Capi senza organizzazione, organizzazioni senza capi.

Ori Brafman e Rod Beckstrom sono due giovani imprenditori del web che qualche anno fa hanno scritto un libro dal titolo intrigante: The Starfish and the Spider (La Stella Marina e il Ragno). La tesi che sostengono i due autori è molto semplice: se si taglia la testa di un ragno, il ragno muore; ma se si taglia la punta di una stella marina cresce un’altra punta, e da quella tagliata nasce un’altra stella.

Le organizzazioni tradizionali, centralizzate e gerarchiche sono come i ragni, non sopravvivono senza un centro che dirige le operazioni; ma oggi sono le stelle marine, organizzazioni decentralizzate che funzionano in assenza di una struttura, di una organizzazione formale e di una leadership chiaramente individuabile, che stanno rivoluzionando il mondo. Questo tipo di “organizzazioni senza leader”, come vengono definite, hanno dato origine negli ultimi anni a tanti fenomeni di varia natura che si sono affermati con grande forza in diversi campi: basta guardare, ad esempio, il successo del “peer to peer”, lo scambio di files video e audio che ha completamente trasformato in pochi anni il mercato della musica e messo in ginocchio le grandi majors discografiche; oppure la crescita rapida ed esponenziale dei sistemi “wiki”, a strati, di cui Wikipedia, ormai la più grande enciclopedia del mondo redatta, alimentata e costantemente controllata dai suoi stessi utenti, rappresenta l’esempio più celebre. La stessa Al-Qaeda, la cui esistenza come organizzazione formale è sempre stata oggetto di controversi dibattiti,  sembra essere priva di un centro operativo individuabile ed essere invece piuttosto composta da cellule auto-organizzate che hanno solo un riferimento “ideologico e ispirazionale” a Bin Laden. E l’elenco potrebbe continuare ancora a lungo, rappresentando il nuovo paesaggio di quella che sempre più spesso ormai viene definita la “rivoluzione degli utilizzatori”: i milioni di protagonisti del web di seconda generazione, che danno vita a fenomeni mediatici mobili e passeggeri, spesso imprevedibili e inafferrabili, ma che testimoniano di una capacità progettuale che sempre più viene vissuta in modo collettivo.

La “collaborative mind” che ne costituisce le fondamenta si basa su alcuni principi ben riconoscibili che alimentano l’innovazione: in primis la “serendipity”, cioè l’idea che la creatività si sviluppa “facendo circolare le idee”, attraverso la casualità di un processo stocastico fondato sulla aggregazione spontanea, mobile e sempre più veloce di energie all’interno di un processo di cambiamento costantemente in corso; poi, la convinzione che la forza progettuale della collaborazione può essere molto più efficace per alimentare in modo costante il mutamento della capacità di controllo unilaterale secondo un processo logico-razionale.

Le organizzazioni senza centro di cui parlano gli autori non sono un fenomeno totalmente nuovo, poiché sono in qualche modo sempre esistite nella storia dell’umanità. Oggi tuttavia ritornano prepotentemente alla ribalta dell’attenzione generale perché sembrano essere animate dalla stessa logica che costituisce la forza propulsiva del web e che stabilisce le nuove regole del cyberspazio; perché, oltre a non avere un vero e proprio centro, una gerarchia, una struttura formalizzata di comando, esse sono, per lo più, gestite con l’esempio e attraverso la condivisione di un sistema di valori, in assenza di un chiaro sistema coercitivo che imponga regole, obblighi e compiti. E dunque alla guida dell’organizzazione non troviamo il classico CEO ma, secondo la definizione di Brafman e Beckstrom, un Catalyst, un catalizzatore, che svolge soprattutto il compito di ispirare le persone all’azione facendo leva sulla collaborazione, la fiducia, e la capacità di influenzare gli eventi. Proprio per questo i Catalysts, dicono gli autori, “funzionano molto meglio come agenti di cambiamento che come guardiani della tradizione…. Portano innovazione, ma creano anche una buona dose di caos e di ambiguità.”

In questo nuovo paesaggio in trasformazione, nel quale l’idea di società stabili e saldamente organizzate sembra essere sempre più destinata a tramontare, possiamo immaginare che possa esistere un nuovo spazio per il fenomeno carismatico?

All’inizio del nostro excursus sul carisma avevamo ipotizzato che carisma e leadership, che spesso nel linguaggio comune tendono a essere sovrapposti e a essere usati come sinonimi, non fossero tuttavia assolutamente la stessa cosa. A questo punto però possiamo finalmente affermare che non solo carisma e leadership non sono la stessa cosa, ma che, anzi, sono in qualche modo due fenomeni opposti: laddove infatti la leadership rappresenta un concetto organizzativo, funzionale rispetto a un obiettivo, declinabile in capacità, definibile, trasferibile, che richiede una precisa gerarchia e una organizzazione con dei ruoli ben definiti, e che soprattutto è centrato su skills individuali,  il carisma tende invece a connotarsi come un fenomeno instabile, transitorio, che tende a sfuggire a ogni possibilità di controllo, e la cui forza propulsiva si radica nella relazione e in un progetto collettivo che mettono generalmente in crisi il concetto stesso di organizzazione e costituisca una sfida per il potere costituito.

E mi piacerebbe usare come esempio, la settimana prossima, quello che sta accadendo nelle elezioni presidenziali USA con Barack Obama. 

Postato dalla personalità mutante di: Elisabetta Pasini