, e porterò loro la pace».
    La terza sorella disse: «Io resterò a casa».
    Passarono alcuni anni, e le prime due sorelle fecero ritorno.
    La prima sospirò e disse: «Non c’è speranza! Il fatto è che i malati sono troppi, troppi sono i poveri ed i senza tetto. Non ce la faccio!»
    La seconda sorella gemette e disse: «È impossibile metterli d’accordo. Non ne posso più».
    Entrambe si accasciarono sulle poltrone, e rimasero lì, spossate, a guardarsi l’un l’altra con la disperazione negli occhi. In un primo momento la terza sorella non disse nulla, poi riempì pian piano una scodella con dell’acqua fangosa: «Guardate qua dentro – disse – Guardate».
    Le due sorelle guardarono ma non videro nulla, a parte l’acqua fangosa.
    «Datele il tempo di depositarsi – disse la terza sorella – Aspettate» .
    Dopo un po’ guardarono di nuovo: ora l’acqua era limpida, e potevano vedere le loro immagini riflesse chiaramente, come in uno specchio. La terza sorella disse loro: «Quando l’acqua è agitata è fangosa, e non si vede niente. Ma quando è molto quieta diventa trasparente. La stessa cosa avviene per gli esseri umani: ci vediamo chiaro sono quando siamo quieti, molto quieti. Solo quando siamo quieti e possiamo vedere noi stessi riusciamo anche a vedere ciò che dovremmo fare, e dove dovremmo andare. Solo nella quiete possiamo trovare speranza e fiducia nel futuro, nei nostri stessi talenti, nelle nostre abilità e nella nostra creatività. Soltanto allora possiamo dedicarci con tutto il cuore e con amore alla cura per gli altri; perché allora soltanto non ci importerà più di eventuali ricompense o del frutto delle nostre azioni. Allora soltanto potremo davvero agire dal cuore».
    Grazie Andrea! E grazie anche a Marco Minghetti ed a Renato Bossi!

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