Al cuore della social organization
Che la nuova frontiera per le imprese sia la social organization è una convinzione ormai sempre più diffusa. I recenti dati pubblicati da McKinsey sono impressionanti: secondo il report The social economy: Unlocking value and productivity through social technologies, lo sviluppo di nuovi modelli di Enterprise 2.0 potrebbe generare un valore compreso tra 900 e 1.300 miliardi di dollari. Non stupisce quindi che anche in Italia l’interesse per il management 2.0 stia crescendo. Una conferma viene dal mio osservatorio professionale: negli ultimi mesi sono state veramente numerose le realtà, sia a livello aziendale sia a livello di associazioni imprenditoriali, che mi hanno contattato per avviare processi di riflessione sui modelli organizzativi 2.0; di rinnovamento in chiave social della funzione HR; di progettazione di piattorme di education partecipativa; o più in generale di change management.
Ora, l’architrave su cui poggia tutta la costruzione della social organization è data, come abbiamo avuto spesso occasione di dire, ecdalla trasformazione delle tradizionali famiglie professionali in learning community. Il che significa molte cose, fra cui: il ripensamento del modello organizzativo gerarchico e autoreferenziale a favore di un sistema reticolare di community aperte e interconnesse, l’individuazione di tipologie di community (e dei relativi social media) coerenti con mission, vision e obiettivi aziendali, la messa a punto di value proposition e criteri di misurazione della performance ad hoc, e via dicendo (cfr. la serie di post Humanistic Management 2.0).
Tutto ciò però rischia di arenarsi su una questione essenziale: le community funzionano solo se si riesce a generare nei membri di ognuna di esse e nella community aziendale complessiva (intesa come rete di learning community) un livello sufficiente di “Engagement”, termine inglese che in prima battuta potremmo tradurre con “coinvolgimento attivo e appassionato”.
Solo in prima battuta, però; perchè in effetti dietro a questa apparentemente semplice paroletta (come spesso accade con le parole apparentemente semplici, ma se vogliamo con qualsiasi parola, cfr. su questo il post Wislawa Szymborska: dalla prosa del taylorismo alla nuova poesia manageriale) si cela un groviglio di elementi estremamente complessi, di cui è bene avere almeno un livello minimo di consapevolezza.
E, badate bene, non si tratta di elucubrazioni filosofiche astratte. Per rendersene conto, basta ricordare che un istituto assolutamente dedito a concretissime questioni economiche, Banca Intesa, ha addirittura stilato un documento piuttosto esteso dal titolo Stakeholder Engagement in Intesa Sanpaolo, il cui incipit è illuminante:
“Il contesto in rapido e continuo mutamento e l’evoluzione dello scenario in cui la Banca si trova ad operare hanno reso indispensabili una profonda riflessione sulle strategie del Gruppo: in particolare la sempre maggiore consapevolezza dei consumatori, la pressione crescente da parte delle organizzazioni della società civile e la congiuntura economica che ha reso sempre più determinante il ruolo delle Banche richiedono un approccio strutturato al coinvolgimento degli stakeholder anche in un’ottica di gestione del rischio reputazionale”.
Da questa premessa deriva la necessità di mettere a punto uno specifico approccio metodologico per il coinvolgimento degli stakeholder, che Banca Intesa definisce sulla base dei tre principi dell’Inclusività, della Materialità e della Rispondenza:
“Inclusività significa favorire la partecipazione degli stakeholder allo sviluppo e al raggiungimento di una risposta responsabile e strategica alla sostenibilità; Materialità significa determinare la rilevanza e la significatività di un tema per un’organizzazione e i suoi stakeholder; Rispondenza è la risposta di un’organizzazione ai temi sollevati dagli stakeholder e che hanno a che fare con la propria performance e si realizza attraverso decisioni, azioni, risultati, nonché attività di comunicazione con gli stakeholder”.
Engagement: una parola, molti significati
L’esempio sopra riportato fa riferimento specificamente all’azione della banca in termini di CSR; ma nel momento in cui si passa dal concetto di Corporate Social Responsibility a quello di Corporate Social Identity (vedi il post Verso la Corporate Social Identity) e da modelli di business tradizionali a modelli di Social Business (cfr il post Social Business Manifesto!) il problema dell’Engagement non può più essere considerato di competenza di pochi tecnici. Non lo si risolve con la definizione di uno standard (come fa Banca Intesa) nella scia del più obsoleto Scientific Management, ma neppure affiliandosi alla nuova lobby degli influencer nella speranza di ottenere risultati spesso risibili e senz’altro discutibili come elevare l’Engagement Rate sulla nostra Pagina in Facebook (ovvero il numero di Like, di commenti e di condivisioni dei contenuti rapportati al numero di fan); occorre una consapevolezza più approfondita, sfaccettata e condivisa del fenomeno per potersi dotare degli strumenti adeguati a gestirlo.
Gallup ad esempio propone, come strumento per valutare il livello di Customer Engagement attraverso i social media, una vera e propria piramide valoriale (anche se ritiene che Facebook e affini servano più per mantenere alta la fidelizzazione di clienti già acquisiti, piuttosto che per ottenerne di nuovi). McKinsey da parte sua suggerisce Five ‘no regrets’ moves for superior customer engagement, che sostanzialmente sono cinque indicazioni organizzative per presidiare al meglio l’Engagement specialmente nel contesto di aziende orientate al modello di Enterprise 2.0. Ad esempio creare un ‘customer-engagement council’ o istituire la figura del ‘chief content officer’.
Una particolare attenzione poi dovrebbero prestare i manager HR alla declinazione dell’Engagement riferita ai dipendenti. Ad esempio su un sito governativo inglese leggiamo: “Ci sono numerose definizioni di Employee Engagement. In particolare ne riteniamo particolarmente significative due:
La definizione di The Work Foundation’s: Il termine Employee Engagement descrive il coinvolgimento (commitment) emotivo ed intellettuale dei dipendenti nei confronti della loro organizzazione e nei suoi successi. Gli Engaged employees sperimentano uno scopo convincente e un significato nel loro lavoro, che li spinge ad impegnarsi per l’ottenimento degli obiettivi aziendali.
La definizione di The Best Companies: L’Engagement può essere definito come ciò che spinge un dipendente a mettere in campo il proprio ingegno e tutte le proprie risorse per il bene dell’organizzazione. Ad un livello più intuitivo, l’Engagement si riferisce a come le persone si comportano sul lavoro. Ovvero alla misura in cui le persone di un’organizzazione sanno quello che devono fare e volentieri si impegnano a loro discrezione per farlo. E’ la differenza tra andare a lavorare per fare un lavoro adeguatamente retribuito e andare a lavorare per dare davvero il meglio di sé, mostrando creatività e di propria iniziativa.
In ultima analisi, l’Engagement ha una diretta ricaduta sulle prestazioni. Se gli individui lavorano al top del loro potenziale, allora i gruppi di lavoro, le divisioni, i dipartimenti e l’intera organizzazione lavoreranno in modo più efficace. I clienti riceveranno un servizio migliore. L’efficienza migliorerà. Le perdite di tempo saranno ridotte”.
Dunque, concludono gli autori della pagina, l’Engagement non è semplicemente il grado di “soddisfazione” sul lavoro, o persino di felicità, magari misurabile con i vecchi attrezzi quantitativi del taylorismo. Si tratta di creazione di significato (sensemaking), di assunzione di responsabilità verso sè stessi e gli altri (etica), di condivisione di valori (convivialità), di una scelta autonoma e creativa. In altre parole delle colonne portanti della social organization. Non a caso il manifesto del guru americano dei social media Brian Solis (autore anche di The End of Business As usual) si intitola Engage!, mentre Jacob Morgan in The Collaborative Organization (McGraw-Hill, 2012) sottolinea il legame fra l’Engagement e la produzione di nuove idee (una impostazione che sarebbe piaciuta a Platone): “La cosa più importante che la collaborazione consente ai dipendenti è formare legami e connessioni tra loro, ovvero costruire relazioni. Queste relazioni fra dipendenti coinvolti (engaged employees) sono quelle che portano nuove idee all’interno delle organizzazioni. Quanto più i dipendenti possono condividere, comunicare, collaborare e coinvolgersi (engage with) uno con l’altro, maggiore è il flusso delle idee. Queste idee possono essere nuove opportunità di guadagno, strategie di riduzione dei costi, consigli per il miglioramento della produttività, miglioramenti nello sviluppo dei prodotti, eccetera”.
Ancora Morgan osserva come lo scarso livello di Engagement sia il più grande problema che affligge oggi le organizzazioni. “Recentemente, Blessing White, una importante società di consulenza, ha pubblicato l’Employee Engagement Report 2011. Questo report comprende le risposte di circa 11.000 soggetti raccolte in Nord America, India, Europa, Asia, Australia/Nuova Zelanda e Cina. I risultati sono scioccanti, ma il più rilevante è il seguente: meno di 1 su 3 impigati (31%) è “ingaggiato” (engaged). Circa 1 su cinque è “non-ingaggiato” (disengaged). Uno studio Gallup di fine 2011 riporta che il 71% dei lavoratori americani è “actively disengaged” o “not engaged”, ovvero che la maggioranza dei lavoratori non sono emotivamente coinvolti nelle loro attività professionali e sono quindi meno produttivi di quanto potrebbero essere”.
Misurare gli effetti, conoscere le cause
Alla luce di tutto questo segnalo lo studio The Science of Engagement. An exploration into the true nature of engagement – what it means and what causes it. Grounded in science, not fiction. Realizzato per Weber Shandwick UK in collaborazione con Canvas8 e un team di neuroscienziati, antropologi e psicologi, ha l’obiettivo di “capire meccanica, biologia, chimica e fisica dell’Engagement in modo da poter meglio consigliare i clienti su come costruire reputazione, marchi e campagne di comunicazione”.
Un approccio metadisciplinare caro allo Humanistic Management 2.0, dunque, tanto più che, si legge nella premessa, le ragioni dell’indagine sono proprio radicate “nell’evoluzione delle comunicazioni da uno-a-molti verso quelle da molti-a-molti. In questo mondo iper-connesso, dove chiunque possieda uno smartphone è un reporter e chiunque abbia accesso a internet è un editore, siamo tutti ricettori e trasmettitori di molti media simultaneamente. In una parola “partecipiamo”. Sui social media le aziende e le loro marche sono indagate, “hackerate” smontate, remixate e plasmate (noi diremmo “mashuppate“, ndr) dal pubblico di tutto il mondo, lo vogliano o meno. Nel Regno Unito, ci sono più utenti di Twitter che lettori di giornali. Sono più i video caricati in 60 giorni su YouTube, di quelli prodotti dalle tre principali reti televisive degli Stati Uniti in 60 anni, Facebook si avvicina un miliardo di utenti attivi: insomma è chiaro che le persone sono estremamente impegnate (engaged) le une con le altre, ma sono davvero disposte ad “impegnarsi” con marchi e imprese? Il che conduce ad altri interrogativi quali: cosa spinge le persone a trascorrere del tempo e ad impegnare sforzi ed energie su alcune cose e non su altre? Perchè ci sentiamo più “ingaggiati” dalle vicende dei gattini che appaiono su YouTube che dalla rivolte contro le dittature in Medio Oriente? Un pubblico “ingaggiato” è un must per qualsiasi organizzazione. Ma l’impegno è una scelta personale. La gente sceglie di “ingaggiarsi” e queste scelte determinano attenzione, simpatia ed infine acquisti. Lo sappiamo perchè siamo diventati senpre più bravi a misurare gli effetti dell’Engagement. Ma ne capiamo veramente le cause?”.
E’ per rispondere a domande come queste che sono state definiti i 10 Principi e i 19 elementi costitutivi l’Engagement, che a ben vedere è la forma più contemporanea dell’erotismo aziendale radicato nel concetto di Amore (by the way, Engagement in inglese significa anche “fidanzamento”) descritto nel Convivio di Platone (nei termini dello Humanistic Management la social organization è innanzitutto una impresa conviviale). E’ costituito da “creatività, conoscenza, fiducia, autosviluppo, convivialità, comunicazione, ascolto, valori condivisi, etica”, scrivevo già in un mio articolo del 2004 (ripreso e ampliato nel volume Nulla due volte). Vediamoli allora insieme questi Principi per cercare di capire, parafrasando Carver, di cosa parliamo quando parliamo di questa particolare forma d’amore.
I dieci Principi dell’Engagement
I ricercatori identificano innanzitutto una precisa definizione di Engagement: “L’intensità della connessione o partecipazione individuale con un marchio o una organizzazione”.
L’Engagement richiede una connessione emotiva tra una marca o una organizzazione e un individuo. Questa connessione emotiva porta all’azione, magari sotto forma di Condivisioni, Like o Tweet dei contenuti associati a prodotti e servizi: una azione propedeutica (o successiva) al loro acquisto. “Dal punto di vista del cliente, l’Engagement significa la volontà di andare oltre il mero atto utilitaristico di consumare, per investire qualcosa nel rapporto”, spiega il Dr. Oullier economista comportamentale. Il neuroscienziato Dr. Ramsøy aggiunge: “L’Engagement è relativo alla volontà o capacità di spendere energia per ottenere qualcosa, energia che viene sottratta ad altri impegni e relazioni”.
Su queste basi gli scienziati del team hanno definito i 10 Principi costitutivi dell’Engagement, che sono:
1. L’Engagement è una risorsa finita, non una commodity infinita.
Proprio come in altri tipi di relazione erotica, l’Engagement con un oggetto o soggetto è sempre a spese di un altro oggetto o soggetto. La capacità individuale di prestare attenzione e di concentrarsi è limitata. Non solo: prestare attenzione richiede un costo relativamente piccolo rispetto a quello assai elevato che esigono l’interazione o la domanda di partecipazione. Le aziende devono essere realistiche su ciò che richiedono alle persone e chiare nel comunicare ciò che le persone possono aspettarsi in cambio. Infine, contesti diversi pongono sfide differenti all’Engagement – la disponibilità personale cambia se si è a casa o in mobilità, da soli o con gli amici, di notte o al mattino. La conoscenza di questi fattori è essenziale per consentire ai Brand di identificare i momenti più rilevanti e opportuni per attivare l’Engagement.
Siamo qui al cospetto di uno dei concetti chiave del sensemaking: la social organization richiede sistemi di attivazione, o enactment (Weick, 1969), degli ambienti sociali in cui si vogliono creare percorsi di generazione di senso. Questo vale ovviamente anche, anzi a maggior ragione, per gli ambienti online. “Weick parla di enactment, attivazione, e di enacted environment, ambiente attivato. Tutto ciò non solo significa che l’individuo ha una percezione soggettiva della realtà, ma soprattutto che l’individuo – soggettivamente – costruisce la realtà, tramite tale attivazione. Il sensemaking è quindi anche un processo istitutivo, ovvero che contribuisce a costruire ciò che si percepisce. In altre parole, sulla base del fatto che l’individuo percepisce un determinato aspetto della realtà tramite processi cognitivi, l’individuo interagisce con tale ambiente attivato, che ora esiste (per l’individuo) in quanto attivato, e può modificarlo con le proprie azioni continuando ad attribuirne senso. Inoltre, l’ambiente attivato retroagisce sui soggetti attivanti, che quindi si devono comportare conseguentemente rispetto alla realtà “costruita”. Ciò vuol dire che il soggetto non può plasmare l’ambiente attivato a piacere, bensì l’ambiente, una volta attivato (ovvero una volta che il soggetto lo percepisce e quindi lo fa esistere per sé), influenza e vincola le azioni del soggetto” (Bartezzaghi 2010).
2. L’Engagement richiede reciprocità.
L’Engagement richiede alle persone tempo, impegno ed energia. Il cervello elabora questo costo in relazione alla ricompensa attesa. Chi cerca un alto livello di Engagement deve offrire una ricompensa elevata. Si può trattare di un premio tangibile, come un voucher, ma, scrive ad esempio Carlo Zampiva, “immagina quante volte ti vengono offerte cose apparentemente del tutto gratuite (campioni, omaggi, prove senza impegno, ecc.) che sotto sotto hanno il fine di farti dire “sì” all’acquisto di qualcos’altro… dato il continuo proporre di questi “regali”, abbiamo ormai innalzato le nostre barriere difensive e quindi siamo diventati meno sensibili, con la conseguenza che gli stessi omaggi perdono efficacia”. E’ chiaro quindi che occorre fare riferimento a una gratificazione più soft e profonda, maggiormente adattabile ai bisogni individuali, come il senso di appartenenza, la possibilità di sviluppare le propria personalità, il raggiungimento di uno status. Andare in questa direzione comporta l’esplorazione di uno spazio abitato in comune dai desideri degli individui e dagli obiettivi aziendali. Una ricerca che trova nella value proposition il punto di sintesi intorno a cui aggregare i membri della community. “E’ ciò che determina la spinta interiore, la motivazione, la volontà di lavorare insieme ad altri mettendo a disposizione la propria conoscenza, le proprie esperienze e le proprie idee. E’ la proposta di valore, il fine comune, la pietra di paragone in base al quale si misura l’efficacia di una community, l’adeguatezza della tecnologia sociale da utilizzare, la coerenza con gli obiettivi di business, l’efficienza della leadership” (in La social organization).
3. L’Engagement non è binario. Non esiste un interruttore che consente di accendere e spegnere a piacimento la luce dell’Engagement. E’ una luce sempre accesa ma che varia di intensità da persona a persona, da momento a momento, da contesto a contesto. Ad esempio sviluppare Engagement su un Social Network come LinkedIn richiede specifici accorgimenti. Il punto chiave è come i brand possano riuscire a capitalizzare il giusto livello di Engagement utilizzando vari contenuti e diversi canali. Ovvero acquisendo familiarità con la generazione di contenuti multimediali, crossmediali e transmediali (cfr. Multimedialità, crossmedialità, transmedialità – Alice annotata 30). Senza dimenticare ovviamente che Mobile is the new face of Engagement, come titola il rapporto Forrester del febbraio 2012.
Nel loro studio, i ricercatori chiariscono che, entro il 2016, il concetto di “mobile” trascenderà le definizioni tradizionali. Non ci si riferirà più solo a un telefono, a uno schermo più piccolo, a un ampliamento del proprio personal computer. No, il mobile sarà il “flash point for a much more holistic, far-reaching change.” Ovvero l’occhio del ciclone, o meglio della “tempesta perfetta”, scatenata dalla sua convergenza con altre tre innovazioni chiave: social, cloud e big data. Forse è questa la combinazione che potrà consentire di parlare in termini concreti di Web 3.0. In ogni caso gli impatti più immediati di tutto questo saranno che:
I clienti interagiranno sempre più direttamente con l’organizzazione anche nelle decisioni strategiche;
I partners utilizzaranno gli strumenti mobile e social nel contesto del loro flusso di lavoro quotidiano;
I dipendenti lavoreranno in maniera collaborativa ovunque e su qualsiasi dispositivo (BYOD).
4. L’Engagement riguarda ciò che vogliamo o cosa ci piace. Come spiega molto bene il Premio Nobel per l’Economia Daniel Kahneman in Pensieri lenti e veloci (Mondadori 2012. Ma anche in lavori precedenti come ricordo nel capitolo terzo di Nulla due volte), il nostro cervello agisce in base a due sistemi di percezione e presa di decisione: il primo è guidato da quello che vogliamo, il secondo da ciò che ci piace. Il Sistema 1 è guidato dai desideri inconsci, dai nostri sentimenti viscerali. Sono scorciatoie mentali – istintive, impulsive e spesso legate alle ricompense immediate e primordiali, come un pezzo di cioccolato o il sesso. Il Sistema 1 produce quindi perlopiù decisioni a breve termine. Il Sistema 2 è più lento, ragiona, razionalizza, schematizza e spesso corregge o evita i deragliamenti. E’ questo il Sistema che mettiamo in moto quando facciamo un piano per ottenere qualcosa in futuro. E’ attraverso il Sistema 2 che diamo un senso al mondo consapevolmente, esprimendo i nostri pensieri, desideri e aspirazioni.
In termini di Humanistic Management tutto questo riporta inevitabilmente ancora una volta a Platone ed in particolare al mito del carro e dell’auriga (o della biga alata) raccontato nel Fedro e così sintetizzato in Wikipedia:”Racconta di un’ipotetica biga guidata da un auriga, rappresentante della parte razionale o intellettiva dell’anima (logistikòn), e trainata da due cavalli: uno bianco, raffigurante la parte dell’anima con sentimenti e passioni più alti (thymeidès), e un cavallo nero, che rappresenta la parte dell’anima concupiscibile (epithymetikòn), quella con pensieri più bassi quali gli istinti e i desideri turpi. I due cavalli sono tenuti per le briglie dall’auriga che, come detto, rappresenta la ragione: questa non si muove in modo autonomo ma ha solo il compito di guidare. La biga deve essere diretta verso l’Iperuranio, un luogo metafisico a forma di anfiteatro dove risiedono le “Idee”. Lo scopo dell’anima, infatti, è contemplare il più possibile l’Iperuranio e assorbirne la sapienza delle idee. L’auriga quindi deve riuscire a guidare i cavalli nella stessa direzione, verso l’alto, tenendo a bada quello nero e spronando quello bianco, in modo da evitare o ritardare il più possibile il “precipitare” nella reincarnazione. Chi è precipitato subito rinascerà come una persona ignorante o comunque lontana dalla saggezza filosofica, mentre coloro che sono riusciti a contemplare l’Iperuranio per un tempo più lungo rinasceranno come saggi e come filosofi”.
5. L’immediatezza produce Engagement.
Il nostro cervello nel corso dell’evoluzione ha sviluppato la capacità di prendere decisioni istantanee basate sulla speranza di una ricompensa immediata. Queste decisioni raramente sono consapevoli (attengono al Sistema 1). Le comunicazioni del tipo ‘call-to-action’ richiedono una diretta connessione con la ricompensa. Più le ricompense sono percepite come immediate più si ottiene un alto livello di Engagement. Questo assunto è confermato da numerose ricerche relative ad esempio a Facebook che dimostrano come gli status che contengono call-to-action legate alle parole “Like” e “Comment” aumentano le performance di questi post rispetto a quelli che non le includono. Secondo Momentus Media, i post contenenti la parola “Like” hanno un tasso di engagement dello 0,38% , quello con la parole “Comment” un tasso dello 0,14%, infine per i post che non presentano nessuna delle due parole il grado di coinvolgimento generato è pari allo 0,11%.
Un’altra case history (proposta su Digitouch) rafforza ulteriormente il concetto, collegandolo ad altri molto importanti come quello di Gamification (cfr. Social learning: come le aziende impareranno a imparare. Intervista a Stefano Besana) e quelli di Mobilità e Transmedialità (visti sopra): “Con l’obiettivo di spingere il download dell’App Müller amplifica i tuoi sensi, il rinomato brand del settore food&beverage ha investito su mobile nella realizzazione di una campagna display rich media. Attraverso dinamiche di gamification, l’utente è invitato a interagire con il brand per poter così scaricare la nuova applicazione di Müller.Curata dal centro media Mediacom in collaborazione con DigiTouch, la campagna advertising è stata pianificata su un network di applicazioni e di siti ottimizzati per la navigazione da mobile ed è stata targetizzata per dispositivi iOS.
Riprendendo il concept della campagna multicanale, DigiTouch ha realizzato un banner rich media, con due meccaniche di engagement. Protagonista della creatività è l’orsetto Blanc. Una prima call to action invita l’utente a cliccare e giocare con l’orsetto Blanc, mettendo alla prova i propri riflessi. L’utente deve fermare con un TAP l’orsetto che si muove simpaticamente all’interno del display. Una volta fermato, compare una schermata con una nuova call to action che invita l’utente a scaricare subito l’app per continuare così a giocare con l’universo dei sensi.
Online dal 17 al 23 maggio 2012 la campagna ha generato oltre 342 mila impression e più di 4.600 click, con un CTR dell’1,35%”. Sul tema vedi anche: 7 Examples: Put Gamification To Work.
6. Le decisioni determinate dall’Engagement sono razionalizzate a posteriori.
Le persone sono spesso inconsapevoli delle ragioni che stanno dietro le loro decisioni. Quando si impegnano a rimanere in buona salute, risparmiare denaro o a imparare qualcosa di nuovo, stanno utilizzando il Sistema 2. Ma quando tornano a casa la sera tardi, stanche dal lavoro, afferrano dal frigo qualche schifezza da fast food e crollano davanti alla televisione. L’impulso primitivo del Sistema 1 ha preso il sopravvento. Dicono a sè stesse: “Me lo meritavo” e “Domani ricomincerò con la dieta”. E raccontano queste storie prima a sè stessi e poi agli altri, per rassicurarsi. Attivano cioè quel meccanismo tipico del sensemaking che è la retrospettività, ampiamente analizzata in Alice la sensemaker: il futuro crea il passato – Alice annotata 16a, Alice la sensemaker: la visione retrospettiva – Alice annotata 16b e Alice la sensemaker: la Grande Legge della Metamorfosi – Alice annotata 16c.
Tuttavia, il continuo tentativo di trovare giustificazioni razionali alle nostre azioni istintive crea un conflitto interno fra il Sistema 1 e il Sistema 2 e determina una sfida per le organizzazioni in cerca di potenti value proposition: trovare delle modalità di Engagement che armonizzino i desideri con le aspirazioni. Il che significa entrare in connessione con quella bizzarra etica (ed estetica) tipica della Rete che, dicevamo in HR 2.0? Una social media strategy per le risorse umane. Parte prima: Introduzione ed Employer Branding, è uno “strano incrocio fra Peter Drucker e Stan Lee”. Ovvero con una visione del mondo fondata sul desiderio di ogni essere umano di essere parte di qualcosa di più grande di sé stesso: “di appartenere ad una squadra di supereroi capaci di cambiare il mondo insieme”, come scrive Radian6. Un desiderio che, appunto, diventa un’aspirazione.
7. L’Engagement può essere distinto in “cattura” e “costruzione”. Mettiamo il caso che abbiate bisogno di una sedia per il vostro appartamento. Vi recate in un negozio. Il vostro bisogno, combinato con la disponibilità del mobile, la sua funzionalità e il suo design (uno dei 19 Elementi dell’Engagement è l’Estetica, ci ricordano i ricercatori. Gli esseri umani sono creature visive. Gli occhi sono il canale primario attraverso il quale ricevono informazioni), dirige la vostra attenzione verso una particolare sedia. Potrebbe anche essere l’offerta speciale a risultare determinante (un altro Elemento dell’Engagement essendo l’Accesso: a fronte a una gamma di scelte, la selezione delle persone è spesso basata su convenienza e disponibilità). Questo è l’Engagement iniziale (‘Capture’).
Una volta a casa, l’Engagement si trasforma. L’investimento che richiede il montaggio della sedia costruisce un Engagement a lungo termine (‘Build’). Il prodotto assemblato personalmente gode di maggiore Engagement di quello di cui godeva quando era inscatolato in negozio. Il Professor Michael I. Norton, Associate Professor di Economia Aziendale alla Harvard University, ha definito questo processo “effetto IKEA”. Naturalmente bisogna poi stare attenti che l’Engagement di lunga durata non si trasformi in una ossessione o una dipendenza o… peggio. Ricordate cosa accade al protagonista di Fight Club?
Effetti IKEA di vario tipo a parte, il punto qui è che comunicazioni come un’offerta speciale possono catturare la nostra attenzione. Grida abbastanza forte e tutti si volteranno a guardare. Ma se continui a gridare, finirai per essere confuso con il rumore di fondo. La combinazione di nuovi modi per catturare l’attenzione con la capacità di mantenere una forte risonanza presso l’audience determina un Engagement duraturo. La prossima volta non sarà necessario gridare così forte.
8. I Benefici dell’Engament derivano dal suo essere stratificato.
“La religione è il riferimento (benchmark) per l’Engagement”, sostiene il Dott. Oullier. La religione si applica a più livelli di Engagement, ciascuno a rinforzo dell’altro. “Cattura” inizialmente Engagement con una grande narrativa (storytelling) e con la promessa di ricompense future. Produce quindi Engagement a lungo termine attraverso impegno sociale, valori condivisi, integrità, e, infine, fornendo un fine.
Si tocca qui un aspetto piuttosto spinoso. Lo storytelling contemporaneo, spiegavo in I nostalgici del pensiero forte – Alice annotata 22b, produce quelle “favole aziendali e politiche della modernità solida che presiedono alle stesse funzioni di conservazione e diffusione del Pensiero Unico svolte dalle favole tradizionali al tempo di Alice. Ma non si può fare… di tutta l’erba un fascio: la generazione di significati alternativi dal basso grazie alla connettività multimediale e il social networking è cosa radicalmente diversa dalla strumentalizzazione di strumenti di comunicazione uno-molti quali la televisione che i Padroni del Linguaggio della situazione usano per imporre il loro Pensiero come Unico”. Sull’uso “religioso” dello storytelling, vedi anche Convention vecchie e nuove in tre atti – Alice annotata 34.
L’esempio più calzante di religione aziendale contemporanea è quello fornito da Apple, che perfino nel marchio (la mela morsicata che produce conoscenza) ha qualcosa di biblico. Il design e l’originale sistema operativo fanno sì che molte persone attribuiscano un valore culturale alle macchine Apple e il possederle conferisce uno status distintivo. Da questo punto di vista, il loro costo elevato rafforza l’Effetto Veblen, per cui l’alto prezzo finisce per certificare l’alto valore del prodotto. Apple inoltre ha saputo lavorare su due Elementi fondamentali per l’Engagement: la creazione di una community di adepti entusiasti (altro elemento tipicamente religioso) e il principio della co-generazione di valore. Così si è nato il culto della Apple, di cui lo ieratico Steve Jobs è stato l’indispensabile profeta.
Tuttavia, per conservare un alto livello di Engagement nel tempo, anche Apple ha dovuto continuamente modificare il mix di elementi “ingaggianti”. Prendiamo l’iPhone. Inizialmente si è imposto perchè aveva un layout elegante, un’interfaccia semplice, un design unico. Era qualcosa di completamente nuovo. Oggi che sul mercato vi sono molti prodotti con le stesse caratteristiche estetiche, Apple sta cercando di distinguersi lavorando di più sul sistema operativo. In altre parole, è importante ricordare che gli elementi in base ai quali “catturiamo” l’Engagement delle persone vanno sottoposti a continua verifica, modificati e se occorre cambiati, per costruirne uno di lunga durata.
Questo vale anche a livello di cultura corporate. Consideriamo il “nemico” di Jobs e della Apple, Bill Gates. Nel 1980 Gates era una figura positiva, un innovatore. Poi negli Anni Novanta Microsoft è progressivamente divenuta il simbolo di un arrogante monopolio capitalistico, rischiando di perdere molto in termini di Engagement da parte dei clienti. Oggi, con la sua Fondazione, Bill Gates offre un modello di filantropia concreta e molto generosa, aiutando milioni di poveri in tutto il mondo, e questo ha senza dubbio contribuito a riportare a un livello accettabile l’Engagement del pubblico nei confronti dei prodotti Microsoft.
La “stratificazione” dell’Engagement su più livelli ci ricorda poi come le nostre strategie di coinvolgimento debbano considerare sempre molteplici aspetti per essere efficaci. Date ad esempio una scorsa al White Paper 10 Best Practices to Drive On-Site Engagement. Qui viene proposto un metodo interessante per la costruzione di “On-site Engagement”, attraverso l’integrazione di diversi approcci social come il Social Login (fondato sulla possibilità di accedere ad un sito attraverso le proprie credenziali attive su diversi social network, combinato con una serie di sostegni in fase di registrazione – Premium content, Contests, Promozioni, eccetera – per inciso un altro modo per attivare l’Accesso inteso come uno dei fattore abilitanti l’Engagement), la cosiddetta Welcoming Return Experience (una serie di accorgimenti che consentono di riconoscere individualmente l’utilizzatore e “farlo sentire a casa”, a partire da un saluto personalizzato tipo “Ciao Marco”, ogni volta che l’utente torna sul sito), il Social Sharing (la condivisione di contenuti pubblicati sul sito presso altri social network), una adeguata strategia per Mobile and Tablet, eccetera.
9. Le negatività schiacciano sempre le positività.
I nostri cervelli sono più orientati a minimizzare i rischi che a cercare guadagni potenziali. Quando prendiamo delle decisioni, tendiamo a considerare la bottiglia mezza vuota e non mezza piena. Gli studiosi di The Science of Engagement suggeriscono che le emozioni negative pesano il doppio rispetto a quelle positive. Ciò significa che, soprattutto in tempi di crisi, minimizzare le negatività è più importante che evidenziare le positività, in particolare sui social media, dove i pubblici sono più importanti dei comunicatori e le informazioni viaggiano alla velocità della luce. Essere consapevoli del fatto che recensioni, associazioni (particolarmente importanti, tanto da rientrare, come anche le Esperienze, fra i 19 Elementi dell’Engagement), testimonianze o commenti negativi hanno molto più credito rispetto a quelli positivi è fondamentale per ottenere Engagement. Anche coloro che sono già positivamente “ingaggiati”, sono fortemente influenzati da nuovi flussi di negatività.
Per questa ragione, affermo in una nota pubblicata su Facebook, “soprattutto in Italia si è creata una sorta di lobby degli influencer. Abilmente è riuscita ad imporsi all’attenzione di manager di aziende anche molto grandi ossessionate dall’incubo di una cattiva Reputation online e al tempo stesso del tutto sprovvedute rispetto alle dinamiche del mondo 2.0. Si tratta di un ristretto cerchio di persone che sono sempre le stesse, “tuttologi” tanto arroganti quanto arruffoni degni del sarcasmo di Woody Allen (che durante una conferenza ad un fan ammirato che esclama: “Mr Allen, ma lei è un tuttologo!”, risponde ironicamente: “Sì… anche”), astutissimi promotori di sé stessi che si sorreggono a vicenda (ad esempio invitandosi reciprocamente ad eventi che organizzano spesso a spese altrui), ottenendo così lo scopo di essere cercati (e pagati) dalle aziende che si illudono di poterli utilizzare per migliorare la propria Reputation in Rete.
Per fortuna il sistema sta scricchiolando: l'”epic fail” dell’ultima iniziativa “social” di Trenitalia lo ha platealmente dimostrato (per i dettagli vedi il post di Emanuele Quintarelli #meetfs. Quando la rete non capisce la rete). Altro che influencer: solo quando saranno i dipendenti a proporsi come evangelist aziendali si potrà sviluppare una solida reputazione online. Il che significa però modificare radicalmente i sistemi di management tradizionali e questo problema non lo si risolve allungando qualche mancia ad un paio di presunti e spesso autopraclamatisi “influencer””.
10. L’Engagement sposa l’esperienza con l’aspettativa.
Qualsiasi decisione di “Engagement” è determinata dall’esperienza già avuta (con un individuo, una organizzazione o un marchio) ma anche dalle aspettive future. Sposare la positività delle esperienze passate con il mantenimento di un livello alto di aspettative per il futuro è l’ultimo e fondamentale segreto di un Engagement a lungo termine.
Vorrei concludere osservando che solo su questa base si può sviluppare quella forma di Civic Engagement, centrale nella visione platonica, ma ancor oggi di grandissima attualità. Fa riferimento a diversi dei 19 Elementi dell’Engagement, come l’Appartenenza (L’Appartenenza riguarda la familiarità. È una abitudine sociale e comporta l’accettazione del gruppo. Su di essa si basa un Engagement prolungato nel tempo), il Rispetto (fondato su valori condivisi e il riconoscimento dell’importanza degli altri nel raggiungimento di obiettivi comuni) e l’Empatia (la capacità di relazionarsi con situazioni, sentimenti o esperienze di un’altra persona è una fondamentale caratteristica umana. L’empatia è un processo subconscio che costruisce Engagement ed è essenziale per costruire Mondi Vitali).
Il sito del New York Times, in particolare, riporta questa definizione: “Civic Engagement significa lavorare per fare la differenza nella vita civile delle nostre comunità e sviluppare la combinazione di conoscenze, abilità, valori e motivazioni che produce quella differenza. Significa promuovere la qualità della vita in una comunità, attraverso processi politici e non-politici.” Un concetto di Engagement di cui oggi più che mai abbiamo bisogno: nelle nostre imprese, nelle nostre città, nelle nostre istituzioni.
Le immagini riproducono le seguenti opere di Keith Haring:
Untitled, 1988 , Silkscreen on Canvas
Untitled, 1985, Chalk on Paper
Pop Shop III, 1989, Silkscreen
The Ten Commandments, 1985, Acrylic, oil on canvas