Come creare un piano aziendale di educazione all’uso dei Social Media?

Dalla Social Media Governance ai Piani di Comunicazione e Formazione 

Come consulente sempre più frequentemente vengo chiamato dalle imprese per mettere a punto la Social Media Governance aziendale attraverso quel processo di Community Mapping descritto nel volume L’intelligenza collaborativa. In grande sintesi, è un assessment organizzativo che consente la   focalizzazione sull’efficientamento dei processi di lavoro interni, attraverso la costituzione di community  online come leva propedeutica allo sviluppo di metodi di lavoro collaborativi che impattino anche sull’esterno coinvolgendo tutti gli stakeholder.

Quindi, come scrivo nel mio libro: “da qui devono emergere tutti gli elementi necessari a porre le basi per la definizione di un piano integrato di comunicazione, formazione e sviluppo che in particolare comprende:

  • quali e quante community collaborative avviare: chi collabora per il cambiamento (per esempio: una community per ogni processo chiave, per specifici progetti, community funzionali ecc.);
  • quali e quanti social media supportano le attività collaborative: dove si collabora (per esempio: corporate blog, wiki, forum, applicazioni 2.0 integrate alla intranet);
  • le modalità di coordinamento e di funzionamento delle community e la loro struttura organizzativa (owner, content manager, web editor ecc.): come si collabora;
  • la proposta di valore che definisce la vision e gli obiettivi di ciascuna community: perché si collabora (per esempio: obiettivi di miglioramento di prodotto/processo, education, diffusione e aggiornamento continuo di best practice ecc.);
  • i parametri di misurazione del ROI di ciascuna community”.

Parallelamente all’avvio di esperienze pilota, è opportuno redarre una Social Media Policy intesa innanzitutto come una guida pratica per i dipendenti, ma senza dimenticare la necessità di definire, anche in una seconda fase, un orientamento di Gruppo nei confronti di altri stakeholder (nel caso dei servizi finanziari, ad esempio, agenti e fiduciari), nonché di predisporre linee guida in caso di crisi e procedure per la definizione della costituzione delle future community (chi in azienda è deputato a richiederne la costituzione? Con quali modalità? In base a quale budget? Eccetera). Tutto questo dovrà essere naturalmente coerente e integrato con la Social Media Strategy di Gruppo.

In questo quadro, come dicevo sopra, assumono una particolare rilevanza  la redazione e l’applicazione di   un adeguato Piano di Comunicazione e Formazione.

Se la vostra organizzazione sta predisponendosi alla trasformazione in Social Organization, l’educazione al corretto utilizzo dei social media interni ed esterni è fondamentale, così come il potenziamento delle conoscenze e delle meta-conoscenze digitali, che in parte saranno comuni a tutta l’azienda, in parte specifiche per determinati processi e figure aziendali. Come individuare dunque il programma educativo ai social media più adeguato per la vostra specifica realtà aziendale?

Ad integrazione di quanto già descritto in un post dedicato, un interessante strumento per orientarsi su questo tema è offerto da HootSuite, che  ha recentemente pubblicato  una guida per la valutazione di “Social Media Education Programs“. Vediamone dunque qualche elemento fondamentale.

I  principali obiettivi della Social Media Education

Accelerare l’efficientamento dei processi collaborativi 

Educare ai media sociali è qualcosa di più che insegnare a fare o a non fare qualcosa. E’ la chiave per sbloccare il potenziale produttivo dei dipendenti e guidare la crescita del business attraverso un aumento del ROI prodotto dal lavoro collaborativo. Pertanto, il programma di educazione dovrebbe innanzitutto consentire ai dipendenti di comprendere chiaramente come l’uso dei social media interni ed esterni sostenga gli obiettivi strategici dell’organizzazione.

Allineare le attività svolte sui social media con la    strategia di business

Lo sviluppo dell’azienda come social organization dovrebbe sostenere obiettivi chiari e concreti, piuttosto che vaghe aspirazioni che non puntano a obiettivi di business reali. In questo quadro è decisivo da una parte l’allineamento fra conversazioni interne e conversazioni esterne, dall’altra l’individuazione di chiare Value Proposition per ciascuna delle community che si vogliono attivare. Ma solo se i membri delle community sono stati formati non solo alle nuove competenze digitali ma anche allo sviluppo della loro “intelligenza collaborativa” in chiave strategica potranno produrre valore aggiunto per l’azienda, ad esempio divenendo in grado di utilizzare utilizzare le metriche rilevanti per monitorare e ottimizzare l’impatto sul business dei  social media aziendali. Un programma educativo efficace è quindi fondamentale per riuscire a mettere il lavoro collaborativo svolto sui social media al servizio dei processi critici  del core business.

Coinvolgere i clienti 

Anche un team completamente dedicato alla attuazione della Social Media Strategy aziendale non può gestire da solo il volume complessivo di opportunità di vendita, servizio clienti, risposte a richieste particolari che inondano una azienda pienamente attiva sui propri canali social. La soluzione è quella di potenziare il numero di dipendenti che operano trasversalmente ai diversi processi critici che possano dare contributi nella relazione diretta con i clienti attraverso il web.
Diviene quindi    indispensabile    sviluppare le figure di Competence Leader, che nelle aziende tradizionali operano in un ambito di azione circoscritto a specifici silos verticali, in Knowledge Owner dei processi critici aziendali, affinché possano mettere a disposizione la propria conoscenza in tempo reale e in qualunque luogo dell’organizzazione questa si renda necessaria. Questo vale in particolare per lo sviluppo di processi innovativi come la co-creazione di prodotti con i clienti e le attività di Social Customer Care o Corporate Social Responsibility.

Trasformare i dipendenti in ambassador

In una social organization è importante individuare i dipendenti  più portati all’utilizzo delle nuove tecnologie sociali e disponibili ad assumere  specifiche responsabilità nel rappresentare e nel    difendere l’azienda sui social media. Questi sono candidati perfetti per l’attività di brand advocacy sui social media, ma hanno bisogno di competenze fondamentali per poter essere    efficaci. Se la vostra organizzazione permette loro svilupparle, queste persone possono amplificare notevolmente l’impatto della vostra Social Media Strategy  e migliorare la reputazione aziendale diventando protagoniste di un numero potenzialmente elevatissimo di interazioni online.

Mitigare i rischi derivanti dall’attività sui  Social Media

In un recente sondaggio condotto da Altimeter Group, il 52% delle organizzazioni ha riferito di aver subito  almeno una violazione della social media policy aziendale negli ultimi 12 mesi. Le conseguenze di tali errori vanno da lievi imbarazzi ad una crisi conclamata del brand che può avere gravi ricadute normative o legali. Per questo una buona social media policy deve sempre essere integrata da un Piano di Comunicazione e Formazione per il suo corretto utilizzo da parte dei dipendenti.

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Una strategia di formazione efficace può garantire che tutti i dipendenti comprendano le varie articolazioni della social media policy e le migliori pratiche per l’uso professionale e personale dei social media, aiutandoli a sviluppare  le competenze digitali almeno a livello basico per ridurre al minimo l’errore umano. Senza uno specifico programma di formazione, il numero crescente di dipendenti che utilizzano i social media fa aumentare in maniera esponenziale il rischio di danni anche gravi procurati al brand.

I tre pilastri di un buon Piano di formazione ai social media 

Programmi di formazione personalizzati

In primo luogo è bene individuare percorsi formativi su misura per sostenere la Value proposition specifica di ogni community collaborativa, team di progetto o anche funzione ancora operante in maniera tradizionale su processi critici aziendali. Questi programmi possono prevedere moduli comuni a tutti per i loro contenuti trasversali ed altri invece mirati al raggiungimento di specifici obiettivi di business.  La possibilità di monitorare i progressi dei dipendenti e verificare il completamento del percorso è fondamentale per il raggiungimento del ROI prodotto dal lavoro collaborativo e massimizzare il valore del programma di formazione stesso.

Facciamo alcuni esempi di formazione personalizzata:

Potenziare il Marketing con competenze digitali 

Si tratta di realizzare un programma personalizzato per portare il vostro ufficio marketing nell’era dei social media. Il Marketing  deve imparare ad esprimere i valori aziendali con una voce univoca pur utilizzando diversi social media, integrandoli in un unico canale trasversale a tutti.

Attivare il social customer care

Quando l’azienda consente ai rappresentanti del servizio clienti di fornire un servizio efficace e conforme sui social media, occorre predisporre un piano di formazione abilitante la comprensione delle linee guida aziendali e dei requisiti normativi e di supporto per chi  deve gestire i claim con buon senso ma anche con tecniche specifiche utili a comprendere  i problemi dei clienti caratteristici del settore. Ancora più necessario risulta un piano formativo di questo tipo, quando l’azienda decide di mettere direttamete in contatto i knowledge owner interni con i clienti esterni.

Sviluppare le fondamentali competenze social   in   tutta   l’organizzazione

Un programma di education a livello aziendale consente a tutti i dipendenti di maturare le competenze base per muoversi sui social media senza fare errori che potrebbero danneggiare l’azienda. Più in generale è utile che tutti siano dotati di conoscenze di base e delle competenze necessarie per utilizzare i social media in modo efficace, sia personalmente che professionalmente.

Formazione per gli esperti

 

E’ rivolta a chi occupa ruoli chiave nei diversi social media aziendali interni ed esterni, come ad esempio i community manager, i rappresentanti del servizio clienti, i venditori, chi si occupa di recruiting online.

Queste persone sono incaricate dall’azienda  di raggiungere obiettivi di business specifici utilizzando social media dedicati che hanno caratteristiche distintive che devono essere comprese e padroneggiate. Questa competenza tecnica diminuisce anche il rischio di crisi sui social media, riducendo al minimo l’errore umano.

Social Leadership Development

 

Si rivolge a figure iperspecialistiche quali social media managers, community managers, social strategists, digital teams, product marketing managers, communications professionals. Questi sono evidentemente i campioni del cambiamento e devono possedere quelle competenze che    Giulio Xhaet ha sintetizzato così:

attitudine alla gestione del tempo reale: le attività di community management richiedono un’attenzione costante e una capacità di risposta immediata alle esigenze di ogni singolo membro della community, sia nell’operatività quotidiana sia in situazioni di crisis management. L’autonomia decisionale e la capacità di gestione del rischio sono competenze essenziali, così come la «mentalità beta», ovvero la capacità di modificare continuamente il proprio approccio al problem solving, di adattarsi evolutivamente al cambiamento del contesto, di essere estremamente flessibile;

attitudine all’integrazione online-offline: le community devono svilupparsi sia nel contesto «virtuale» delle piattaforme 2.0 sia negli ambienti di lavoro «reali». Occorre quindi maturare un perfetto equilibrio fra le attività dentro e fuori dalla rete, evitando il rischio di divenire un individuo-valigetta9, avere una perfetta familiarità con l’uso di Internet in mobilità (new devices), le tecniche di tagging e gli strumenti di realtà aumentata, geolocalizzazione, networking;

attitudine alla ricerca, selezione e cura di fonti e news: è fondamentale la capacità di effettuare lo screening dell’attendibilità di candidati e influencer (attenzione, non solo esterni, ma anche interni: questo è il modo migliore per individuare i «campioni del cambiamento», i leader informali, coloro che resistono all’innovazione ecc.). Il manager e il professionista 2.0 intercettano, filtrano e integrano le informazioni, si abituano al «meglio» della rete, trasformano il rumore di fondo in una segnaletica interattiva. In sintesi, sono innovation hunter;

attitudine alla crossmedialità co-creata con l’utenza: occorre sapere come utilizzare diversi media per un progetto (multimedialità), declinare la comunicazione sfruttando le peculiarità di ogni media (crossmedialità), incentivare i membri della community ad attraversare il progetto, interagendo e co-creando valore (transmedialità).

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