Cosa significa occuparsi di Diversity management oggi? Abbiamo esplorato il tema in questo blog sotto diverse angolazioni: partendo dalla visione orientata alla Global inclusion di Andrea Notarnicola per arrivare ad ipotizzare l’avvento dell”Undiversity Management“.
In questo quadro ha attirato la nostra attenzione la conferenza “The Digital Single Market: a révolution en rose?” che si è svolta nei giorni scorsi ed ha concentrato, in una giornata di lavori, materiale sufficiente per almeno quattro convegni diversi. Questo era il numero dei panel nei quali si è articolata la giornata: la presentazione del Mercato Unico Digitale, da parte della Commissione europea, e le soluzioni che questo propone per le grandi aziende europee così come per le startup; il rapporto tra le donne e la rivoluzione digitale, osservato dai diversi punti di vista della formazione, delle nuove opportunità occupazionali (il “digitalizzatore” nelle piccole imprese artigiane italiane è un esempio), del terzo settore e dell’imprenditorialità femminile; le best practice che le grandi aziende del digitale (eBay e Microsoft) hanno attuato per incentivare il coinvolgimento delle donne nelle nuove tecnologie e per sostenere la parità di genere al proprio interno; l’utilizzo del digitale per creare nuove forme di libertà, invece che di schiavitù, nel lavoro, come ad esempio lo smartworking.
Si sono raccontate storie che hanno fornito spunti di riflessione ma anche esempi concreti del peso che questa nuova rivoluzione, quella digitale, sta avendo nelle nostre vite. Se consideriamo che, da una parte, attualmente circa 22.000 posti nel settore ICT sono vacanti a causa di una mancanza di candidati adeguati e, dall’altra, meno del 50 per cento delle donne italiane ha al momento un’occupazione, diventa evidente come non possiamo perdere l’occasione perché la rivoluzione digitale abbia le donne come vere protagoniste.
Abbiamo parlato di tutto questo a valle dell’evento con l’On. Alessia Mosca, organizzatrice delle’evento e attiva promotor di iniziative politiche sui temi toccati durante il convegno.
1) Cos’è il Digital Single Market proposto dalla Commissione europea e in che modo è “rivoluzionario”?
Il Digital Single Market (DSM) è un mercato in cui il libero movimento dei beni, dei servizi, dei dati e dei capitali è assicurato, per gli individui e le aziende, in condizioni di concorrenza, di protezione dei consumatori e della privacy, a prescindere dalla loro nazionalità o dal luogo in cui si trovano. Infatti, barriere e frammentazioni che sono state superate dal mercato unico europeo si ripropongono ora in quello digitale: eliminando questi ostacoli l’Europa potrebbe accrescere il proprio PIL di 415 miliardi, ampliando i mercati per le nostre aziende, fornendo migliori e più convenienti servizi per i consumatori e creando nuovi posti di lavoro.
Il DSM deve però essere inclusivo e non lasciare indietro nessuno. Questo vuol dire prevedere politiche e investimenti per permettere a tutti, che siano attori della domanda o dell’offerta, di essere in grado di beneficiare delle nuove opportunità. Oggi sappiamo benissimo che gli anziani, i più poveri e i cittadini delle isole minori o delle comunità montane soffrono del digital divide. Se il tasso di digitalizzazione dell’economia, come prevedibile, crescerà, rischiamo che questi cittadini amplino, invece che diminuire, la loro distanza dal resto d’Europa. Il DSM è l’occasione per ridurre le disuguaglianze e offrire opportunità a chi finora ne è rimasto escluso.
2) Quale spazio c’è per le donne nella tecnologia e perché ancora oggi rimane in gran parte così vuoto?
C’è uno spazio enorme. Uno studio della Commissione europea (richiesto dall’allora Commissaria Neelie Kroes, molto attiva su questo tema) riporta numeri inequivocabili sulla sotto-rappresentazione delle donne nel campo delle ICT. Ad esempio, su 1.000 donne laureate in Europa, solo 29 hanno fatto un percorso di studi in ICT e di queste solo 4 lavorano poi effettivamente nel settore. Alla conferenza che abbiamo organizzato a Milano la scorsa settimana ho portato all’attenzione dei presenti due dati: il primo è che, attualmente, in Italia circa il 22 per cento delle posizioni aperte legate alle ICT non trova candidati all’altezza e che, nel 2020, in tutta Europa potrebbero esserci, a seconda degli scenari economici, da 730.000 a oltre 1,3 milioni di posti di lavoro vacanti. Il secondo è il tasso di occupazione femminile in Italia, che continua ad attestarsi sotto la metà del totale, a circa il 49 per cento. Le donne potrebbero essere le protagoniste di questa rivoluzione digitale e, soprattutto, potrebbero influenzarne la direzione di sviluppo. Mi ha colpito molto che in due diversi interventi sia emerso l’elemento della percezione della tecnologia, da parte del mondo femminile. Due relatori hanno, infatti, sottolineato come le donne siano portate a disinteressarsi della tecnologia quando questa viene descritta come fine a se stessa, mentre invece ne sono attratte e coinvolte quando diviene un mezzo per raggiungere scopi diversi. Penso alla sua applicazione nel campo dell’innovazione e dell’imprenditoria sociale, ad esempio.
3) Perché è importante che le grandi compagnie del digitale si interessino delle donne?
In primo luogo per lo stesso motivo che accomuna tutte le aziende: le donne possono essere una grande risorsa, sia in termini di competenze sia come utenti. E’ per questo che tutti gli studi sulle performance aziendali consigliano la diversity: chiunque sia portatore di un punto di vista differente permette di arricchire la strategia dell’azienda e arrivare a diversi gruppi di utenti.
In secondo luogo, perché creano modelli di ruolo. Pensiamo a quello che è riuscita a fare Sheryl Sandberg, attuale numero due di Facebook. Nonostante ci siano grandi esempi di donne straordinarie, nella storia dell’informatica (un nome citato spesso durante la conferenza è stato quello di Ada Lovelace!), le giovani ragazze hanno bisogno di modelli che le affascinano, incuriosiscano e spingano ad ascoltare propensioni che purtroppo la cultura condivisa tende a voler spegnere perché considerate “da maschi”. Progetti di successo, come La Nuvola Rosa di Microsoft, riescono a portare sotto gli occhi di tante ragazze un mondo che magari normalmente non avrebbero occasione di conoscere.
4) E’ stata la prima ad avanzare una proposta legislativa sullo smartworking in Italia. Quali pensa siano le potenzialità di questo strumento?
Quando, due anni esatti fa, abbiamo cominciato a parlare di “smartworking”, organizzando i primi gruppi di discussione in preparazione alla stesura della proposta di legge, ricordo che in moltissimi ci guardavano come fossimo alieni. E’ stato difficile persino spiegare la differenza tra smartworking e telelavoro, comunicare la necessità di questo strumento. Credo che le sue potenzialità siano rilevanti, non solo per le donne ma per tutta la nostra società. Viviamo in un’epoca in cui il lavoro tende a fagocitare le nostre vite, soprattutto nelle grandi città dove i tempi di percorrenza casa-ufficio sono spesso insopportabilmente lunghi. L’utilizzo che abbiamo fatto finora della tecnologia purtroppo contribuisce a questa distorsione: con lo smartphone è diventato sempre più difficile tracciare una linea netta tra lavoro e vita privata, rispondiamo alle email sempre e dovunque. Perché non usare la tecnologia, invece, come alleato? Il vero ostacolo è che questo comporta un profondo cambiamento culturale: si passa dalla mentalità del lavoro “a timbratura del cartellino” (sulla cui efficacia, come abbiamo visto ultimamente, potremmo avere peraltro molto da ridire…) alla mentalità del lavoro per progetti. Tradotto, significa una maggiore responsabilizzazione del lavoratore e un diverso rapporto di fiducia col datore di lavoro. So che parliamo di un cambiamento che spaventa ma è l’unica direzione possibile, se non vogliamo rimanere schiavi di organizzazioni del lavoro anacronistiche e, soprattutto, potenzialmente dannose.