Il tesoro nascosto della social organization
L’ultimo lungo Rapporto (184 pagine) sulle potenzialità ancora inespresse dai social media in termini di generazione di valore per le aziende pubblicato da McKinsey (che da tempo si occupa del fenomeno,
cfr. La rivoluzione social e le aziende: la versione di McKinsey)
è stato oggetto di grandi attenzioni in queste settimane da parte degli addetti ai lavori (da Emanuele Quintarelli a Luca Oliverio).
Mi riferisco a The Social Economy: Unlocking Value and Productivity through Social Technology, secondo il quale c’è un tesoro nascosto nelle «Tecnologie Sociali» (cioè i «prodotti e servizi che consentono le interazioni sociali nel regno del digitale»).
Io stesso lo citavo in Di cosa parliamo quando parliamo di #Engagement, per ricordare che, anche solo limitatamente ai 5 settori esaminati dalla società di consulenza, lo sviluppo di modelli di management orientati alle logiche della social organization potrebbe generare un valore compreso tra 900 e 1.300 miliardi di dollari.
Il valore generato (345 miliardi per operazioni e sviluppo di prodotti, 500 dal marketing, 230 dal miglioramento delle attività di supporto al business) si tradurrebbe anche in benefici per i consumatori: prezzi più bassi, prodotti di qualità migliore e tarati sulle loro preferenze, servizi clienti più efficienti. Utilizzare al meglio le tecnologie sociali inoltre «aumenterebbe la produttività dei lavoratori della conoscenza altamente qualificati, decisivi per i risultati e la crescita nel XXI secolo, dal 20 al 25 per cento».
Il tutto a patto che le aziende siano disposte a rimettere profondamente in discussione i tradizionali modelli organizzativi e manageriali, nella direzione di una maggiore collaborazione all’interno dell’impresa e tra imprese, maggiore apertura dei confini organizzativi interni ed esterni e maggiore condivisione delle competenze prodotte.
In altre parole, le aziende devono diventare networked lungo tutta la catena del valore, attraverso un articolato processo di change management (ad esempio quello che segue il modello di sviluppo organizzativo che ho proposto come sintesi di un anno di lavoro condotto con un panel di 50 manager ed esperti a fine maggio in un convegno tenuto presso Banca Intesa).
Data la lunghezza del rapporto, tuttavia, in pochi hanno avuto il tempo di entrare più nel dettaglio dei dieci processi individuati da McKinsey, trasversali a tutti i settori di business, riassunti nella tavola sottostante:
Vale dunque la pena di vederli un po’ più da vicino.
Sviluppo del prodotto
1) Co-generazione. Come aveva già dimostrato Dan Tapscott in Wikinomics, le aziende possono migliorare efficacia ed efficenza nello sviluppo dei prodotti creando community aperte non solo ai propri ricercatori del reparto R&D, ma a tutti coloro che hanno competenza ed esperienza sul tema. Mc Kinsey cita il caso di Madison Electric Products, una società di forniture elettriche, che ha lanciato lo “Sparks Innovation Center”. La società invita gli utilizzatori a postare idee per nuovi prodotti, le migliori delle quali sono analizzate da un focus group. I progetti approvati dal focus group vengano passati in produzione. Durante il primo anno di attività, il Centro ha dato vita a 9 nuovi prodotti. Come ricorderanno i lettori di questo blog, un approccio simile a quello di Vodafone.
Il principio co-generativo si applica molto bene anche alle Organizzazioni non profit. McKinsey evidenzia che più di 5.000 giovani hanno partecipato al CrowdOutAIDS, un progetto online avviato da UNAIDS, il Programma delle Nazioni Unite sull’HIV/AIDS. I partecipanti hanno contribuito a definire le sei raccomandazioni chiave della Segreteria Generale UNAIDS su HIV e giovani fino al 2015.
In Italia ho avuto io stesso l’opportunità di progettare e avviare ideaTRE60, la piattaforma di social innovation di Fondazione Italiana Accenture che per la prima volta nel nostro Paese ha colto l’opportunità di sviluppare progetti di utilità sociale sulla base dei principi di co-generazione e crowdsourcing.
Ma altri esempi sono possibili. Luca Oliverio ad esempio cita la FAO, Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura, che “insieme al leader del video-crowdsourcing Userfarm, ha deciso di lanciare ai videomaker di tutto il mondo una sfida per raccontare e coinvolgere più persone possibili sul tema della fame nel mondo attraverso una open call su http://videomaker.endinghunger.org/.
Opportunità che consente di co-creare, mettendo insieme i videomaker professionisti con i sostenitori dei progetti della FAO, degli spot pubblicitari che, grazie alla distribuzione capillare che garantiranno i tanti partecipanti, darà lustro e visibilità a un tema urgente come quello della fame cronica”.
Similmente, la piattaforma di Social Education Alice Postmoderna, sviluppata dall’Università di Pavia e cineama.it, ha originato un video contest a testimonianza della crescente importanza dei video nella comunicazione online, destinati, secondo alcuni studi, a superare il 70% dei contenuti presenti in Internet nel giro di pochi anni.
Operations e distribuzione
2) Previsione della domanda. Sulla base delle informazioni condivise sui social network da parte dei clienti o del personale che lavora nella rete di distribuzione, ad esempio i commessi dei negozi al dettaglio, i fornitori sono in grado di rispondere alle variazioni molto localizzate della domanda in breve periodo e con costi ridotti.
Il video con l’intervista al CEO di Kimberly Clark (che fa parte della raccolta lodevolmente realizzata da Stefano Besana Social Enterprise: le migliori storie di successo internazionali) mette bene in evidenza uno dei punti fondamentali del monitoring online finalizzato alla ricerca di mercato.
Scrive Besana: “Le vecchie e complesse ricerche che un tempo erano demandate ai focus group o a sedute in presenza oggi possono facilmente evolversi verso approcci di questo tipo.
Mai come oggi avere il polso della situazione sul proprio prodotto è stato così semplice e al tempo stesso così statisticamente significativo.
Le conversazioni in rete per i brand di tutto il mondo rappresentano la vera sostanza che li compone. E tracciare queste conversazioni è utile non solo per capire in che modo siamo visti dai nostri stessi clienti ma anche quali strade possiamo prendere per andare nella direzione condivisa. Questo significa trasformarsi in un social business, in una social enterprise. Mettere al centro del business la massimizzazione del valore scambiato all’interno di tutto l’ecosistema aziendale, che si parli degli stakeholder o degli utenti finali”.
3) Distribuzione.
Si possono utilizzare le piattaforme sociali per operazioni di terziarizzazione. Amazon.com ha sviluppato un sistema chiamato Amazon Mechanical Turk (MTurk), inizialmente nato come facile soluzione per rintracciare, tra i milioni di pagine, descrizioni duplicate dei prodotti. Il sistema è stato un tale successo che Amazon lo ha trasformato in un servizio che ora collega ogni anno quasi 10.000 datori di lavoro, compresi ricercatori universitari, con i lavoratori. Google sta utilizzando un processo simile per aggiornare le mappe relative a 190 Paesi e analogamente sta operando TomTom.
Marketing e vendite
4) Ricerche di mercato. Le Tecnologie Sociali possono essere utilizzate per ottenere approfondimenti sui prodotti e sui marchi; raccogliere opinioni sui concorrenti e le percezioni dei segmenti di mercato. Indicazioni che possono essere utilizzate come input per la produzione, per il design, per le campagne pubblicitarie, per stabilire il prezzo o per le attività di sviluppo del prodotto.
Ma, oltre a ascoltare passivamente e analizzare le interazioni sociali, le aziende possono impegnarsi direttamente con i clienti nei forum e nelle comunità online, chiedendo feedback direttamente ai membri.
Esemplificativo è l’impegno di Wind Business. Attraverso Wind Business Factor, Wind ha deciso di ascoltare la community dei piccoli e medi imprenditori instaurando un contatto diretto con loro.
5) Interazioni con i clienti. Grazie alle Tecnologie Sociali è possibile interagire con i propri clienti a costi molto bassi e con messaggi dai contenuti mirati: promozioni per i compleanni, per eventi personali speciali, per alcuni clienti e mercati maggiormente interessanti, per periodi dell’anno specifici quali le festività. Inoltre, possono essere utilizzate per costruire comunità di clienti, che comunicano tra loro, mentre l’azienda può decidere se svolgere o meno un ruolo attivo. Luca Oliverio segnala che “il numero di comunità di clienti on-line continua a crescere e spazia dalla TV dedicata ai pet e ai petlovers di PetPassion.tv che ha più di un centomila iscritti, fino a MadeInKitchen.tv che promuove i prodotti dei propri clienti attraverso articoli relativi al mondo della Cucina”.
McKinsey cita invece i forum di Adobe, che hanno più di un milione di membri, e la piattaforma di SC Johnson’s Right@Home, che promuove i propri prodotti attraverso un blog con post focalizzati su argomenti che attengono alla cura della casa. Aggiunge tuttavia che i trend di sviluppo indicano che il social media marketing si sta orientando verso un approccio non più monocanale (la Tv, il blog, il forum) bensì multicanale, cross e transmediale. In tutte queste situazioni, decisivo appare l’abbattimento delle barriere e dei silos tradizionali.
6) Contatti commerciali. I consumatori che utilizzano i social media spesso condividono notizie sulla propria vita: un matrimonio, la nascita di un bambino, un nuovo lavoro. Quindi diventa facile per gli agenti di vendita preparare delle offerte ad hoc, per esempio nel servizio assicurativo, e presentarla ai propri amici/conoscenti all’interno delle reti sociali. Più in generale, quanto più si è attivi sui social media tanto più si moltiplicano i contatti utili per il business, la cosiddetta lead generation.
Lo prova uno studio della società di consulenza specializzata nel marketing digitale HubSpot basato sull’analisi di 4.000 esperienze di progetti seguiti per i propri clienti: Lead Generation Lessons From 4,000 Businesses. Chi è attivo su blog, Facebook, Twitter e cura con particolare attenzione i contenuti del proprio sito web vedrà aumentare fino a 22 volte il traffico e da 4 a 12 volte la lead generation rispetto a chi non lo fa.
Il dato della lead generation è particolarmente significativo perché misura i contatti rilevanti, cioè di soggetti interessati al proprio business e quindi utili dal punto di vista commerciale perché potenziali clienti.
I risultati registrati riguardano i quattro principali driver di lead generation e ne misurano con dati numerici le potenzialità proporzionalmente alle modalità di utilizzo.
1. Blog
Chi ha un blog su cui posta contenuti dalle 16 alle 20 volte al mese (quasi quotidianamente) raggiunge un incremento del traffico doppio rispetto a chi blogga meno di quattro volte al mese, e ottiene una lead generation fino a quattro volte più alta.
2. Sito web
Curare con attenzione il sito aziendale genera traffico e contatti utili: i siti che hanno dalle 400 alle 1.000 pagine hanno un traffico superiore di nove volte quelli che ne hanno fino a 100, con una lead generation sei volte più alta. Chi ha più di 1.000 pagine, genera un numero di contatti commerciali otto volte più alto.
3. Landing page
Anche le landing page sono molto utili per aumentare i contatti utili: sono pagine “di atterraggio” dove si giunge da un banner pubblicitario o da un link segnalato in un messaggio email di direct marketing e che richiedono di compiere un’azione, come compilare un form per ricevere gratuitamente un documento, iscriversi a un servizio, partecipare a un concorso o richiedere un preventivo. Chi promuove dalle 31 alle 40 landing page vedrà una lead generation sette volte più alta di chi ne ha solo fino a cinque.
4. Social media
Facebook: i siti web aziendali che hanno un profilo su Facebook con più di 1.000 fan hanno un traffico 22 volte superiore a chi ha meno di 25 fan e una lead generation di 12 volte più alta (che diventa di 16 volte, per i profili B2C); chi ha dai 500 ai 1.000 fan ha un traffico 3,5 volte più alto e la lead generation maggiore di quattro volte.
Twitter: chi ha fra i 300 e i 1.000 follower sperimenta una lead generation superiore di quattro volte rispetto a chi ha fino a 25 follower. In particolare Twitter funziona per il B2C: chi si rivolge al consumatore finale e ha più di 1.000 follower genera contatti commerciali di dieci volte superiori a chi ne ha fino a 25.
7) Social Commerce. Le Tecnologie Sociali possono facilitare le transazioni, per esempio, suggerendo prodotti che sono stati acquistati da membri di gruppi sociali online degli shopper. Così Levi’s permette ai visitatori di accedere al suo account Facebook per vedere quali prodotti sono piaciuti ai loro amici oppure consente loro di consigliare alcuni prodotti ad altri amici, ricreando così — on line — quell’aspetto importante dell’esperienza sociale che è andare a fare shopping con gli amici.
In Italia il fenomeno è in pieno sviluppo, come segnala il caso di successo di Blomming. Leggiamo ad esempio sul blog di Wired del 18 luglio 2012:
“A casa Blomming, c’è una stanza chiamata Cronache di una startup, dove in una quindicina di post ci sono le pietre miliari della startup italiana pioniera del social commerce, partendo da un Let’s go di fine novembre 2010.
I post più recenti sono quasi tutti dedicati ai riconoscimenti, menzioni, premi che l’azienda ha ricevuto dall’inizio del 2012.
Il riconoscimento più importante è naturalmente per Blomming il continuo aumento degli shop creati attraverso la piattaforma, che sono oggi oltre seimila (suddivisi in circa 40 categorie, per un totale di circa 80 mila oggetti in vendita) e annoverano anche gli store ufficiali, marchi e oggetti cool, ad esempio il braccialetto Cruciani, le borse di Marco Tagliaferri, a breve anche i pantaloni Jeckerson.
E poi tanti, ma tanti, gli shop della creatività italiana (non solo italiana in verità), come quello delle artiste-artigiane Handmade Invaders; delle creazioni uniche di Backroom, Dots, Giustina Nisi, Riciclabo; del design tecnologico di JellyLamp; del Vintage Fashion d’alta classa Cavalli & Nastri; dell’upcycling di lusso di Sussiebiribissi; delle illustrazioni per bambini di Nicoletta Costa. Insomma, la community dei venditori cresce nei numeri e nella qualità.
Se poi si ricevono riconoscimenti anche da chi osserva dall’alto il mercato e capisce dove sta andando, come Gartner, che l’ha inserita tra i primi cool vendor mondiali e-commerce per il 2012, (in un contesto di mercato, quello del social commerce che negli scenari futuri è in forte espansione). Anche questo un dato molto confortante sul fronte dello sviluppo prodotto”.
Customer service
8) Customer care.
Una piattaforma sociale può agire come un canale dedicato per il servizio clienti. Le domande diventano parte integrante di una banca dati in evoluzione che si arricchisce costantemente di nuova conoscenza. E’ sufficiente che la società lasci la possibilità, agli appassionati dei prodotti e del marchio, di rispondere alle questioni poste da altri consumatori; risposte che possono essere valutate dagli altri utenti e che possono prevedere l’intervento chiarificatore del customer care dell’azienda.
La società di assicurazioni finlandese If recluta i clienti più entusiasti perchè facciano da testimonial sulla home page dell’azienda e paga per il loro supporto. La compagnia tedesca di telefonia mobile Eplus ha un sito sociale in cui gli utenti volontariamente aiutano a rispondere alle domande relative ai servizi offerti.
Attraverso le Tecnologie Sociali le aziende hanno poi modo di ascoltare i problemi dei propri clienti anche durante le loro conversazioni, identificando così i problemi e anticipando il loro agire prima che possano danneggiare le vendite o la reputazione di un prodotto. Quando per esempio il regista Kevin Smith ha usato il suo account Twitter per lamentarsi del fatto che la Southwest Airlines gli avesse negato l’imbarco in quanto avrebbe occupato non un posto a sedere ma due, per via della sua stazza, il vettore ha risposto immediatamente attraverso i propri tweets, scusandosi e offrendo un rimborso al regista in modo da disinnescare quella che sarebbe potuta diventare una situazione molto difficile da gestire.
In questo quadro, la centralità dell’ascolto delle conversazioni dei clienti come asset fondamentale da considerare per proporsi sul mercato oggi lo fornisce il caso CommBank: Assistenza, Customer Care ma anche Servizio al Cliente possono essere enormemente arricchiti dall’ascolto delle conversazioni e dall’apertura di un canale di dialogo trasparente e sociale con i propri consumatori.
Utilizzi interni all’impresa
9) Collaborazione e comunicazione. Confermando quando affermavamo in HR 2.0? Una social media strategy per le risorse umane. Parte quarta: Internal Marketing e Training (attitudini e competenze diffuse), McKinsey ribadisce che le Tecnologie Sociali hanno un notevole potenziale per migliorare le performance organizzative, semplificando le comunicazioni e migliorando la collaborazione (sia all’interno dell’impresa sia con l’esterno). Strumenti sociali possono essere utilizzati per facilitare la collaborazione e la co-creazione, ridurre il tempo speso in inutili incontri di persona, sviluppare best pratices. Le piattaforme di Enterprise 2.0 sono poi particolarmente utili per gestire i processi di induction dei nuovi assunti e la creazione di team composti da personale interno, clienti e fornitori.
Ancora, i social media facilitano la comunicazione e la collaborazione tra persone che lavorano in luoghi molto distanti fra loro. Un caso interessante presentato al recente Social Business Forum di Milano è quello di Luxottica.
Ovunque essi siano i dipendenti possono avviare progetti, lavorare in team e completare i loro compiti, il tutto collegando un volto a un nome per un contatto più umano. Sotto questo profilo gli strumenti di lavoro in telepresenza offerti da Cisco hanno raggiunto livelli veramente sbalorditivi, ma tutti i fornitori di software continuano a sviluppare strumenti sempre più sofisticati e al tempo stesso facili da usare per la creazione di reti sociali interne e per facilitare la collaborazione di gruppo. Un servizio consente agli abbonati interni di vedere e ascoltare riunioni passate tramite podcast. Altri strumenti facilitano la creazione di wiki e blog per far si che i dipendenti possano contribuire alla creazione di contenuti, come ad esempio aggiornamenti o linee guida per ruoli specifici. Strumenti di collaborazione permettono ai membri del team di condividere le conoscenze, di lavorare sui medesimi documenti simultaneamente e comunicare a distanza con colleghi, fornitori o clienti. Ad esempio la Compagnia di assicurazioni sulla salute Humana utilizza un social media che permette ai dipendenti di creare scenari what-if e discutere con i colleghi l’impatto sul business delle varie decisioni possibili.
Lo studio McKinsey non tralascia di sottolineare l’impatto della Gamification, l’uso di funzioni ludiche per migliorare l'”engagement” on-line, come modalità importante per incoraggiare una maggiore collaborazione. Ad esempio, Rypple, un programma Web based di gestione delle prestazioni, consente ai responsabili di creare “badge” per riconoscere il contributo offerto dai collaboratori e ringraziare i colleghi per il loro lavoro. Il creatore di un badge determina quali competenze riconoscere come esclusive. I badge vengono visualizzati nei profili dei dipendenti, per fornire un riconoscimento pubblico dei loro progressi e incoraggiare una competizione virtuosa per ottenerne di nuovi. Nel caso Luxottica c’è un passaggio che illustra anche questo aspetto (un punteggio assegnato ai membri del team in base al loro contributo). Ma sarebbe riduttivo limitare il fenomeno ad esempi come questo: l’importanza del gioco (già sottolineato nel contributo dei Varvelli all’interno del Manifesto dello Humanistic Management nei contesti di lavoro offline) nelle attività svolte tramite social media sta assumendo un rilievo sempre più considerevole (cfr su questo Social learning: come le aziende impareranno a imparare).
10) Employer Branding e Recruitment. Anche in questo caso troviamo nel Rapporto McKinsey una conferma di quanto avevamo scritto nella serie di post HR 2.0 social media strategy (in particolare HR 2.0? Una social media strategy per le risorse umane. Parte prima: Introduzione ed Employer Branding, HR 2.0? Una Social Media Strategy per le risorse umane. Parte seconda: Recruiting e HR 2.0? Una social media strategy per le risorse umane. Parte terza: Screening).
In sintesi, lo studio conferma che i social media forniscono una finestra sul mercato del lavoro utilissima per determinare quali sono le competenze disponibili e scoprire le competenze specifiche dei candidati. Studiando i contenuti inseriti da un candidato su un sito di networking professionale come LinkedIn (non solo il mero cv ma ad esempio i collegamenti con cui la persona è in contatto e le raccomandazioni raccolte), un datore di lavoro è in grado di farsi un quadro dettagliato di un candidato potenziale.
I social network interni sono in grado di fornire indicazioni simili. La società di produzione di prodotti chimici BASF utilizza le informazioni sui dipendenti caricate sulla sua rete connect.BASF per definire i migliori candidati quando si tratta di creare team di progetto o per identificare coloro che possiedono le competenze più adatte a risolvere specifici problemi tecnici a livello mondo. A questi fini sono molto significativi i risultati che si possono ottenere dai “social graph”, ovvero dalla visualizzazione delle interazioni online fra i dipendenti (nei termini dello Humanistic Management, del Personigramma) che rivelano, al di là dei ruoli formali, chi veramente offre contributi (in termini di qualità e quantità) al lavoro collaborativo della community aziendale.