Il manager finzionale

Product247871 Per la serie Letteratura per i manager Enzo Riboni questa settimana commenta: Finzioni, di Jorge Louis Borges.

Quando la logica matematica passa attraverso la letteratura fantastica, nasce una reciproca e feconda ibridazione. Due antitesi apparenti che, messe l’una di fronte all’altra, scoprono di avere molte più cose in comune di quanto si possa pensare. Generando modi diversi di leggere il mondo e le organizzazioni umane, non escluse quelle aziendali.


E’ il caso di Finzioni, scritto tra il 1935 e il 1944 dall’argentino Jorge Luis Borges, una raccolta di racconti che vagano tra infiniti dello spazio e del tempo, tra doppi, specchi, sogni, labirinti della logica, libri introvabili. “Molte delle mie idee”, confessò una volta Borges, “le ho prese da libri di logica e di matematica che ho letto, ma che in realtà non ho compreso perfettamente”. Una vezzosa modestia che ci fa subito osservare: ben venga l’incomprensione matematica se dà frutto a quanto di più profondamente matematico abbia espresso la letteratura contemporanea. Una modestia che non appartiene a quei molti che ritengono l’umanesimo e la letteratura non avere nulla a che fare con le scienze e con la matematica in particolare, a causa di una aprioristica superiorità dei primi sulle seconde, della creatività e della fantasia sulla asetticità e aridità dei numeri (poiché l’incolto scientifico, in pieno strabismo crociano, vede la matematica come un banale e ragionieristico insieme di addizioni e sottrazioni).

E’ invece esattamente il contrario: tutti gli oggetti, i sistemi, i modelli matematici si basano su fantastiche ipotesi iniziali, su ardite invenzioni concettuali, su coraggiose finzioni linguistiche. E’ da queste basi che nasce quel meraviglioso “artificio” (che non a caso è il titolo della seconda parte di Finzioni) ipotetico-deduttivo che si chiama matematica e che, nonostante le sue basi fantastiche, sembra funzionare così bene nella realtà. Esattamente come succede con la letteratura di Borges che suggerisce un apparente paradosso: costruire mondi fantastici, dare spazio alle più ardite “finzioni”, è l’unico modo per carpire le verità più profonde della natura umana e del mondo reale.

E’ evidente, allora, la metafora aziendal-gestionale: visto che non è così netto il confine tra fantasia e ragione, le organizzazioni dovrebbero lasciare maggior spazio alla prima se vogliono ottenere una vera affermazione della seconda. Tutto era iniziato con i “circoli di qualità” giapponesi, in seguito esportati in diverse aziende italiane. Poi, progressivamente, dai livelli operai la sollecitazione ad una partecipazione creativa è salita verso i livelli professionali più alti. Il tutto però è restato entro ambiti controllati, che non hanno mai lasciato veramente spazio alla fantasia individuale. Tanto più che, passata la moda della “qualità totale”, la fantasia indipendente dalle “linee direttive superiori” è tornata ad essere una parolaccia, qualcosa che, con buona pace di Borges, non ha nulla a che fare con la logica e la razionalità. Soprattutto se poi non si è stimolato il contributo individuale con reali incentivi economici.

Ma le Finzioni di Borges spingono anche ad indagare quale sia il legame tra realtà, menzogna, errore e verità, suggerendoci che rapportarsi agli altri in un’organizzazione ritenendo di essere i depositari di una verità motivata dal nostro potere, può condurre a vagare senza fine verso un irraggiungibile riconoscimento di autorità da parte degli altri. E’ il caso della Biblioteca di Babele – probabilmente il racconto più famoso di Borges – che raccoglie tutti i libri ottenuti con tutte le possibili combinazioni di 25 simboli ortografici (22 lettere dell’alfabeto, il punto, la virgola, lo spazio). E dove quindi, “C’è tutto ciò che è dato di esprimere in tutte le lingue. Tutto: la storia minuziosa dell’avvenire, le autobiografie degli arcangeli, il catalogo fedele della Biblioteca, migliaia e migliaia di cataloghi falsi, la dimostrazione della falsità di questi cataloghi, la dimostrazione della falsità del catalogo fedele, l’evangelo gnostico di Basilide, il commento di questo evangelo, il commento del commento di questo evangelo, il resoconto veridico della tua morte, la traduzione di ogni libro in tutte le lingue”. Insomma un universo in cui, nei libri, c’è la risposta ad ogni quesito, la soluzione di qualunque problema, scientifico, umano, manageriale, finanziario, gestionale, religioso, filosofico, morale, politico, sociale. Tutto. Al punto che, un uomo fortunatissimo, potrebbe imbattersi nel libro della VERITA’. Tanto quanto, però, un altro potrebbe scoprire il libro del suo opposto, della FALSITA’ totale. Chi allora potrebbe distinguere l’uno dall’altro e dare la patente della verità a uno e della falsità all’altro? Se dunque la verità non esiste (o se c’è ma è introvabile) su quale principio di autorità, per esempio, può basarsi la gestione degli uomini in un’organizzazione?, direbbe Borges. Il quale ovviamente non dà risposte, ma ci invita a leggere i suoi racconti per moltiplicare le domande e, quindi, la volontà di ricercare.

E’ in questa proliferazione delle possibilità, in questa dilatazione incontenibile delle “finzioni” e degli “artifici” che, dice Borges, va cercata la realtà, per rendere vero lo sforzo creativo degli uomini. Una sorta di anticipazione, questa di Borges, dei mondi virtuali che, oggi, non solo coinvolgono persone (vedi “Second life”) ma che stanno diventando anche terreno di comunicazione per le aziende.

Insomma, una moltiplicazione delle chance attraverso un continuo rimandi di specchi. Anche se, avverte Borges, il pericolo è grosso: “Gli specchi e la copula sono abominevoli, perché moltiplicano il numero degli uomini”.

(Per saperne di più leggere: Il grande libro della LETTERATURA per manager, Etas, marzo 200)

Postato dalla personalità mutante di: Enzo Riboni

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