Creatività, social innovation, social learning – Alice Annotata 36

WhiteKnight-SUn non profit 2.0 è possibile?

“It’s my own invention”, ripete incessantemente il Cavaliere Bianco, mentre illustra ad Alice le sue invenzioni, una più inutile dell’altra. L’ambigua figura del Cavaliere Bianco ci offre l’opportunità di chiudere queste riflessioni su creatività e innovazione, ispirate al terzo capitolo del Wonderland, con un approfondimento su un tema a me caro, la social innovation. Per inciso, ricordo che il progetto Alice Postmoderna prevede 12 serie di 12 note per ciascuno dei 12 capitoli del libro. Per facilitarne la lettura ho inserito tre categorie nel nostro blog, ciascuna dedicata ad una delle tre serie fin qui realizzate – Alice la Nativa Digitale (capitolo 1), Alice la Sensemaker (capitolo 2), Alice la Creativa (capitolo 3) – che si aggiungono ad Alice annotata, in cui si trovano tutte in ordine cronologico.

Ferma restando la difesa del Nostro per le ragioni espresse in La creatività del Cavaliere Bianco – Alice annotata 25 e in L’Amore al tempo della Coda Lunga -Alice annotata 35c, è opportuno sottolineare che l’invenzione e il prodotto che ne consegue sono ben poca cosa se si perde di vista il loro valore in termini di innovazione sociale.

Ne sa qualcosa Sir Richard Branson, un noto fan del personaggio carrolliano,  che il 17 ottobre 2011 ha inaugurato nel deserto del Nuovo Messico, lo Spaceport America, il primo aeroporto spaziale della storia, firmato dall’architetto britannico  Norman Foster. La prima navetta, la cui entrata in servizio è prevista per il 2013, porterà i primi turisti nello spazio ad un prezzo medio di 200.000 dollari. Sapete come si chiama? WhiteKnight Two, CavaliereBianco 2.

Questa visione della creatività è al cuore del social media ideaTRE60, che ho disegnato e lanciato nel marzo 2010 per conto di Fondazione Italiana Accenture, dopo un anno di studio e progettazione. Di questa piattaforma, che in maniera assolutamente pionieristica si è concentrata sulla co-generazione di progetti di utilità sociale, sono stato poi Direttore Responsabile fino al marzo 2011. Una esperienza che assume tanto più significato  dopo la pubblicazione dell’ultimo rapporto McKinsey (cfr. I dieci processi da sviluppare in chiave social secondo McKinsey) che individua proprio nel Terzo Settore un’area con un potenziale economico enorme da sviluppare in termini di social business: “The social sector, too, can benefit from social technologies. Nonprofit organizations and other social sector players can use social technologies to gather information, crowdsource labor and solutions, raise funds, expand their volunteer networks, build support, educate the public, engage supporters, improve collaboration and communication, and establish organizational structures”.

Potenzialità che anche su questo blog abbiamo messo in luce, ad esempio, in occasione della Pubblicazione del Rapporto dell’Osservatorio ICT per il non profit 2012 dal titolo TERZO SETTORE: OLTRE IL DIVARIO DIGITALE. Documento dal quale tuttavia emerge con chiarezza che, oltre alle difficoltà che accomunano il Terzo Settore ai settori di business profit sulla strada che porta dalla Social Corporate Responsability alla Social Corporate Identity (sintetizzabili nella necessità di modificare radicalmente cultura, strategia, organizzazione orientandosi verso il modello della social organization), se ne aggiunge una ulteriore: la necessità del cambiamento generazionale. Solo un radicale rinnovamento manageriale (a livello dei decision maker) può portare le realtà del non profit a svilupparsi secondo le nuove logiche rese necessarie dalla rivoluzione del web 2.0. (cfr. Il mondo del non profit e il web 2.0: un rapporto difficile da costruire senza ricambio manageriale). Ecco allora che proprio la stretta connessione, messa in luce da McKinsey, fra social innovation ed education indica chiaramente la via da seguire per risolvere il problema utilizzando tutte le competenze disponibili, scavalcando ogni barriera, inclusa quella fra generazioni. Ma procediamo con ordine.

La social innovation: una definizione

Cogliamo innanzitutto l’occasione offertaci dall’incontro di Alice con il Cavaliere Bianco per chiarire bene cosa intendiamo nell’ottica dello Humanistic Management  con innovazione sociale, visto che su questo punto la discussione è ancora aperta. Un buon punto di partenza lo offre il Report realizzato nel 2007  dalla Said Business School di Oxford Social innovation, what it is, why it matters and how it can be accelerated Geoff Mulgan con Simon Tucker, Rushanara Ali and Ben Sanders, facilmente scaricabile dalla Rete.

Il testo è veramente ricco di prospettive storiche, spunti teorici e casi pratici ed ha avuto un ulteriore sviluppo nel più recente Libro Bianco dell’Innovazione sociale. Tuttavia in questa sede mi interessa focalizzare solo alcuni di questi aspetti, il primo dei quali è riassunto dalla domanda: esiste una buona definizione di innovazione sociale, laddove per buona si intende semplice da capire e al tempo stesso sufficientemente appropriata? Mulgan propone la seguente: “si ha innovazione sociale quando nuove idee che funzionano (“new ideas that work”) danno soluzioni a bisogni sociali ancora insoddisfatti”.

Ma l’aggettivo “sociale” ha anche un altro significato: indica il ruolo attivo di persone (consumatori, cittadini, ma anche istituzioni e organizzazioni) nella realizzazione concreta dei processi di innovazione. Con questa definizione possiamo così raccogliere fenomeni e processi creativi di innovazione sociale molti ampi e diversificati che vanno dall’imprenditorialità sociale all’educazione a distanza, dai movimenti per il riconoscimento dei diritti delle donne alla riforme sanitarie e pensionistiche, dai nuovi modelli di sostenibilità alle pratiche collaborative sui codici open source.

Mi sembra una base ragionevole su cui naturalmente costruire per cogliere in particolare da una parte la coerenza, dall’altra parte gli elementi di innovatività, proposti, rispetto a questo schema generale,  dalla piattaforma ideaTRE60, intesa come concreto esperimento di management umanistico che ha saputo utilizzare le possibilità offerte dalle nuove tecnologie e dal concetto di coda lunga (cfr. La lunga coda del Topo e la coda lunga di Anderson – Alice annotata 35a).

Un primo punto importante sottolineato da Mulgan è che i promotori dell’innovazione sociale sono senza dubbio singoli individui di genio (gli inventori del microcredito o del codice html, ad esempio), ma anche organizzazioni private e pubbliche: “L’innovazione sociale non è specifica del terzo settore. Essa può essere guidata dalla politica e dai governi (ad esempio, per realizzare nuovi modelli di sanità pubblica), dai mercati (ad esempio quelli del software open source o dei cibi biologici), da movimenti (ad esempio  il cosiddetto “fair trade”), dal mondo accademico e universitario (ad esempio per mettere a punto nuovi modelli pedagogici), dall’imprenditoria sociale (microcredito). La maggioranza degli innovatori di successo ha imparato ad operare attraverso i confini tra questi ambiti e l’innovazione scaturisce con tanta più forza quanto più sono forti le alleanze concrete fra piccole organizzazioni e gli imprenditori sociali  (le “api” che sono mobili, veloci e in grado di effettuare cross-impollinazioni) e le grandi organizzazioni (gli “alberi” con radici, forza e dimensioni significative) che consentono alle idee di essere realizzate in grande scala”.

L’innovazione sociale dunque nasce in primo luogo dalla capacità di aggregare imprese e associazioni, Fondazioni e Università, Istituzioni pubbliche e private: esattamente il compito che si proponeva di svolgere ideaTRE60, che già al momento della sua nascita presentava al suo fianco realtà altamente rappresentative di tutti questi mondi e che intendeva  raccogliere intorno a sé le migliori espressioni della società civile.

Tre fasi di sviluppo

In secondo luogo è interessante osservare come il processo di sviluppo dell’innovazione sociale tracciato da Mulgan è articolato in tre fasi esattamente come accadeva nel modello ternario proposto con ideaTRE60, che appunto enfatizzava questa logica tripartita nel processo di individuazione, sviluppo e realizzazione dell’idea. Tale logica  si rispecchiava nelle tre aree funzionali che costituivano  il cuore del social media: Condividi (per il social networking), Concorri (per la raccolta delle idee e la loro trasformazione in concrete realizzazioni), Sostieni (per trovare rapidamente le risorse economiche, tecniche e umane necessarie alla esecuzione di progetti di fattibilità già definiti).

Un processo in cui è centrale il ruolo abilitante delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione 2.0. Tramite un utilizzo articolato (multimediale e cross-mediale) delle Tecnologie Sociali (presenza su 8 social network, blog, web television, Forum, eccetera) ideaTRE60 intendeva rendere protagonisti gli sperimentatori, le persone di talento, i ricercatori, ma in generale ogni individuo alla ricerca di uno strumento semplice e concreto per esercitare il proprio diritto-dovere alla cittadinanza attiva.  “Noi guardiamo – scrive Mulgan – a come le innovazioni si sviluppano attraverso una serie di fasi: dalla generazione di idée attraverso prototipi e progetti pilota, fino alla produzione su larga scala e all’apprendimento. E ci rendiamo conto di come almeno in alcuni settori alcune di queste fasi essenziali siano del tutto mancanti o supportate in maniera inadeguata.  Se poniamo infine attenzione al ruolo della tecnologia vediamo quanta inefficienza ancora ci sia nell’attuare il pieno potenziale sociale anche di tecnologie mature… In questo quadro gli utilizzatori giocano sempre un ruolo decisivo nell’innovazione sociale – un ruolo sempre più riconosciuto anche nel mondo del business.”

L’approccio metadisciplinare

Vorrei quindi sottolineare un altro elemento importante nelle analisi oxfordiane: l’enfasi sull’approccio metadisciplinare, che è al centro delle riflessioni contenute ne Il Manifesto dello Humanistic Management  ma è anche l’ingrediente fondamentale dell’Effetto Medici descritto da Johansson e che ho avuto il piacere di introdurre in Italia, così come dell’esperienza de Le Aziende InVisibili.

Così esprime il concetto Mulgan: “Noi descriviamo una teoria dell’innovazione sociale caratterizzata dalla capacità di connettere le differenze, che enfatizza tre dimensioni chiave delle maggiori innovazioni sociali:

1) di norma si tratta di nuove combinazioni o ibridi di elementi già esistenti, piuttosto che essere interamente originali in se stesse (in questo senso ideaTRE60 si connotava per spostare l’utilizzo del consolidato strumento delle call for ideas dall’ambito puramente profit in cui è in genere utilizzato  al settore della pubblica utilità),

2) mettere in pratica le innovazioni sociali significa attraversare i confini fra organizzazioni, settori o discipline diverse (non a caso il primo concorso per idee lanciato sul nostro social media, “Alimentarsi bene, vivere meglio”,  riguardava la ricerca di strumenti  che servissero a diffondere a larghi strati di popolazione i principi basilari di una sana educazione alimentare, il che significava doversi avvalere al tempo stesso di competenze tecnologiche, economiche, mediche, sociologiche, nutrizionali, solo per citare alcune delle discipline potenzialmente implicate),

3) le innovazioni sociali si ottengono solo creando nuove relazioni fra individui o organizzazioni precedentemente non interconnessi (e abbiamo già sottolineato il ruolo di aggregatore di ideaTRE60)”.

Social innovation e social learning

Se quanto abbiamo fin qui scritto è vero, ne segue che il processo di innovazione sociale è fondamentalmente un processo di apprendimento sociale (Social Learning). L’education è del resto parte integrante della mission del Terzo Settore, che, grazie alle nuove Tecnologie Sociali, può essere perseguita in forme molto più efficaci ed efficienti che in passato. Scrive McKinsey in The social economy:

“For many social-sector groups, the core mission involves behavioral change, such as getting smokers to quit, helping people avoid heart disease through diet and exercise, and preventing drug and alcohol abuse. The mission is essentially educational—informing people what they can do to minimize risks and measures. By enlisting social connections to deliver these messages, social technologies provide a powerful educational tool—an anti-smoking message from a respected peer has far more impact than an anti-smoking ad on the radio or a generic message on a Web site. In many ways, educational campaigns are among the nonprofit activities that are best suited to social technologies. An important capability of social technology is to bring influential social connections (e.g., friends or family) into the education process and enlist their support to encourage the needed behavior change”.

Ecco allora che, in questa ottica, i Forum di ideaTRE60 sono facilmente leggibili (anche) come strumenti di idea management, nel senso indicato in Dal Brainstorming all’Idea Management – Alice annotata 31; i contest (anche) come strumenti di Employer Branding innovativo (cfr HR 2.0? Una social media strategy per le risorse umane. Parte prima: Introduzione ed Employer Branding); ed in generale tutto l’impianto della piattaforma come propedeutico allo sviluppo di una vera e propria Academy 2.0, dove il conflitto generazionale che, dicevamo in apertura, mina oggi alla base l’evoluzione “social” del non profit, può trasformarsi in “collaborazione fra generazioni”, alla luce del concetto di cura come primaria responsabilità manageriale e non paternalisticamente intesa.

Lo spiega bene Pier Luigi Curcuruto, nell’intervista che mi ha rilasciato qualche tempo fa dal titolo “Prospera: i manager al servizio dei giovani talenti”, illustrando gli obiettivi della allora nascente collaborazione fra l’Associazione Prospera e ideaTRE60, il cui originale payoff significativamente recitava: “intelligenza collettiva per un mondo vitale“.

Alice annotata 36. Continua.

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