Euristica ed ermeneutica della figura III, di Piero Trupia
Propongo la lettura di due testi pittorici lontanissimi nel tempo, vicini per la modalità compositiva.
La prima opera è il ritratto di Massimiano con la corte, un mosaico della fine del VI secolo in San Vitale a Ravenna.
Era il vicario dell’imperatore Giustiniano e di papa Vigilio; uomo dotto e grande amministratore.
La scrittura è quella tipica del modus bizantinus: austerità e rigore geometrico.
La cornice riporta lo stile dell’oreficeria del tempo e si ritrova nella decorazione dei due pilastri laterali, nella copertina del messale, nella borchia e nella corona del sovrano.
Intra picturam, vediamo, in basso, l’involontario fregio dei piedi delle undici figure disposti rigorosamente a “v”. Sandali per tutti, eccetto Massimiano. Una base che dà stabilità alla composizione e connota l’ideale di durabilità dell’impero bizantino. L’effetto sullo spettatore è presemantico, un immediato impatto.
L’impaginazione è paratattica: le figure sono disposte frontalmente e in orizzontale, senza alcun accenno di gerarchia. Altra connotazione bizantina. Il diverso ruolo è accennato nella modesta differenza dell’abbigliamento, fino alla stola che pende dal braccio del vicario imperiale.
La fisiognomica mostra sottili differenze. La semplice bonarietà dei militi, la compostezza dei funzionari, la ieraticità dei prelati, il sorriso appena accenato di Massimiano che denota la consapevolezza del ruolo.
La seconda è un’opera militante di Picasso: Massacro in Corea, 1951, Parigi, Museo Picasso.
Diverso il clima rispetto al mondo bizantino, drammatico il racconto, leggittima l’aspettativa di un’impaginazione ipotattica (verticale e subordinante). La troviamo infatti in brani isolati, mentre l’architettura generale è anche qui paratattica. Paratassi e ipotassi raccontano qui scene diverse.
La struttura paratattica unifica nell’evento tragico della guerra carnefici e vittime. Anche l’uniformità del colore, con soltanto modeste variazioni di tonalità, rientra nella paratassi. Verde spento che vira al giallastro della vegetazione morta dei due alberi secchi sullo sfondo. Sull’altura, un rudere. Affiora nella memoria il Tacito degli Annali, “Hanno fatto di questa terra un deserto e l’hanno chiamato pace” e i versi di Ungaretti, “Di queste case / non è rimasto che qualche brandelo di muro. / Di tanti che mi corrispondevano neppure quello.”
I fucilatori sono manichini metallici, il piede fermo nella postura della mira è sproporzionatamente grande. Il comandante ha appena detto “Fuoco!” La mano destra impugna una spada paratatticamente orizzontale, la sinistra un ceppo contorto. E’ lo scettro del potere che non muta nel tempo. Sempre primitiva violenza. Il gruppo di madri e bambini, significativamente ignudi, configura l’allotopia (opposizione di tema) della vittima di contro al carnefice. Semantica complessa. La fanciulla composta nel martirio, le madri con il viso stravolto dalla consapevolezza dell’immediato sacrificio del figlioletto che stringono a sé, con le mani semanticamente sproporionate, i non nati nei ventri rotondi in allotopia con la meccanica dei fucilatori. La fisiognomica, da sinistra a destra, marca un climax dalla rassegnazione alla disperazione. Una toccante allotopia è tra l’espressione serena del bambino che bacia la madre e il viso contorto di lei. Due bambini sono fuori del gruppo, uno è chinato a terra e coglie un fiore resiiduo, simbolo di una possibile rinascita; un altro corre verso la madre con il volto verso i carnefici e un occhio ingrandito dal terrore . E’ una citazione dal Martirio di San Matteo del Caravaggio.