“Nel regno digitale immateriale”, scrive Kevin Kelly, “dove nulla è statico o fisso, tutto è in divenire, anche il libro diventa un librare, evolvendo da cartaceo a digitale, confrontandosi con altri sistemi di comunicazione e apprendimento”. Se il libro diventa un “librare”: questo il titolo/quesito/ipotesi che ci conduce in un viaggio su cosa è stato, cos’è oggi e cosa sarà domani il libro, attraverso Dieci Conversazioni con scrittori, editori, esperti. Come guida per orientarci in questo cammino abbiamo scelto la rilettura di tre testi visionari: uno del passato, Alice nel Paese delle meraviglie, il classico di Lewis Carroll, riprendendo alcune riflessioni sviluppate nell’ambito del progetto Alice Postmoderna; uno del presente, L’inevitabile, scritto dal cofondatore di Wired Kevin Kelly; uno del futuro, il romanzo online in corso di scrittura Ariminum Circus, di Federico D. Fellini, disponibile in versione multimediale anche su Wattpad.
Con questa Decima Conversazione arriviamo al termine di un percorso straordinario: attraverso #Librare abbiamo avuto la possibilità di confrontarci con un panel unico e metadisciplinare su quell’oggetto-strumento-processo che racchiude il nostro passato e il cui futuro rappresenta simbolicamente il futuro di tutti noi: il libro. Questo percorso si chiude (provvisoriamente) come è naturale per chi ama la ricerca: non con una serie di risposte, ma con nuove domande, laddove riconosciamo nel “domandare” l’essenza più profonda non solo della contemporaneità digitale, ma del nostro stesso essere umani.
Parliamo di tutto questo oggi con Max Bunker (alias Luciano Secchi) padre del fumetto italiano, Cristina Chiperi, giovanissima autrice di bestseller internazionali sbocciata su Wattpad, Roberto Koch, Fondatore di Contrasto, Federico Niero, Senior Partner di Bip, Nicola Maccanico, Vice President di Sky, Marco Sbrozi, Direttore Editoriale di Hoepli, Carlo Sini, uno fra i filosofi italiani più noti e influenti.
Ogni anno, scrive Kevin Kelly, gli esseri umani rivolgono a Internet 2000 miliardi di domande, e ogni anno i motori di ricerca forniscono 2000 miliardi di risposte. La maggior parte di esse è abbastanza buona. Spesso le risposte sono incredibili. E sono gratuite! Prima dell’invenzione della ricerca immediata e gratuita di Internet, la maggior parte dei 2000 miliardi di domande non avrebbe potuto trovare risposta a un costo ragionevole. Watson di IBM ha dimostrato che per la maggior parte dei tipi di domande attinenti ai fatti, un’intelligenza artificiale può trovare risposte in modo rapido e preciso.
Parte della crescente facilità nel fornire risposte risiede nel fatto che le domande passate cui è stato risposto correttamente aumentano la probabilità di un’altra domanda. Allo stesso tempo, le risposte corrette aumentano la facilità di generare la risposta successiva e il valore del corpus delle risposte nel suo complesso. Ogni domanda che rivolgiamo a un motore di ricerca e ogni risposta che accettiamo come corretta affina l’intelligenza del processo, aumentando la qualità del motore per le domande future.
Mentre cognitivizziamo libri, film e l’Internet delle cose, le risposte diventano onnipresenti. Siamo diretti verso un futuro in cui porremo diverse centinaia di domande al giorno. Per questo in futuro assumerà maggior valore la capacità di fare le giuste domande, più che ottenere le risposte appropriate.
Il grande tema qui sollevato è appunto quello delle domande. Una loro considerazione “cognitivistica” (come oggi è moda e pratica diffusa) ricopre certamente il campo della corretta informazione, cosa tutt’altro che trascurabile o, peggio, disprezzabile. Chi tra i colleghi non consulta mai Internet scagli la prima pietra, io no. Però si osserva che «la capacità di fare le giuste domande, più che ottenere le risposte appropriate» diventerà in futuro sempre più importante. Sono d’accordo ma devo anche qui aggiungere: come è sempre stato. Domande per le quali la risposta è già pronta e può essere evasa anche da una macchina pre-disposta e pre-ingurgitata evoca l’ambito di un sapere già costituito e anzi addirittura sistematizzato; quindi poco fruttuoso, sostanzialmente ovvio e “ossificato”; pertanto anche potenzialmente occludente e banalizzante rispetto alle domande “vive”, come diceva William James. L’Enciclopedia Treccani non fa eccezione.
Che cos’è però una domanda viva? Se fosse preventivabile o prevedibile non sarebbe evidentemente viva. Essa nasce dalla complessità della vita e non dalla buona volontà laboriosa astratta o formalizzabile. Per esempio essa nasce dal fatto per cui il contenuto di un libro (per es. la storia raccontata in un romanzo) non è cognitivamente esauribile. Per chi non vede altro che questo, per es, la trama, difficilmente è stimolato a porsi domande per le quali non ci siano già risposte bell’e fatte. E la vera questione, credo, non è di essere “originali” o “profondi”, ma sta nella capacità di lasciarsi coinvolgere in un ascolto genuino per la propria vita, realmente problematico e stupito, quindi fortemente autoriflesso: cosa indubbiamente molto rara.
In questo quadro, tratteggiato da Carlo anche sotto il profilo teoretico, forse la domanda chiave che si dovrebbe porre chi si interessa del destino del libro è quella con cui Alice si presenta nell’incipit di Wonderland: “A cosa serve un libro senza immagini e conversazioni?”.
Ha anticipato di centocinquat’anni la graphic novel, i videogiochi, Facebook (un libro digitale fatto appunto di immagini e conversazioni) o anche qualche cosa di più?
Qualche anno fa il mondo editoriale fu scosso dalla scoperta che gli americani avevano coniato un termine di grande forza intellettuale: “graphic novel“, che nascondeva il valore di una stampa per una novella rinfrescata per l’oggetto libro, che incominciava ad avere i primi acciacchi, portando qualche modifica lessicale che tenesse sempre il libro in primo piano: ed ecco un “librare” che con qualche spruzzata di grammatica latina si può tranquillamente coniugare all’infinito passando inevitabilmente da un sentiero ironico.
Lo scoprire che “graphic “in inglese stava per “disegno“ e “novel” per “racconto“ formando quindi un racconto disegnato, fece storcere la bocca all’intellettuale principe che diffidava sempre dei fumetti anche se avevano guadagnato considerazione e rispetto. Alice in Wonderland ha anticipato di centocinquant’anni la Graphic Novel che oggi conosciamo. Ho ancora una copia di questo libro, ma pieno di immagini che una delle mie figlie ha colorato con un impegno degno di nota.
Io appartengo alla generazione che ha nel fumetto la sua punta di diamante, malvista da scrittori ma non dai lettori, che nel suo periodo d’oro ha raggiunto tirature da best seller internazionale. Ma la prima apparizione di un mio scritto fu un libretto su Robespierre. Ero immerso sino al collo nel museo della rivoluzione, nei componenti della tragedia, non c’era ancora Internet che la rovinava. Che vuole dire che gli esseri umani hanno posto 2000 domande a Internet? Significa che la curiosità mal si sposa con il librare? Divagazioni che fanno uscire dai binari il tema del libro. Sopravvivrà? Cambierà formato, verrà stampato su materiale particolare ma non morirà mai. Si trasformerà. Come…?
Le domande poste da Luciano sono corrette, ma credo che ancor prima sarebbe bene interrogarsi su che significa dire “libro”: vero è che di questo si è molto parlato nelle Nove Conversazioni precedenti, ma la sua storia immensa e straordinaria, meriterebbe di essere ulteriormente esplorata. Certo richiamarsi, come spesso è stato fatto, ad esempio da Francesco Morace o Luca Formenton, alle affermazioni di Umberto Eco sul libro come “oggetto perfetto”, vanno nella giusta direzione, così come le definizioni offerte da Aaron Buttarelli nella Seconda Conversazione parlando del libro scolastico (“diciamo libro ma dobbiamo pensare a una macchina complessa fatta di carta, versione digitale interattiva che dà accesso ai contenuti digitali integrativi e a piattaforme per l’apprendimento e il testing”) o da Paolo Del Brocco nella Prima (“nell’attuale era della convergenza che vede i contenuti viaggiare da una piattaforma all’altra e dove è ormai è tangibile la rivoluzione della Rete in termini di partecipazione diffusa e attiva, il testo, inteso nella sua concezione semiotica nella quale viene identificato in qualsiasi oggetto dotato di una particolare struttura e mirato a ottenere una particolare serie di scopi comunicativi, non può più essere concepito solo come un oggetto chiuso e statico, ma come un modello liquido, aperto alle inevitabili evoluzioni e contaminazioni”), ma riterrei essenziale essenziale porre qualche domanda in più, anche su parole come “scrittura” e “immagine”. In questo senso ben venga l’idea che con questa Conversazione si chiuda solo una prima fase di questa riflessione collettiva, che potrà svilupparsi anche in altre forme nel prossimo futuro.
Detto questo, restando alla forma libro attuale, sembrerebbe che la simultanea presenza di testo e immagini sia per lo più una faccenda molto recente, ma non è affatto così. Lasciando perdere gli antichi Greci e Romani e certi tratti e reperti della cultura letteraria ellenistico-alessandrina (di cui quasi nulla è rimasto), l’invasione delle figure nei libri risale almeno alla grande età del Quattrocento, con lo sviluppo delle arti ingegneristiche nei comuni italiani e poi in tutta Europa; al centro, ovviamente, la figura emblematica fra molte e la personalità di Leonardo, con i suoi predecessori e seguaci: la scienza moderna con le sue macchine e i suoi congegni mette in mostra operazioni che non sono riducibili alla comprensione letteraria o verbale del testo. Di qui nuove “immagini” generali e composite del testo medesimo, divenuto ancella della figura nella puntuale traduzione e ricalco di testi tecnici antichi, e così via. Naturalmente tutte le scienze moderne, la biologia, la botanica, la geografia, l’archeologia, l’antropologia lavorano con e su figure, che oggi si avvalgono di strumenti di riproduzione straordinariamente più efficaci, come le riprese cinematografiche ecc. Però attenzione: mai e poi mai senza il conforto e il suggello del discorso, orale e scritto.
Tutto questo ci riporta alla domanda di Alice, che è affascinante, e resta tale anche distanza di tanto tempo da quando è stata scritta. A questo proposito mi viene in mente Italo Calvino che in Lezioni Americane, parlando di “visibilità”, dice che è importante non perdere la possibilità e la facoltà di “pensare per immagini”.
Parto dalla mia esperienza personale: essendomi sempre occupato di fotografia come editore, la risposta è per me scontata, ma in un senso particolare. Facebook è nata sull’intuizione che il coinvolgimento dei follower si sarebbe basato sulla comunicazione visiva, fotografica della loro vita, dei loro ricordi personali. Una platea offerta ai milioni di persone che non hanno una possibilità diversa di mettersi in evidenza, di solleticare la loro voglia di narrazione. Da qui è partito lo straordinario successo della piattaforma.
Nell’oggetto libro per me è il tipo di narrazione che deve trovare il modo di combinare fotografie e testi, entrambe parte essenziale. L’approccio visivo dello scrittore (come ricordato nelle domande di questa e delle altre conversazioni) è infatti frutto di una sensibilità particolare che va incrementata e che non potrà essere più ignorata in futuro, ma un passo successivo (quello che stiamo realizzando da circa 10 anni, attualmente in 35 volumi) è proprio quello di proporre una forma di narrazione nuova che utilizzi, insieme nel libro, i vari linguaggi possibili.
Che possono convivere o dialogare tra di loro ma anche essere autonomi. L’Italia è un paese in cui la superiorità della parola è un fatto accettato dalla stragrande maggioranza ed ogni altra forma di espressione (con forse una eccezione solo per la musica) compresa la fotografia viene considerata di potenzialità inferiore. Siamo il paese di Dante, Leopardi e Manzoni e ne siamo giustamente orgogliosi. Nei numerosi esempi di commistione nel libro di diversi linguaggi, descritti nelle precedenti Conversazioni, mentre oggi abbiamo fatto riferimento alla graphic novel, ai disegni, che sono senz’altro un possibile arricchimento del testo, o testo essi stessi. Ma la particolarità della fotografia, il suo legame inscindibile con la realtà permette alcune possibilità che sono straordinarie.
La nostra esperienza e intuizione, quella di offrire ai lettori l’organizzazione in una collana variegata di libri contenenti saggi di testi letterari e fotografie, nasce dal desiderio di esplorare una forma di narrazione che ha avuto poche esperienze realizzate, ma che, al tempo stesso, vuole riempire un bisogno non esplicitato a sufficienza, quello di godere di una narrazione più completa. Le forme con cui questo può accadere sono molte, da testi di fotografi che vogliono proporli insieme alle proprie fotografie, a testi sulla fotografia, che vengono affiancati e associati a immagini di riferimento, o altrimenti che sono compiuti in se stessi, ma richiamano alla mente delle esperienze fotografiche, o testi “fotografici”, una narrazione compiuta esclusivamente in immagini. O anche solo testi senza nessuna esclusione di altri modelli.
Tornando alla domanda di Alice, lasciatemi aggiungere che Lewis Carroll, oltre ad essere un professore di logica, era anche un importante fotografo e, quando formula la domanda di Alice, penso che le immagini cui sta pensando sono le fotografie e in particolare sono i ritratti che ha realizzato alla stessa Alice.
Mi permetto di dissociarmi da quanto è stato detto fino a qui, per il semplice fatto che ritengo la domanda posta nell’incipit di Alice nel Paese delle Meraviglie non pertinente: la conversazione, ovvero il dialogo, è solo uno dei possibili elementi che contribuiscono a formare la scrittura; non di certo l’unico (nonostante la forte tradizione platonica del pensiero umanista), non di certo sempre il preferibile o essenziale; semmai la conversazione è una forma mimetica della parola sociale nella sua espressione orale. E ancor meno pertinente è l’immagine, perché simbolicamente differente dalla parola scritta, soprattutto volta a una comunicazione altra (alternativa/integrativa) o banale (ovvero ripetitiva).
Pensare a graphic novel, videogiochi, Facebook come evoluzioni del libro vuol dire ignorare il significato del libro come luogo privilegiato della parola scritta, sempre attivabile mentalmente o ad alta voce, ma rappresentata da segni interpretabili e combinabili astrattamente e logicamente. Vuol dire involgarire il significato della scrittura, sottraendola alla dimensione del pensiero (magari nella sua fissità, come lamenta Platone nel Fedro attraverso il mito di Theuth), nella sua purezza, per farne un elemento marginale (nella graphic novel), regolamentare (nei videogame), quotidianamente inutile nella dimensione della chiacchiera vana (Facebook).
E allora qual è la distinzione tra la parola scritta fatta libro dalla parola messa in rete? È che il libro è il luogo delle risposte (e non delle domande); è il luogo dell’umanità di chi lo scrive (e non dell’ars combinatoria delle risposte fornite dall’intelligenza artificiale); è il luogo della “verità” controllata e controllabile – e pertanto confutabile e impugnabile – (anziché del domandare errabondo alla ricerca del soggetto stesso che domanda).
La domanda non conta nulla se non c’è la risposta. La rete infinita della rete delle domande è la rappresentazione rumorosa e fastidiosa di una società smarrita, prima di quel lume che solo la risposta “vera” può fornire. La domanda che risponde e la risposta che domanda sono un tutt’uno che non può prescindere da chi incarna questi due atti: il soggetto; dimensione sempre più assente nella cognitivizzazione digitale e postmoderna.
A cosa serve un libro senza immagini e conversazioni? Non so se ha ragione Carlo, quando dice che quando Lewis Carroll formulò questa domanda stava pensando alle fotografie scattate ad Alice. Certo è che secondo me si tratta di una domanda importante, anticipa molto bene quelli che sono gli elementi portanti del nostro modo di fare letteratura oggi.
La mia esperienza mi è stata molto d’aiuto per la comprensione di quanto il rapporto tra immagini e scrittura sia stretto. Per far capire meglio il mio punto di vista, prenderò come esempio la piattaforma di scrittura online Wattpad. Nasce solo in seguito ad altre community di scrittura, che davano anche loro la possibilità di pubblicare i propri libri online e renderli disponibili al pubblico gratuitamente: quando è stato creato, dunque, non era un concetto nuovo.
Cosa ha permesso a Wattpad di avere la meglio sulle piattaforme preesistenti? Secondo me, la chiave si trova nel rapporto che si crea tra le immagini e le conversazioni. La particolarità distintiva del sito sta nello sfruttare al meglio entrambi i fattori: la scrittura, fornendo agli autori strumenti come la possibilità di suddividere la storia in capitoli e trasformarle in pagine digitali da sfogliare; le immagini, che sono l’aspetto più innovativo, dando la possibilità di creare le copertine delle storie, di poter aggiungere foto o video all’interno dei capitoli stessi per permettere ai lettori di conoscere in modo ancora più profondono i personaggi e le loro ambientazioni. In questo modo la storia acquisisce una vera e propria identità, la rende più invitante agli occhi di coloro che si iscrivono alla community per leggere, dando valore anche ad altre qualità oltre a quella della scrittura.
É una formula alla quale il mondo dell’editoria sta dando sempre più spazio e non solo, sono certa che sarà in grado di adattarsi a qualsiasi innovazione proveniente dalla configurazione tra i diversi sistemi massmediali. Lo sta già facendo per quanto riguarda il mondo della letteratura, quello che mi è più vicino, invertendo spesso anche i processi di pubblicazione: dal digitale al cartaceo, una scelta insolita rispetto a quella tradizione che prevede il contrario. Sicuramente non tralascerà anche gli altri ambiti creativi, come per esempio quelli dei fumetti.
Come direbbe Douglas Adams, è inutile attendere sette milioni di anni per avere la risposta giusta (42) se non hai posto sufficiente attenzione alla domanda. Allora forse la vera domanda sul futuro del libro diventa: quali sono le esigenze del futuro lettore? Personalmente ho divorato centinaia di libri a partire da quel lontanissimo Ventimila Leghe sotto i Mari, esplosione primordiale che ha innescato un’espansione inflazionaria futura mai più sopita, e fino a pochi anni fa mai avrei immaginato di poter abbandonare il supporto cartaceo per vivere quell’esperienza; oggi la maggioranza del tempo che riesco a dedicare alla lettura avviene su più schermi, piccoli e grandi, in bianco e nero e a colori, e la magia della sincronizzazione mi consente di interrompere la lettura in un posto e riprenderla in un altro, certo perdendo la gioia di afferrare un segnalibro ma guadagnando la diffusione dell’esperienza in momenti e luoghi prima impensabili senza l’oggetto fisico al tuo fianco. E ora che ho assimilato questa evoluzione copernicana sento sempre più il bisogno di arricchire ulteriormente quell’esperienza con approfondimenti, rimandi, ricerche e ritorni al testo originale in un unico ipertesto globale. Sono cambiato io o è cambiato il prodotto? Forse entrambi. Allora, da bravo consulente, il prodotto dovrebbe essere adattato all’esperienza che l’utente ritiene gratificante e che alla fine lo rende una persona arricchita, che ha imparato qualcosa, e che ha altre domande da fare.
Ben vengano quindi le immagini e le conversazioni all’interno della prosa e della poesia e delle altre forme letterarie; ormai parlare di graphic novel è quasi sminuente, preferisco chiamarla letteratura disegnata. D’altra parte la differenza è sempre più sottile tra gli albi a fumetti e le serie TV, che meglio di altri prodotti di intrattenimento riescono a dettagliare e approfondire le sfumature dei personaggi, la complessità della trama e la suspense dell’effetto cliffhanger tra una puntata e l’altra.
Il passo definitivo verso la compenetrazione tra lettore e narrazione sarà forse la possibilità di influenzare la trama e percorrere degli affluenti personalizzati, verso una fusione maggiore tra ruolo di spettatore e sceneggiatore (l’esperimento di Black Mirror – Bandersnatch ne è stato un primo esempio).
Allora come possono i produttori decidere su quale prodotto investire, come farlo evolvere? Conoscendo meglio i loro spettatori, attuali e futuri; valorizzando l’immensa mole di dati già a disposizione e in continua crescita, grazie alle moderne tecnologie di analisi dati. I quali però non parlano da soli, ma necessitano di pensiero profondo per essere interpretati. Per tornare a Douglas Adams, l’immenso calcolatore che produsse la Risposta Definitiva si chiamava Pensiero Profondo (Deep Thought). Ma se la domanda è malposta, la risposta serve a poco.
Quanto è stato detto genera in me tanti sentimenti e tanti pensieri. Credo che i libri restino centrali nella vita dell’uomo anche in questa epoca digitale: noi viviamo con i libri e continueremo a vivere con i libri sia se li leggiamo, sia se non li leggiamo, ma comunque i libri e quello che c’è dentro sono inevitabili accompagnatori del percorso del genere umano almeno fino a che il genere umano sarà quello che noi oggi conosciamo.
Lo sono all’inizio della vita, perché a scuola i libri sono in fondo un’irresistibile attrattiva: dentro quei libri tu puoi scoprire le cose che sanno i grandi, ma sono anche i tuoi nemici perché ti obbligano a passare ore a non fare quello che vorresti, che spesso è giocare con gli amici. Ciò implica la naturale conoscenza del fatto che i libri diventano nel tempo un punto di cui forza la mia generazione ha ancora molta evidenza e si porta dentro.
Le generazioni che sono venute dopo la nascita di Internet hanno un rapporto diverso con i libri, perché le informazioni fin dalla nascita le trovano sullo smartphone di papà e quindi il libro diventa un luogo più che di conoscenza, di intrattenimento e approfondimento di una passione. Si tratta di un esercizio meno necessario, ma comunque il libro è li.
Comunque sia, quando Marco pone il tema del rapporto fra scritture, interattività e immagini, io sono sollecitato a riflettere su due aspetti: la fantasia e il tempo necessari per fruire dei libri. Queste sono le chiavi. Il rapporto con il libro è tanto più forte quanto più si coniuga con la possibilità di esserne coautore, di essere al tempo stesso fruitore di una narrazione ma anche suo compositore, perché le immagini ce le metti tu. Quando noi leggiamo un libro, siamo registi di quella storia, siamo direttori della fotografia di quella storia, siamo casting director di quella storia e questo è un meccanismo meraviglioso che non si deve interrompere, anzi: chi ama la lettura cerca uno spazio molto largo di autonomia nell’interpretazione del testo.
In questo quadro, quello che noi dobbiamo fare in una logica di interattività è rendere fruibili i libri in maniera più contemporanea. Le persone sono più abituate a vedere e ad ascoltare che a leggere nel mondo di oggi, specie nel tempo libero, ed è qui che per esempio il meccanismo degli audiolibri, come dimostrano i podcast che stanno diventando sempre più diffusi, ha grande prospettiva, perché la gente che è sempre in movimento, sempre collegata allo smartphone, sempre con le cuffie sulle orecchie, può farne grande utilizzo. Io ad esempio in questi giorni sto ascoltando e leggendo il libro di Obama: lo sto ascoltando con la sua voce, è Obama che mi legge il suo libro. Beh, qui siamo di fronte ad un’esperienza mistica. O almeno all’esemplificazione perfetta di come il libro può trovare delle forme di connessione anche con chi è nato digitale. E siamo appena all’inizio.
Questo ragionamento mi porta al mondo Sky, dove i libri restano la base fondamentale per la costruzione dello storytelling. Per quanto si possa lavorare su storie originali, i libri sono il luogo da cui si parte, sia lato cinema, sia lato serie. Lato cinema, perché il libro ha il grado di profondità che ti consente di far nascere la storia lavorando di sottrazione; quando fai questo, e lo fai bene, puoi costruire delle sceneggiature veramente forti. Hai un arco di selezione ampio e scegli tu quali elementi della storia, dei personaggi e del loro sviluppo deve sopravvivere nell’ambito di uno storytelling che abbia una sua dimensione, una sua ragione d’essere all’interno dei 90/120 minuti del film.
Quindi i libri restano per il cinema uno strumento di partenza fondamentale. E questo vale ancora di più per la serialità televisiva, che ha più del cinema bisogno di un lavoro approfondito e verticale sulle linee narrative e sulle linee descrittive dei caratteri dei personaggi: un libro è più simile alla sceneggiatura in 10 puntate di una serie che a quella di un film. Ma qui c’è ancora molto da fare, perché mentre il rapporto tra film e cinema è storico, è strutturato, è automatico, il rapporto tra libro e costruzioni di serialità è ancora sottoutilizzato. Un po’ perché le serie tendono a sviluppare progetti internazionali e quindi partire da libri è più difficile, un po’ anche perché siamo all’inizio di un percorso di costruzione del rapporto degli autori con le serie.
Fin d’ora però possiamo assistere ad esiti molto diversi. Prendiamo Gomorra e Petra, due prodotti di grande successo della storia di Sky nati da libri: con la differenza che Gomorra ha preso l’idea dall’ambiente rappresentato da Saviano, ma è un’opera assolutamente originale. In Saviano non c’era né Ciro di Marzio, né Gennaro Savastano. Gomorra inoltre è stato uno straordinario successo italiano, Petra no. Vorrei aggiungere che l’adattamento del testo della Bartlett alla tv ha funzionato perché è stato dato un respiro a storie che piacevano ad una nicchia rappresentativa di un pubblico potenzialmente più ampio, che con l’aiuto della Cortellesi e con il richiamo della serie è accorso molto numeroso.
Ti ringrazio, Nicola, perché in questo tuo excursus hai toccato alcuni temi che erano solo in parte emersi nelle Conversazioni precedenti, in particolare il successo dell’audiolibro e dei prodotti multimediali rivolti alle generazioni più giovani. Per esempio all’Ottava Conversazione, Se il libro è remixato, ha partecipato Michele Bravi, che nasce come campione di X Factor nel 2013, si è evoluto come scrittore e ora realizza progetti complessi dove musica, scrittura, arte, si fondono fra di loro.
Tutto questo porta ad un secondo tema che tu hai toccato: il pubblico del presente e del futuro assomiglia molto ai Barbari descritti da Baricco già nel 2006. Qui Baricco segnalava come il distacco tra le due generazioni di cui parlavi è proprio legato all’abitudine, alla capacità, di approfondimento verticale che abbiamo noi baby boomers: per noi uno conosce Beethoven se ha ascoltato tutte le opere di Beethoven e conosce tutta la saggistica che lo riguarda. Solo allora, forse, può dire di essere un esperto di Beethoven. Per un nativo digitale Beethoven magari è la colonna sonora di un film che lo porta poi a un biopic su Beethoven o magari a una graphic novel; è cioè abituato ad una navigazione orizzontale delle modalità di fruizione e di apprendimento, mentre per noi se non è verticale non è conoscenza.
Il problema di questo mondo orizzontale sta in un detto: il pericolo per uno specialista è arrivare a sapere tutto di niente. Il pericolo per un generalista è arrivare a sapere niente di tutto. La nostra generazione correva il primo rischio, cioè quello di quell’iper-specializzazione per cui, ad esempio, mentre una volta c’erano molti medici che conoscevano il corpo umano, oggi se hai un problema al dito e vai da un ortopedico quello ti dice: “no, guarda, io mi occupo del polso, per il dito devi andare dal mio amico”.
La generazione dei nativi digitali tende invece ad avere una conoscenza iper-superficiale di tante cose, ma senza avere un secondo layer di competenza, credendo che, in caso di necessità, l’informazione di dettaglio la si può recuperare attraverso Wikipedia o altre fonti Internet: hanno una memoria quasi unicamente digitale. Ora, qui si nasconde il vero rischio di un mondo che sottovaluta i libri. Mi spiego con un altro esempio. Ho avuto la fortuna di conoscere grandi manager nella mia vita, diversi fra loro ma con un tratto in comune: avere interessi anche distanti dalla loro responsabilità. Questo consente loro di connettere le sinapsi, mettere in correlazione mondi, conoscenze, esperienze diverse ottenendo una originale interpretazione del mondo. Se tu sei solo un iper-specialista, non hai questo grado più profondo di conoscenza delle cose, ti manca un pezzo.
Nei libri risiede la nostra capacità di connettere punti. Noi possiamo conoscere singoli punti, ma se non li approfondiamo attraverso la lettura, quei punti rischiamo di non saperli più mettere in correlazione. E senza voler citare Steve Jobs, non credo che i punti li possiamo connettere solo dopo, guardando indietro nella nostra vita: i punti dobbiamo provare a connetterli prima. Non essere in grado di farlo: questo è il rischio della generazione dei nativi digitali e anche di tutti noi, se ci dovessimo arrendere ad un minore utilizzo della lettura.
Sì, poi è vero anche quello che dicevi prima: mi hai ricordato Woody Allen che, a una conferenza stampa dove gli facevano domande sugli argomenti più disparati, a uno che si era alzato dicendogli, ammirato: “Mr Allen, ma lei… è un tuttologo!”, lui rispose: “si. Anche”. È proprio il rischio che si corre oggi, essere tuttologi del nulla.
Ma ho ancora una domanda per te. Tu hai detto che per chi si occupa di produzione cinematografica il libro è sempre il punto di partenza per una sceneggiatura. È vero però anche che, come spesso è stato rilevato, a partire dalla diffusione del libro di Jenkins sull’età della convergenza, il digitale rende possibile operazioni inverse. Abbiamo ad esempio la Walt Disney che da un parco tematico inventa una serie di film di straordinario successo, piuttosto che la Marvel, che dalle sue graphic novel tira fuori videogiochi, film, serie tv, feste in maschera e altro. Quindi la domanda che ti faccio è: questa cross-medialità, questo remix del libro con tutti questi altri strumenti, che opportunità ed eventualmente, quali vincoli crea?
Quello di cui tu parli si presta più al mondo degli eventi che della sala. Qui sta la differenza tra il business cinematografico e il business televisivo. Il business cinematografico vive di grandi picchi, dell’uscita di casa, del rito collettivo di scegliere tutti quanti insieme un’esperienza e quant’altro, e chi distribuisce il film ha un problema di connessione di questi momenti: fa il grande evento, la grande chiamata e poi scende. Scende non solo in termini emotivi, psicologici e adrenalinici, ma anche in termini di fatturato.
Ecco perchè il modello Disney è brillantissimo: è quello con il quale loro connettono i punti, e l’hanno evoluto talmente tanto da poter giocare anche al contrario. Faccio il grande film, costruisco il grande personaggio e poi faccio il merchandising. E quindi ci posso aggiungere gli audiolibri, i libri “tratti da” e via dicendo. Ma posso invertire i termini. Quindi costruisco la bambola, te la faccio comprare e dopo che tu attraversi i negozi Disney in giro per il mondo, ti sei appassionato, faccio il film: sempre nella logica di fondo, strategica, di cercare un minimo di capacità previsionale sui prototipi.
Perché la tragedia del cinema è sempre stata la stessa: dovendo investire sempre su prototipi, poi in sala andrà bene o male? I meccanismi alla Disney danno continuità e ti consentono di essere più solido nel rapporto con gli investitori, nel rappresentare loro che il film che stai costruendo sarà un successo. Ho già venduto 1 milione di bamboline, quando quella bambolina diventa un film di animazione è ragionevole credere che la gente vada a vederlo (sintetizzando al massimo).
In questo processo il libro è parte di un ingranaggio e può essere utilizzato in forma strumentale. La televisione però ha un approccio diverso. La televisione deve creare continuità di rapporto per definizione con il proprio fruitore. La grande sfida delle piattaforme, a cui Sky non si sottrae, è avere un numero e una varietà di contenuti sufficienti per tenere lo spettatore televisivo legato il più possibile all’interno della sua offerta. Per questo gli ascolti per una piattaforma pay come Sky, dove pure la pubblicità incide su una quota direi non decisiva del fatturato, sono molto importanti: perché rappresentano il consumo. Anche se io non guadagno sulla base degli ascolti che faccio, gli ascolti sono indicatore del fatto che il mio abbonato mi guarda e se mi guarda è ragionevole credere che continuerà a essermi fedele.
La tua risposta mi sollecita un’altra curiosità. Sono abbonato Sky ma faccio fatica a capire questo voler rimanere attaccati alla parabola quando ormai la parabola mi sembra una tecnologia obsoleta. Io usufruisco di Sky quasi sempre in mobilità grazie alla possibilità che ho di vederlo tramite Sky Go. Ma quando sono fuori casa (e mi succede spesso), per vedere Sky devo collegarmi con il cavo HDMI, trovare l’uscita compatibile, e via dicendo: poi alla fine lo vedo, ma faccio fatica. Una fatica inutile, se potessi usufruire sulla smart tv di un app come quelle di Amazon o Netflix.
Questo è un tema, ma è anche un’opportunità. È chiaro che il modello parabola, guardando l’evoluzione tecnologica in atto, riporta ai tempi andati e può sembrare troppo rigido. Però ha anche dei grandi vantaggi: con la parabola non corri pericoli legati alla connessione e quindi sei molto più solido nella possibilità di fruire i contenuti Sky. Perché il segnale arriva se piove, se c’è sole, se fa freddo, in qualunque contesto.
Poi, certo, ci stiamo impegnando per offrire Sky anche a chi invece ha bisogno di mobilità. Sky Go è il punto di partenza, il lavoro che stiamo facendo sul wifi va esattamente in quella direzione. Siamo quindi orientati fortemente a difendere gli abbonati affezionati alla parabola e a renderli sempre felici della loro scelta, ma la nostra crescita si basa tutta sulla praticità: Sky via fibra, il wifi, il triple play…. Noterai anche tu che Sky Go oggi rispetto ad un anno fa è uno strumento sempre più customer friendly.
Anche per le ragioni che abbiamo discusso fino a qui, al centro di Ariminum Circus si pone la relazione fra scrittura e immagini: quelle della pittura, della scultura, della fotografia, dei fumetti, della televisione, del cinema, della moda, del design, di Internet, della metafisica. Le immagini dei sogni della cui materia siamo sempre più intessuti. Ariminum Circus è un’indagine sul significato che le immagini hanno oggi, in un’epoca dove prevalgono di gran lunga sulla parola: esprime il bisogno di esplorare la parola scritta nella sua tensione verso l’immagine, o meglio nell’interferenza espressiva e cognitiva che la lega all’immagine.
Un dato su tutti: nel 2017 un romanzo su dieci ha la forma della “graphic novel” (G. Peresson- A. Lolli, Rapporto sullo stato dell’editoria in Italia 2018, Milano, Ediser, 2018). Ma già nel 1969, Dino Buzzati (e la taverna -lounge bar Fortezza Bastiani è il centro narrativo di AC, il luogo in cui si incrociano i destini dei suoi protagonisti) per spiegare le ragioni che lo avevano condotto a esprimersi, con Poema a fumetti, attraverso un mezzo allora considerato lontano dalla letteratura, e anzi per alcuni pericoloso e diseducativo, dichiarava: “Perché ho scritto un romanzo a fumetti? Perché mi sono illuso, disegnando, di poter dire cose che con le parole non sarei riuscito a dire abbastanza chiaramente. E poi anche perché credo che si vada verso una civiltà dell’informazione sempre più visiva”.
I ripetuti riferimenti ad autori “visuali” per eccellenza, da Platone a Calvino, rinforzano la coerenza di una ricerca il cui senso è confermato infine sia dalla scelta del titolo (che rimanda al Circo del mondo come sogno e sua rappresentazione, in tutte le possibili accezioni) sia dello pseudonimo da me scelto, dove la misteriosa D. che qualifica i personaggi chiave del manga One Piece s’incunea fra il nome e il cognome del Maestro di Rimini, il regista più di tutti onirico. Sotto questo profilo, il progetto trova il suo naturale completamento nella Pagina Instagram che raccoglie le illustrazioni realizzate per Ariminum Circus da Marcello D. Minghetti e nell’apparato multimediale che integra il testo nella versione per Wattpad.
Saranno dunque i fumettisti (o i graphic-novellisti) a trovare la strada che conduce al libro del futuro? E soprattutto il sistema editoriale italiano sarà in grado di superare quella che attualmente appare come incapacità di capire e quindi gestire l’innovazione che viene dal rapporto fra scrittura e immagine, scaturito dalla conflagrazione in atto fra diversi sistemi massmediali (libro, cinema, televisione, fotografia, fumetto, videogioco…)?
Penso che la cultura dell’immagine sia nella realtà dei fatti e della storia della cultura mondiale molto più retroguardia che avanguardia, una sorta di lullismo culturale che vuol far passare come “più facile” e “innovativo” trasmettere e comprendere un messaggio attraverso una immagine anziché una combinazione di parole scritte. C’è semmai da chiedersi se questo non dipenda piuttosto dalla povertà espressiva di chi non sa dire/scrivere a parole quello che pensa e/o di capire quello che ascolta o legge. L’immagine non è più facile, più comunicativa o completa della parola. È altra dalla parola. La parola richiede astrazione e concettualizzazione a fronte dell’immagine che invece richiede una decodificazione cromatica e grafica. La parola necessita il pensiero; l’immagine la descrizione. Di fatto l’arte concettuale è la negazione di se stessa.
L’alternativa parola/immagine risponde a uno schema teoreticamente “povero” come la rete in cui cade, al contrario del tema oralità/scrittura quale vera frontiera della interrogazione futura in relazione al senso e alla verità.
Nel 1969 Dino Buzzati, ci ricorda Marco, portava in hit parade il libro Poema a fumetti, dove il noto giornalista, scrittore di racconti indimenticati, mescola il disegno con la pittura, uno dei suoi hobby.
Non è un avvenimento trionfale. Tutt’altro. Sono già in vista minacciose nuvole nere, il volume è bollato subito da una parte della stampa: “ben lontano dalla letteratura, pericoloso e diseducativo”. Termini a me ben conosciuti. Perché era il tris con cui sovente si concludeva un esame dei fumetti, sempre generico. Esistono libri buoni e libri meno buoni, per i fumetti invece era tutto nel calderone, tutti pericolosi e diseducativi. Il mutamento d’atteggiamento avvenne con la dovuta calma e fu con Oreste del Buono che amava la cultura popolare come gialli e fumetti e ne sosteneva la loro validità.
Ho conosciuto entrambi: Oreste, col quale ci univa l’amore per un certo tipo di cinema, e anche Dino Buzzati che incontrai in un corridoio del Corriere della Sera, in occasione di quell’attacco frontale ai fumetti. La Domenica del Corriere aveva raccolto pareri dei big del momento di ogni settore, da Mina in giù, e Buzzati fu l’unico a rompere l’assedio dei benpensanti e mal facenti.
Ci si chiede se saranno i fumettisti a trovare la strada che conduce al libro, considerando il rapporto già in atto tra scrittura e immagine col fumetto, il libro, il cinema. Non è azzardato dire che il libro in generale porta il peso degli anni e del prezzo di copertina. L’apertura alle edicole ha risvegliato un certo pubblico pigro che però, servito praticamente a domicilio, ha dato risposte interessanti.
Oggi parlare di fumetti suona strano; all’interno delle diverse forme di narrazione illustrata, si è formato un nucleo di autori i cui lavori non possono che essere definiti letteratura disegnata. Alcuni irriducibili ancora snobbano questa forma di cultura ma dovremmo ricordarci che le illustrazioni in quanto forma integrante dell’esperienza e della letteratura risalgono a ben prima di Leonardo da Vinci. Non potrei immaginare un codice miniato medievale senza le immagini a rinforzare i concetti religiosi.
E quando parliamo di cross-medialità e di storie che travalicano il confine cartaceo per sconfinare nei film, nelle serie tv, nei videogiochi, come potremmo definire l’immensa, cross-mediale narrazione della chiesa cattolica tra medioevo e rinascimento, dove tradizione orale, scritta, dipinta su tela, affrescata, su vetro, scolpita si intersecavano per costituire un corpus esperienziale di una storia centrale (il vangelo) e molte storie laterali (i santi) e che hanno rappresentato per secoli la più importante narrazione per milioni di persone.
Allora non possiamo stupirci (passando dal sacro al profano) se oggi nascono delle serialità cross-mediali che sfruttano la multicanalità per valorizzare la richiesta degli spettatori/giocatori/lettori di continuare a fare evolvere un certo tipo di esperienza. Assassin’s creed è partito da un videogioco, come tanti altri. Ora è un franchise che ha generato romanzi, fumetti, cortometraggi, lungometraggi e una serie TV.
Personalmente ritengo che la cross-medialità dovrebbe essere l’asse portante del ripensamento della didattica nelle scuole, in particolare in quelle primarie dove, come sappiamo bene, la presenza iconografica è un acceleratore dell’apprendimento, e in cui l’utilizzo degli hyperlink didattici potrebbe finalmente portare in Italia una cultura digitale diffusa e garantita.
Come Carlo diceva in apertura, dovendo affrontare la compresenza di linguaggi con necessità diverse, la questione da porre al centro dell’attenzione è quella delle caratteristiche dell’oggetto libro. Che io porrei in termini molto concreti. La carta con cui lo si stampa, ad esempio, può essere quella usuale della narrazione letteraria, uso mano più porosa e piacevole al tatto, o quella patinata che offre una qualità di riproduzione delle fotografie molto più alta, ma che non è quella idealmente preferita per una lettura di testi più confortevole.
La soluzione è stata – almeno finora – quella di scegliere entrambe le soluzioni, alternandole, affinando la qualità di stampa (per le fotografie) su carta “uso mano” alla maggiormente intuibile “percezione di tattilità” nella carta patinata.
Resta la questione se il sistema editoriale italiano sarà in grado di gestire questa innovazione, cosa su cui non ho motivo di avere molta fiducia. Per comprendere il rapporto tra scrittura e immagine, bisogna avere una conoscenza della scrittura (se non altro attraverso la pratica della lettura) ma anche della fotografia, anche qui attraverso la conoscenza degli autori più importanti, con la considerazione che la fotografia gode di un rapporto con la realtà del tutto speciale (vedi su questo l’Episodio dedicato di Ariminum Circus, L’Ante e il Retro, ndr).
“La Fotografia non dice (per forza) ciò che non è più, ma soltanto e sicuramente ciò che è stato” dice Roland Barthes nella sua Camera Chiara. Come ha affermato uno dei nostri fotografi più importanti, Ferdinando Scianna, “la fotografia mostra, non dimostra”. La funzione ideologica di una fotografia, non diversamente in questo caso da qualsiasi altra immagine, viene generata dal ‘testo’ che virtualmente ognuna di esse contiene. Nel caso di una fotografia, il testo che aveva in mente chi l’ha scattata, ma soprattutto l’interpretazione che chi la usa e chi la riceve danno di quella immagine.
Una fotografia conserva il momento temporale e lo protegge dal rischio di essere cancellato e sostituito con altri momenti. In quest’ottica le fotografie possono essere paragonate alle immagini della memoria. Ma c’è una differenza fondamentale: mentre le immagini della memoria sono il residuo di un’esperienza continua, una fotografia isola le sembianze di un istante staccato. Ma nella vita il significato non è istantaneo. Viene scoperto perché connette, e non può esistere senza sviluppo. Senza una storia, senza una rivelazione non si dà significato. I fatti, l’informazione non costituiscono di per sé significato. I fatti possono essere inseriti in un computer e diventare fattori di un calcolo. Il computer, però, non ci restituisce alcun significato, perché quando attribuiamo senso a un evento, quel senso è una risposta non soltanto al conosciuto, ma anche all’ignoto: senso e mistero sono inscindibili, nessuno dei due può esistere al di fuori del trascorrere del tempo. La certezza può essere istantanea; il dubbio richiede la durata; il significato è figlio dei due. Un istante fotografato può acquisire senso solo nella misura in cui l’osservatore vi può leggere una durata che si estende al di là di esso.
Quando riteniamo che una fotografia sia significativa, è perché le prestiamo un passato e un futuro. Il fotografo professionista cerca, quando scatta una foto, di scegliere un istante che persuaderà l’osservatore a prestarle un passato e un futuro adeguati. L’intelligenza del fotografo o la sua empatia con il soggetto decide per lui che cosa sia appropriato. Però, diversamente dallo scrittore, dal pittore o dall’attore, il fotografo opera soltanto, in ogni foto, una singola scelta costitutiva: la scelta dell’istante da fotografare.
La foto, se paragonata ad altri media, risulta quindi povera di intenzionalità. Nel rapporto tra fotografia e parola, per dirla con John Berger, la foto è quella che chiede un’interpretazione che le parole generalmente le forniscono. La fotografia, irrefutabile come testimonianza ma debole di significato, riceve un significato dalle parole. E le parole, che restano per loro natura a livello di generalizzazione, ricevono un’autentica specificità dall’irrefutabilità della fotografia. L’unione di foto e parole dunque diventa molto forte; una domanda aperta riceve una risposta assolutamente esaustiva.
L’ambiguità fotografica, se riconosciuta e accettata come tale, può offrire alla fotografia un mezzo di espressione. Potrebbe questa ambiguità suggerire un altro modo di raccontare?
Nella creazione della nostra collana abbiamo voluto dare dimostrazione di questa pratica letteraria nuova e che suggerisce nuove interpretazioni, nuove modalità di narrazione, di racconto e una scommessa: se una fotografia può valere mille parole, proviamo a declinarle quelle parole, a riconoscerle, a vedere quali sono più interessanti e quale significato aggiungono e proviamo anche a capire, in senso inverso, se alcune immagini possono essere recepite meglio se le parole che le accompagnano trasmettono loro più forza.
Un altro problema è stato quello di immaginare una soluzione anche per la versione digitale del libro, l’ebook, che come è stato detto da Luca Formenton nella Prima Conversazione, Se il libro è un divenire, non ha comunque inciso più di tanto finora, non raggiungendo più del 5% del mercato. Questa percentuale è ancora più bassa per i libri di fotografia. Perché la fotografia e la sua riproduzione su carta hanno raggiunto dei livelli di eccellenza e di piacevolezza allo sguardo che non posso essere integralmente trasferite nell’universo ebook.
Faccio un esempio all’incontrario. La lettura di un testo fatta attraverso la sua riproduzione su carta non confligge con una lettura effettiva ascoltata magari dall’autore, la voce umana arricchisce e aggiunge emozioni. In questo senso un ebook può anche essere (in tutto o in parte) un audiolibro, e le due esperienze possono convivere, anche in un unico prodotto che ne amplifica ed esalta le specifiche caratteristiche. Ma quel che si apprende leggendo un libro come oggetto passa attraverso l’esperienza individuale, di guardare, aprire e chiudere la copertina del libro mille volte durante la lettura. L’apprendimento, la memoria di questa lettura passa anche attraverso questa esperienza, che non è possibile, al momento, o è molto ridotta nella versione digitale. Così come guardare una fotografia in una versione digitale di un libro fotografico non può essere paragonata alla esperienza visiva, tattile e personale di apprezzare una fotografia stampata, le sue qualità di riproduzione, le diverse tonalità di grigi per il bianco e nero ad esempio. La possibilità di tutti i link possibili nell’ebook letto attraverso un device (di cui molti già sperimentati, ma vari altri ancora da scoprire e realizzare), aumenta in modo esponenziale l’esperienza, anche se per esprimersi a pieno obbliga a un continuo utilizzo della connessione.
Se il libro è un domandare: questa è stata l’ipotesi discussa nel corso della nostra Conversazione odierna. Per chiuderla, niente di meglio dunque che riprendere il Test d’Ammissione che introduce Ariminum Circus per verificare se si hanno le caratteristiche del Lettore Ideale del futuro.
Il test è articolato in dieci item che vi sottopongo per un commento.
1. Il Lettore Ideale aderisce alla Pop-Filosofia di Deleuze: leggere un libro è come ascoltare un canale di Apple Music, assistere a un film di Wes Anderson, guardare un Episodio di Westworld, redigere una voce di Wikipedia, immergersi nella realtà virtuale di un quadro digitale. “Ogni atteggiamento di fronte a un libro che richieda un’attenzione diversa giunge da un’altra epoca e lo condanna definitivamente”.
Stiamo vivendo una fase di inevitabile ubriacatura digitale, cerchiamo di voler conoscere, di voler fare, di voler stare in luoghi diversi nello stesso momento e facciamo tantissime cose nello stesso tempo. Io credo che da questo punto di vista i nativi digitali hanno un vaccino nel loro corpo e quindi sono molto più capaci di noi nel gestire tutte queste opportunità perché non gli sono cadute addosso quando erano già grandi. Ecco allora che la specificità del libro può diventare un valore aggiunto. Lo stesso vale per il cinema. La sala ha in sé una caratteristica che la rende unica e che va difesa rispetto alla possibilità di fruire di film o di serie mentre fai cinquecento cose diverse a casa tua.
2. Il Lettore Ideale sa che l’uomo è intriso dal desiderio di narrazioni. Platone nel Cratilo, ricorda Eco, suppone che le parole non rappresentino le cose, bensì l’origine o il risultato di un’azione. Sono delle microstorie. Duemilacinquecento anni dopo, Kelly individua nella mutazione degli oggetti in attività (il libro diventa un “librare”) l’essenza della trasformazione digitale in atto. Che è anche la lezione fondamentale della teoria della relatività: “Si può pensare il mondo come costituito di cose. Oppure pensare che il mondo sia costituito di eventi e processi… Pensare il mondo come un insieme di eventi, di processi, è l’unico modo compatibile con la relatività” (Rovelli, Carlo. L’ordine del tempo, Adelphi, 2017). Harari così sintetizza la questione: “Gli esseri umani preferiscono pensare in termini di storie piuttosto che di fatti, numeri o equazioni. E più semplice è la storia, tanto meglio è”. Anche quando si pensano: siamo storie per noi stessi. La risposta alla domanda “E tu chi sei?, che il Brucaliffo rivolge ad Alice, può essere data solo nella forma di un racconto capace di definirci: i nostri valori, le nostre capacità, la nostra storia passata, i nostri successi, gli sbagli, le giustificazioni. Con tale consapevolezza, il Lettore Ideale oppone tuttavia “una forma di resistenza, quasi eroica, a ciò che oggi s’impone con successo: la trama dai prevedibili colpi di scena e gli intrecci banali con i loro protagonisti inequivocabili” (Paolo Di Stefano).
In questo secondo passaggio si fa giustamente riferimento alla grandissima importanza delle narrazioni, con argomenti che condivido. Imparare a raccontarsi in una storia, imparare a dire ieri, oggi, domani è fondamentale per la formazione dell’io, ma in ogni caso prima viene il semplice “discorso”, al quale da tempo dedico molto studio e molta cura.
È sempre all’interno del suo ambito che una figura grafica diviene pienamente significativa, non senza. Il tipo di pratiche interpretative che questi fattori, tra loro combinati, mettono in azione è il vero tema da osservare e da chiarire. Per es. che cosa un lettore è chiamato a fare per comprendere adeguatamente se si trova di fronte al Faust di Goethe (lingua originale e/o traduzione); oppure a una sua edizione illustrata da figure; oppure ancora di fronte a un romanzo specifico del medesimo autore o infine a un saggio sulla pianta originaria e il giardino botanico di Palermo, incluse le graziose statue che vi sono presenti.
La complessità e varietà delle operazioni che ne derivano e che poi si sviluppano nel tempo attraverso la catena degli interpreti, i loro testi ecc. non ha, credo, molto da imparare, nel profondo, da ciò che accade oggi (caso mai il contrario), fatto salvo il fatto che oggi ci sono molte più possibilità strumentali e tecnologiche per produrre testi e figure, con le relative storie che ne riguardano la nascita e la relativa vicenda.
3. Il Lettore Ideale apprezza pertanto una narrazione sviluppata non in un unico disegno lineare, ma attraverso tanti abbozzi al plurale. Individui che lottano, viaggiano, amano, inseguono chimere e desideri: i Cavalieri e le Dame nel palazzo di Atlante dell’Orlando Furioso, i dublinesi dell’Ulisse, i supereroi e i villain degli universi Marvel o DC Comics, i personaggi di un videogame.
Io credo che l’incrocio di storie e di frammenti di universi sia una cosa di gran moda, perché alcuni talentuosissimi scrittori sono riusciti a mettere insieme questo modello narrativo rendendolo attraente. Ma dubito che possa diventare la regola, perché è molto difficile incastrare un lettore all’interno di una narrazione complessa e tenerlo dentro fino alla fine. Quindi la narrazione lineare tradizionale e quella diciamo postmoderna, che descrivi in questo terzo item, sono modi destinati a convivere.
4. Il Lettore Ideale applica alla letteratura il modello che Baricco definisce per il business dell’epoca attuale in The Game. In passato fare letteratura consisteva nell’inventare giochi basati su un mazzo di carte preesistente: vinceva chi inventava il gioco migliore. Calvino, in una lettera indirizzata a Edoardo Sanguineti, precisa che si trattava di “assumere il narrabile come combinazione di carte”. Oggi fare letteratura coincide con l’invenzione di un mazzo diverso. Immaginando carte nuove e mettendo insieme carte prima ritenute incompatibili. Un Fante di Cuori, un biglietto degli Imprevisti del Monopoli, un Non Morto del deck di Yu-Gi-Oh!.
E’ difficile impersonare il Lettore Ideale quando non lo si è. Immaginare le carte quando sono condizionato da parole giocando al Monopoli.
Credo comunque che leggere un libro non deve diventare una ossessione snob. La formula giusta è distendere la mente e adagiarsi su qualcosa di confortante. I libri ci sono, d’ogni tipo, taglia, contenuto.
5. Il Lettore Ideale cerca un abbraccio con la totalità dei riferimenti chiamata in campo, dalla cui ricchezza e varietà giudica il valore del testo: ben vengano spunti, citazioni, rielaborazioni che possono andare dalla Commedia dantesca ai più aggiornati trattati neuro-scientifici, dalla filosofia di Roger Waters (ideologo dei Pink Floyd) alla poesia di Martin Heidegger (metafisico esistenzialista), dal Bacio di Munch alle ultime diagnosi sulla cosiddetta “età dell’empatia”.
Il Lettore Ideale, si dice in questa quinta sezione, «cerca un abbraccio con la totalità dei riferimenti chiamata in campo, dalla cui ricchezza e varietà giudica il valore del testo». Su questo valore non ci sarà mai identità di vedute, ma è possibile immaginare che certe interpretazioni si rivelino, nel tempo, più feconde di altre. Non ogni traduzione o trascrizione è infatti tale, cioè feconda e appropriata, per definizione o per il solo fatto che c’è e piace ad alcuni che ci sia.
La versione in fumetti della Divina Commedia avrà certamente i suoi divertiti lettori, tra i quali posso immaginarmi occasionalmente volentieri. Il mezzo non è fatto però per rendere il senso e l’altezza del testo, sono cose diverse; sono diverse le figure del lettore del poema e quello del fumetto (o è il medesimo lettore, ma in abito e finalità del tutto differenti).
Differente è il fine strettamente “economico” della produzione e del produttore della medesima. È come con le canzonette di San Remo e le case discografiche: se è tutta la musica che ti piace ascoltare, questo fatto mostra la tua natura, educazione, orecchio, cultura musicale, partecipazione sociale ecc. Non vi è assolutamente nulla da obiettare quanto al fatto, salvo che a questo mondo c’è fortunatamente anche molto altro (legioni di adolescenti sostanzialmente lo ignorano e a certi interessi va bene così). Per questo gli “slittamenti” (come si dice in g) fra Edipo e Dylan Dog sono a mio avviso piuttosto problematici; se li fa Umberto Eco possono incidentalmente deliziarci (restando le due cose in originale assai imparagonabili e lontane tra loro); se volete dire che il lettore di Dylan Dog è anche un letterato o uno psicoanalista… lasciamo perdere.
6. Il Lettore Ideale ritiene, con Montesquieu, che in un racconto nessun tema è vietato e nessuno obbligato. È lecito inoltre passare dal serio al faceto, dalla riflessione politica all’intreccio sentimentale, dalla satira all’utopia. Un meccanismo analogo ci consente, navigando sul Web, di passare con un click da un sito a un altro, da un blog a una foto su Instagram, da una citazione di Oscar Wilde a un video postato sul canale YouTube di National Geographic.
Come sa chi mi conosce, sono solito lavorare accompagnando la scrittura del testo, dei miei appunti ecc. con qualche ingenua figurina acquarellata. Una intera dispensa di lezioni universitarie su Wittgenstein era fatta così ed è poi diventata un libro. Alla base c’era però la teoria del linguaggio e della figura del Tractatus e poi c’era anche l’idea del foglio-mondo di Peirce: una visione “logica” che ipoteticamente suppone la trascrivibilità dell’intero mondo e dei segni del mondo su un relativo supporto di scrittura: un tema e un problema affascinanti che hanno impegnato e tuttora impegnano la mia ricerca. Se qualcuno vi vedesse dei fumetti (ed è puntualmente accaduto), la sua interpretazione sarebbe in grave difetto di senso, di intenzioni e di risultati. Nel contempo non dimentico di essere stato da ragazzo un lettore accanito di fumetti, rimproverato, con i compagni, dai suoi professori di scuola: certamente i miei fogli-mondo vengono anche da lì.
7. Il Lettore Ideale ama lo Scrittore che non si vanterebbe mai di essere originale. Che mescola spunti, effettua slittamenti, propone commistioni. Sa che il mondo è uguale da diecimila anni. Le differenze fra Edipo, Amleto, Philip Marlowe, Rick Deckard e Dylan Dog sono minime: risiedono nell’adesione ai tempi in cui sono vissuti i loro Autori, nella declinazione in forme narrative diverse, nelle ambientazioni, nel livello di complessità di una medesima idea (in senso platonico) o entelechia (se ci si volge al neoaristotelismo): di uno stesso archetipo, insomma. Al tempo stesso, il Lettore cerca nel libro l’impronta originale, distintiva, data a quell’archetipo dallo Scrittore. Perciò se il suo imperativo è: “remix. E basta”, in ogni remix cerca qualcosa di unico, di mai detto prima. In altre parole, per lui il vero Scrittore è un visionario come il bravo Barman, che sa inventare con elementi sempre uguali cocktail inimitabili. Magari aggiungendoci un particolarissimo ingrediente segreto.
Trovo interessante questo spunto, che ci obbliga a definire cosa è l’originalità. Se per originalità immaginiamo una storia che non ha nessun vincolo con niente che sia accaduto prima, non la troveremo mai. Originalità è invece quel cocktail segreto a cui tu facevi riferimento. Quell’ingrediente che distingue un genio nella scrittura dallo scrittore normale. Prendiamo Harry Potter: alla fine è una storia fantasy di adolescenti, la chiave del successo è la magia all’interno della scuola.
8. Il Lettore Ideale non crede alla distinzione fra generi letterari o prosa e versi (poiché per Boccaccio la voce “Poesia” comprende entrambi, Carver, Bukowski e il Paterson di Jarmush scrivono “racconti in forma di poesia”, Gogol’ definisce Le anime morte “un poema in prosa” – etichetta, per Nabokov, adatta anche a romanzi quali Madame Bovary o Lo strano caso del dottor Jekyll e Mr. Hyde).
È chiaro che quando tu riesci a fare un tipo di narrazione con salti temporali, con salti di personaggi, incrociando storie diverse e portandole tutte quante a compimento in maniera funzionale, ottieni un libro (e quindi un film o una serie tv) più sorprendente, ma è molto difficile. I tentativi si moltiplicano rispetto ad una volta, però in pochi vengono a capo di questa sfida.
9. Il Lettore Ideale ama il weird e l’eerie, due categorie figlie, stando a Fisher, del “perturbante” freudiano. Il weird è ciò che è fuori posto, ciò che porta nel familiare qualcosa che di norma si trova al di fuori di esso. La forma artistica che lo rappresenta nel modo migliore è quella del mash up – la combinazione di più elementi provenienti da ambiti diversi. Da qui la predilezione per il weird da parte del Surrealismo, secondo cui l’inconscio è una macchina per il montaggio cinematografico, un generatore di accostamenti bizzarri. L’eerie riguarda invece l’esterno: di rado è ancorato a spazi domestici circoscritti e abitati. Lo incontriamo in paesaggi svuotati dalla presenza umana, che ci fanno chiedere: che cos’è avvenuto per originare quelle rovine, quell’assenza? L’eerie riguarda domande fondamentali che riguardano l’esistenza e la non esistenza: perché qui c’è qualcosa quando non dovrebbe esserci niente? Perché qui non c’è niente quando dovrebbe esserci qualcosa? è ciò che determina quell’atmosfera di spaesamento, quel senso d’inquietudine e di angoscia in cui consiste la novità della pittura metafisica e dei manga, i fumetti giapponesi.
Più un libro si differenzia per le tematiche, più piace. Più è weird, più incuriosisce. É una questione di saper parlare di qualcosa di diverso, qualcosa che non si è mai sentito prima. Saper inserire nella normalità qualcosa di anormale. Il lettore di oggi ha anche a disposizione una miriade di opzioni di lettura, si trova spaesato nell’immensità della selezione quotidiana delle uscite sempre più prolifiche.
10. Il Lettore Ideale ritiene, come Whitehead, che la cultura occidentale consiste in un cumulo di glosse a Platone; come Schlegel, che i romanzi sono i dialoghi socratici del nostro tempo. Del resto, il primo protagonista di una fiction seriale è Socrate. Oggi Platone scriverebbe cose tipo la Prima Stagione di True Detective.
Credo di capire benissimo e di condividere che non vi è reale discriminazione tra generi letterari e poi tra altre e diverse opere dello spirito umano. Anche Elsa Morante sosteneva l’unità profonda tra prosa e poesia e definiva “poema” un romanzo: una cosa deliziosa!
Così pure apprezzo molto il riferimento al “fuori posto” e all’“esterno”; cito spesso a mia volta il motto di Whitehead che considera i testi della nostra tradizione una serie di commenti a margine ai dialoghi di Platone: dalla oralità di una vita che si aggirava per le piazze di Atene, alla trascrizione del suo silenzioso e ionico segreto in un sapere assolutamente inaudito. Un accadimento immenso, nutrito dal coraggio di un passo oltre l’eresia socratica in un progetto di umanità nuova e generosa, un progetto che governa dal profondo il nostro modo di concepire la conoscenza, il soggetto, il mondo, il suo destino e la sua storia; in forme che forse sono diventate occlusive e insufficienti, sicché ci è necessario oggi un doloroso, faticoso, pericoloso nuovo parricidio, oltre le nostre origini, oltre la filosofia, la poesia, la scienza e tutto il resto. Se vedi questo, o almeno lo intuisci, capisci subito che parlare di Socrate come personaggio ricorrente di una fiction è bensì una battuta spiritosa, ma forse anche astenersene, pensando a chi ignora tutto il precedente, ha un senso. Si voleva invece semplicemente dire: guarda da dove vengono e come sono antiche certe forme attuali di racconto? Ma includervi un ipotetico odierno Platone che senso ha?
Però il punto è anche un altro, cioè che nel mio dire mostro, immagino, una visione “aristocratico-elitaria” della cultura. Infatti ritengo che sia un dovere cercare ogni modo per farla arrivare a tutti, e non osannare indiscriminatamente ciò che pensano e fanno tutti; insomma: preferisco personalmente essere un “illuminista” sconfitto che un borghese soddisfatto della sua piccola cerchia di “raffinati” consumatori di supposta “alta” cultura e indifferenti a tutto il resto del mondo come va. E infine certamente mostro di non essere affatto il lettore ideale del futuro: non ne faccio un dramma; considero la mia età, la mia condizione e mi rassegno. Tutto sommato, va bene così. Ognuno dà quello che ha.
Visto che Marco ci ha esortati a concludere questo percorso ponendo nuove domande, quelle che io porrei sono ad esempio: di che si occupano i romanzi più letti? Quali problemi sono connessi con la produzione dei romanzi?
Immodestamente parlando ho da poco terminato il diciottesimo romanzo del mio investigatore Riccardo Finzi, l’unico investigatore privato del mercato, dato che gli altri giallisti usano i poliziotti. Bene, cosa ha messo al centro del problema? Quei delinquenti che abbandonano gli animali domestici in estate per godersi le vacanze senza seccature. Per sottolineare adeguatamente il problema ho creato un Vendicatore che uccide tutti coloro che si macchiano di quel delitto e…
Il romanzo è uscito alla fine di ottobre e distribuito principalmente in edicola. Perché non in libreria? Perché i librai possono richiedere copie che gli verranno date, ma l’edicola si è rivelata più adatta per opere di prezzo contenuto. Il mio “Vendicatore“ costa meno di 15 euro, ed ha 400 pagine. La libreria attuale mi sembra un enorme deposito di tutto a prezzi esorbitanti.
Per concludere io ho affrontato un caso vero, semi ignorato, che va invece evidenziato onde evitare che oltre all’abbandono si sviluppi la caccia al gatto e mangiarselo come ha fatto quell’uomo, visto da tutti, libero come l’aria. Deve essere arrestato, e giudicato. Sbaglio o c’è una legge che punisce chi arreca molestia agli animali ? La soluzione non è mangiarselo.
Io andrei anche oltre le osservazioni di Carlo e Max. Il test proposto di fatto è vanificato dalla inesistenza di una figura riconducibile a un Lettore Ideale del futuro e i 10 item elencati sopra definiscono uno sciocchezzaio auto-immune basato sull’idea di un cambio del livello comunicativo che non è dato in nessuna delle forme sopra portate ad esempio.
Il Lettore non può definirsi se non nel presente e non gli è dato, in quanto esso stesso soggetto definito, idealizzarsi; non sarà un nuovo lettore a leggere in modo diverso, ma sarà la parola – e la parola scritta e letta o detta – a farsi leggere in modo diverso. Il futuro è già avvenuto, nel passato. Inconsapevolmente.
E ha un nome, un cognome, un’opera: Peter Greenway, A TV Dante, 1990. “È del poeta il fin la meraviglia / (parlo de l’eccellente e non del goffo): / chi non sa far stupir, vada alla striglia!”
Il libro – e il suo futuro-passato nella dimensione del presente – è rispondere.
Vorrei tornare su un passaggio fondamentale del test proposto da Marco, che io ho invece trovato estremamente stimolante: fare letteratura coincide con l’invenzione di un mazzo diverso, immaginando carte nuove e mettendo insieme carte prima ritenute incompatibili, perché anche nell’ambito della scrittura i mezzi di comunicazione hanno avuto la meglio, dando possibilità di produzioni talmente diverse e variegate che scrivere una storia originale richiede tanta inventiva affinché si possa distinguere dal resto.
Da Facebook, a Instagram, anche a Wattpad, la miriade di creators che oggi sono diventati conosciuti grazie ai social e che sono anche un punto di riferimento per, a loro volta, altri giovani e coetanei, hanno anche la possibilità di scrivere. Scrivono di sé stessi, raccontano di come sono arrivati al successo, di quanto gli iscritti abbiano cambiano la vita di uno YouTuber, ecc. In molti oggi hanno la possibilità di scrivere, motivo per il quale si arriva alla necessità di usare carte prima incompatibili. E per lo stesso motivo è consentito scrivere di tutto, nessun tema è vietato o obbligatorio. Esiste una libertà alla creatività, libertà che giova sia allo scrittore e sia al lettore.
E infatti, passando a parlare del lettore, ci sono delle caratteristiche ben definite che rimangono immutate nel tempo, altre invece differenziano le generazioni tra di loro. Generalmente i lettori sono sempre alla continua ricerca di stimoli nuovi, come dice Paolo di Stefano, “evitando la trama dai prevedibili colpi di scena e gli intrecci banali”. Io, come in precedenza, cercherò di parlare facendo soprattutto riferimento a quella che è la generazione Z di lettori. Questi ultimi scappano dal banale, sono alla continua ricerca della storia che rispecchia la loro realtà, la loro epoca, spiegato con una narrazione semplice e lineare. Cercano il loro remix, “remix, e basta”, in ogni remix si cerca qualcosa di unico, di mai detto prima. In altre parole, per lui il vero Scrittore è un visionario come il bravo Barman, che sa inventare con elementi sempre uguali cocktail inimitabili. Magari aggiungendoci un particolarissimo ingrediente segreto.
Un remix, come è stato detto anche nella Conversazione Se il libro è remixato, che è in grado di far apprezzare ancora di più il mondo della letteratura. Accettando gli spunti, le citazioni, i riferimenti ad altre opere, perché tramite i personaggi del proprio libro preferito è possibile cominciare anche ad apprezzare generi, autori, quadri dei quali prima magari non si aveva mai sentito parlare o che semplicemente si riteneva noioso. Si guardando le citazioni con gli occhi dei loro personaggi preferiti. Motivo per il quale, soprattutto con il pubblico giovane, è una formula che funziona e piace molto. I ragazzi, leggendo, danno origine a una forma mentis più sviluppata ed è un passaggio che ritengo importante soprattutto per la loro formazione culturale.
Dato che Marco ci ha chiesto di sottoporci a un Test, più che proporre osservazioni su singoli item, che peraltro sono stati commentati in maniera estremamente interessante e approfondita da chi mi ha preceduto, preferisco cimentarmi nell’esercizio dando delle specifiche anche se brevi risposte. Eccole:
- L’attenzione verso il libro va ampliata, non ridotta; dalla sequenzialità della lettura alla consapevolezza che ogni frase letta può portare a nuove domande, nuove ricerche.
- Noi stessi siamo storie, narrazioni; la nostra coscienza altro non è che una storia costruita e raccontata sui fatti biologici sottostanti. Il fascino dei libri è dovuto all’immedesimazione nelle storie e nella compenetrazione tra la nostra storia e la storia raccontata; la loro fusione comporta la creazione di una nuova storia, il me stesso modificato. Ogni libro, ogni nuova narrazione è la scelta tra una nuova pillola blu o pillola rossa.
- Concordo, l’evoluzione integrata ma autonoma dei personaggi è una chiave per tenere legati i lettori del futuro in un concetto di retention multimediale.
- I media tradizionali hanno già dei campioni difficili da superare. Delitto e Castigo l’hanno già scritto. Inventare modelli diversi sarà la modalità più efficace per creare nuova domanda nel mercato multimediale: a quanti non è piaciuto il finale del Trono di Spade??? Attendiamo le prime serie TV interattive, magari dove potremo direzionare il drago dal telecomando in un mix videogame / serie TV tutto da scrivere.
- Il media del futuro avrà un hyperlink sempre attivo, di andata e ritorno, di congelamento del contesto, approfondimento e ripresa della suspense, attivabile per i frenetici delle ramificazioni e disattivabile dai conservatori della sequenzialità narrativa.
- La fluidità tra serio e faceto è stata fortunatamente sdoganata, non esiste più un modo esclusivamente serio di trattare i temi importanti, da La vita è bella al recente JoJo Rabbit. L’eccessiva serietà è un po’ come il sonno della ragione, rischia di generare mostri (da eliminare col drago di cui sopra).
- L’essere umano nasce, vive, muore. Vale per tutti. All’interno di queste fasi però l’essere umano ha delle esperienze. E’ qui che si nasconde la ricchezza, l’infinita variabilità delle microscopiche sfumature, dalla sintesi di Quasimodo all’analisi di Proust. La storia sarà anche sempre la stessa storia vista dall’alto, ma se apri gli occhi e usi la lente di ingrandimento c’è un universo microscopico tutto da scoprire.
- I generi sono utili per categorizzare, per raccogliere informazioni e per sapere dove cercare un testo in libreria. Ma la Divina Commedia è poesia o un romanzo a puntate in versi? Con tanto di chiusure ad effetto dei singoli episodi? E l’opera lirica non è la fusione tra letteratura e canto? Nelle poesie di Montale sentiamo suoni e rumori, in una sinestesia narrativa che anticipa nuove fusioni sensoriali prossime.
- L’inserimento di elementi spiazzanti e ‘diversi’ ci ricorda sempre che non tutto è lineare e finisce bene o in modo scontato come nei romanzi rosa. Ci avvicina un po’ di più alla realtà delle cose, magari con un piccolo brivido lungo la schiena.
- Se Platone avesse scritto (oggi) la prima stagione di True Detective (a mio avviso la migliore stagione di ogni serie TV) sarebbe una star di Hollywood invitata ai talk show… lo preferisco come filosofo.
Anch’io provo ad accettare la sfida del Test elaborato da Marco, rispondendo puntualmente a ciascuna domanda:
- In termini cognitivi mi trova d’accordo, ma credo che la condanna definitiva sia un giudizio troppo assoluto.
- Sono d’accordo, le storie più sono complesse meglio è, ma non è solo oggi che si verifica quello che dice Di Stefano. Ma quello che sta avvenendo è la disposizione (e disponibilità, e voglia) ormai confermata ad una diversa, più ricca e più variata forma di narrazione, a diversi livelli multimediale e più confacente all’oggi. Bellissimo il riferimento alla teoria della relatività di Rovelli. Bisogna comunque resistere all’impoverimento delle stoirie.
- Difficile definire quali devono essere le caratteristiche ideali della narrazione, se incentrata più su un unico disegno o su tanti abbozzi al plurale. Quello che so è che la qualità della narrazione svela in modo migliore il disegno stesso.
- Sono perfettamente d’accordo, si tratta di creare carte nuove, permettere la fantasia del lettore, e stimolarla per dargli modo di utilizzare anche le proprie reazioni a una sollecitazione visiva plurima
- Sono d’accordo
- Concordo
- È proprio l’ingrediente segreto del Barman che caratterizza l’originalità dello scrittore, che più ingredienti conosce, meglio li mixa e li valorizza nel suo libro.
- Il lettore ideale, come non crede alla distinzione di generi, deve anche estendere i generi esistenti, oltre a prosa e versi, anche a una narrazione multimediale composta di parole e immagini, siano esse fotografie o disegni, e suoni.
- Il weird e l’eerie sono due categorie che attraggono il lettore in modo quasi magnetico; smarrirsi, sentirsi spaesati nel libro è una delle esperienze più intense che si possano fare.
- Penso sia più importante descrivere, per me, con quale narrazione si possono coinvolgere i lettori, e la fotografia, collegata strettamente con la realtà, può esercitare una fascinazione particolare.
Queste dunque le mie risposte. Marco, hai anche predisposto una Soluzione con cui confrontarsi, per capire se, o in che misura, si aderisce al profilo del Lettore Ideale del futuro?
Nel ringraziare calorosamente tutti i partecipanti a questa come alle Conversazioni precedenti, rispondo alla sollecitazione di Roberto pubblicando di seguito il profilo del Lettore Ideale di Ariminum Circus. Fuor di metafora, del lettore del futuro. Qualsiasi sia il risultato che ciascuno otterrà, tenga conto dell’avvertenza finale: leggete e continuate a leggere sempre e comunque, i risultati in termini di crescita personale potrebbero essere sorprendenti!
Soluzione. In quante affermazioni ti rispecchi?
0: Sei una divoratrice di romanzi rosa o un esegeta della Gazzetta dello Sport. Già scorrere le prime righe del Test ti ha provocato disturbi quali nausea, vomito, allergie cutanee, lesioni del sistema neurovegetativo. Fermati prima che il quadro clinico si complichi irrimediabilmente.
Da 1 a 3: Complimenti per la buona volontà, ma per te sono più indicate altre letture: la biografia di Valeria Marini, ad esempio.
Da 4 a 6: Potrai appassionarti alle vicende di qualche personaggio.
Da 7 a 9: Sei il Lettore Ideale di Ariminum Circus.
10: Sei Federico D. Fellini. Hai scritto tu Ariminum Circus.
Da 11 a infinito: Sei Dio. Non solo hai scritto Ariminum Circus, ma anche ogni possibile sequel, prequel o spin-off, le loro traduzioni in tutte le lingue e i dialetti dell’Universo, nonché ogni possibile tentativo di imitazione, plagio e copia, parziale o totale, autorizzato o non autorizzato, presente, passato e futuro.
Avvertenza.
Ariminum Circus è articolato in Cinque Stagioni. Se hai totalizzato almeno 4 nel test, inizia a leggere e prova a ripeterlo alla fine di ogni Stagione. Secondo i calcoli psicometrici effettuati dall’Autore in collaborazione con il Max Planck Institute, la tua curva di apprendimento dovrebbe via via salire. Potrai totalizzare punteggi sempre migliori, fino ad arrivare, alla fine della Quinta Stagione, anche a 10.
In alcuni, rarissimi, casi, dopo la lettura delle Note in retrocopertina, alcuni Lettori potrebbero persino portarsi a quota 11 e oltre.
Progetto Grafico: Marcello Minghetti