Alla luce dell’ombra – 2

L’esorcismo dell’ombra che accompagna la favola platonica appare a prima vista funzionale a una potente strategia di pensiero. Si tratta del trionfo di una metafisica mimetica della luce intellettuale e incorporea. Per noi, incatenati nella caverna, «la verità non può essere altro che le ombre degli oggetti artificiali»; ma se uno di noi «fosse sciolto – costretto improvvisamente ad alzarsi, a girare attorno il capo, a camminare e levare lo sguardo alla luce; che così facendo provasse dolore e il barbaglio lo rendesse incapace di scorgere quegli oggetti di cui prima vedeva le ombre…»[1] – potrebbe allora iniziare un percorso che trascorrendo dal dubbio alla verità conduce alla morte violenta.

E’ dunque con l’accurata scelta di una metafora visiva che equipara visione e cognizione che viene descritto il processo interiore della conoscenza. Si tratta, per chi fosse costretto ad alzarsi, di         abituare    lo sguardo «se vuole vedere il mondo superiore. E prima osserverà, molto facilmente, le ombre (skias), poi le immagini (eidola) degli esseri umani e degli altri oggetti nei loro riflessi nell’acqua, e infine gli oggetti stessi; da questi poi…»[2]. L’ombra appare come infima tra le immagini, e quindi “prima” tra le immagini («intendo per immagini in primo luogo le ombre (skias), poi i riflessi nell’acqua e in tutti gli oggetti formati da materia compatta, liscia, lucida, e altre cose dello stesso genere»[3]), per il suo grado di illusorietà. Il mondo superiore, sarebbe allora un mondo senz’ombra, come quello dipinto, talvolta, da Matisse.

2. continua


[1]              Rep. 515c-d

[2]              Rep. 516a

[3]              Rep., 510a (trad. modificata)

  • Marco Minghetti |

    Questo primo movimento, dopo l’introduzione iniziale, della riflessione di Diodato sulla storia della Metafisica interpretata come un plurimillenario “Esorcismo dell’Ombra” , muove inevitabilmente i suoi primi passi dalla caverna di Platone. Condivido in pieno l’idea di ripensare la Metafisica “alla luce dell’ombra”, sul crinale che porta dal dubbio alla Verità (e ritorno), dall’Essere all’apparire (e viceversa), ma tenendo sempre ben desta l’attenzione verso il mondo che ci circonda. Ecco allora che le parole con cui Diodato chiude questo “primo movimento” mi riportano alla mente le discussioni di questi anni sul “platonismo digitale”, evocato anche nel nostro romanzo collettivo. Mi riferisco in particolare all’Episodio 37, quando il Professor Bloomfields, prima di stramazzare ubriaco su un divano, dice: ” “È il paradosso dell’interruttore. Lo accendi per fare luce e… crei delle ombre. Luminosità ed oscurità sono gemelli siamesi. La luce assoluta fuori dalla caverna di Platone è una mera utopia. E se l’utopia che appunto lì si radica, quella di Moro, nel corso dell’epoca moderna si è trasformata nella distopia orwelliana, oggi si presenta sotto la nuova veste del platonismo digitale: la discussione sul mondo e sulla sua rappresentazione dove si suppone che l´umanità consideri vera quella che è solo l´ombra della realtà. Oggi l’utopia non è più solida di quanto non sia gassosa: è un’utopia polverizzata, corpuscolare, sospesa nel Cyberspazio. Ma se l´Iperuranio è lo schermo del Pc…”. Bloomfields non conclude il suo (s)ragionamento, ma potrebbe prendere in prestito le parole di Diodato: L’Iperuranio contemporaneo, non è il luogo senza ombre della Realtà Virtuale?

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