#NewHumanities. CyberPsychology&Cybertherapy. Una conversazione con Giuseppe Riva e Simone Barbato.

Come ogni mese, eccoci all’appuntamento con la riflessione su caratteristiche, potenzialità ed applicazioni concrete delle nuove tecnologie immersive (XR) in collaborazione con VRE – Virtual Reality Experience, il festival internazionale ideato e diretto da Mariangela Matarozzo che le declina in tutti i campi: dall’intrattenimento alla medicina, dall’arte al business fino alla valorizzazione del patrimonio culturale e turistico.

L’idea di questa rubrica mensile è di diffondere una maggiore consapevolezza su quanto si stiano sviluppando le XR anche in ambiti ancora poco esplorati riconducibili alle cosiddette New Humanities: dialogo interculturale, cooperazione internazionale, relazioni virtuali.

Di volta in volta, Mariangela Matarozzo e Marina Massaro individuano gli ambiti più interessanti ed attuali presenti nel panorama italiano ed internazionale connessi al nuovo connubio tra humanitas e nuove tecnologie. Attraverso la formulazione di spunti di riflessione e l’invito/contributo di esperti, accademici, creators si propongono di approfondire ed espandere orizzonti conoscitivi sempre più ampi.

Una serie di appuntamenti con alcune tra le voci più autorevoli che spaziano dall’ambito scientifico a quello accademico senza tralasciare il mondo dell’Arte.

Questa ottava Conversazione  è dedicata alla Cyberspychology e alla Cybertherapy. Una riflessione su due nuove branche della psicologia che gettano una nuova luce sul rapporto tra nuove tecnologie immersive e terapia, includendo una serie di pratiche e modalità fortemente innovative capaci di apportare soluzioni inedite a differenti tipi di patologie e aprire nuovi scenari per l’Health & Care.

La Psicologia Digitale, nuova disciplina che studia il comportamento umano e il modo in cui questo viene influenzato, potenziato e trasformato dalle nuove tecnologie è in qualche modo l’avamposto della nuova psicologia del futuro che non può prescindere dall’uso del potente medium della VR.  

Ne parliamo con due interlocutori: Giuseppe Riva, full Professor (tenure position) of General Psychology and Communication Psychology at the Catholic University of Milan e Direttore del Laboratorio di Tecnologia Applicata alle Neuroscienze presso IRCCS (Istituto Auxologico Italiano); e con Simone Barbato, Psicologo Clinico e Co-fondatore di Idego, nonché docente di “Tecniche di Mental Training” presso l’Università di Cassino.

VRE. La Cyberpsychology viene definita come uno strumento di studio per cercare di comprendere il comportamento umano in relazione alla tecnologia, ai Social Network, all’intelligenza artificiale. Come  nasce  e  quando  si   inizia  a  parlare di Cyberpsychology?

Giuseppe Riva. Con il termine «cyberpsychology» (psicologia dei nuovi media) si definisce un’area emergente della psicologia che ha come obiettivo l’analisi dei processi di cambiamento attivati dai nuovi media. In particolare, la psicologia dei nuovi media ha come obiettivo lo studio, la comprensione, la previsione e l’attivazione dei processi di cambiamento che hanno la loro origine principale nell’interazione con i nuovi media digitali.

Questa nuova area della psicologia, nata agli inizi degli anni 90’ con la diffusione di massa della realtà virtuale e dei social media integra nelle sue riflessioni diverse discipline – la psicologia cognitiva e della comunicazione, la psicologia sociale e l’ergonomia – ed ha il suo punto di riferimento in diverse riviste scientifiche in lingua inglese – tra cui ricordiamo «Cyberpsychology, Behavior, and Social Networking», «Computers in Human Behavior», «Emerging Communication», «Journal of Computer-Mediated Communication», «Presence: Teleoperators and Virtual Environments», «PsychNology Journal» – e nella rivista italiana «Qwerty».

Simone Barbato. Le nuove tecnologie di comunicazione hanno modificato radicalmente la dinamica che caratterizza le nostre relazioni, il modo di concepirne le premesse stesse. Le forme di scambio sociale (modalità, punteggiatura, sequenza, canoni e codici) si sono infatti stratificate nei secoli senza particolari alterazioni fino all’avvento dei new media. Questi ultimi ci hanno spinto a denaturalizzare la relazione sociale, consentendo un’estensione in grado di amplificare i nostri limiti biologici, i nostri organi di senso. D’altronde siamo nell’epoca della realtà immersiva, dell’IOT, dei BigData e delle tecnologie open source. Presto nasceranno modi differenti di ideare, apprendere, lavorare, condividere esperienze, giocare, provare emozioni. A tal proposito è importante comprendere che i processi di trasformazione tecnologica in atto plasmeranno un futuro sempre più iper-tecnologizzato. Si evolveranno la mente e il linguaggio, cambierà il modo di esprimere il disagio e la sofferenza, e si trasformerà conseguentemente il modo di intercettarlo e trattarlo.

Nel solco di tali interrogativi la Psicologia Digitale, come area di ricerca, che nasce nei primi anni ‘90, si delinea come una disciplina che valuta come e quanto il nostro comportamento e i nostri stati psicologici siano influenzati dai nuovi media, e prende in esame il modo in cui la tecnologia può essere progettata così da completare e integrare le potenzialità, e le debolezze, degli esseri umani.

Il futuro della Psicologia – in un certo senso – è la Psicologia Digitale, come chiave d’interpretazione, comprensione e guida dei processi di trasformazione bio-psico-sociali in atto.

VRE. L’introduzione della Cybertherapy è avvenuta in un preciso momento storico che coincide con la nascita di un nuovo strumento, la VR. Perché si è deciso di utilizzare proprio tale strumento per far fronte ai disturbi post traumatici dei reduci di guerra? Che tipo di risposte sono state registrate?

Giuseppe Riva. Il cosiddetto disturbo post traumatico da stress (DPTS) è un disturbo caratterizzato da forte ansia e altre sofferenze psicologiche, causato dall’aver vissuto o assistito a un evento traumatico, come un grave incidente o un attentato terroristico. Il DPTS è anche noto come “nevrosi da guerra”, perché fu inizialmente osservato in soldati sopravvissuti a pericolosi combattimenti e situazioni belliche. Uno degli approcci più efficaci per il trattamento del DPTS consiste nella combinazione della terapia cognitiva (che consiste nella ristrutturazione degli schemi di pensiero disfunzionali, come la credenza che gli eventi traumatici possano ripetersi ancora) e della terapia espositiva (il cui obiettivo è ridurre i sintomi del DPTS, facendo confrontare il paziente con il ricordo dell’evento traumatico). La Realtà Virtuale può essere integrata con efficacia per supportare questo approccio. Ad esempio, lo psicologo Albert Rizzo dell’Università della California del Sud ha messo a punto una serie di esperienze di esposizione virtuale per aiutare i veterani americani dei recenti conflitti medio-orientali (Iraq e Afghanistan) che soffrono di questo disturbo.

Simone Barbato. Innanzitutto possiamo ricordare che, come per buona parte delle scoperte tecnologiche più importanti del nuovo millennio, anche la Realtà Virtuale deve molto alla ricerca militare. Le fondamenta del mezzo vengono gettate dagli studi fatti sui simulatori di volo, fortemente desiderati dal governo statunitense a metà degli anni ‘60 per addestrare i piloti senza bisogno di costose e rischiose prove sul campo. Proprio la possibilità di apprendere strategie corrette e di superare lo stress dovuto ad una rischiosa esercitazione aerea grazie ad un simulatore, allenandosi in un contesto quindi sicuro e protetto, ci aiuta a comprendere i principali vantaggi di una terapia espositiva in VR.

Con il sopraggiungere del nuovo millennio vengono infatti prodotte le linee guida per usare la VR in ambito terapeutico, tecnologia usata fin da subito per fronteggiare il Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS); basti pensare a Rothbaum che già nel 1999 impiegò la VR per il trattamento dei veterani della guerra in Vietnam.

Il DPTS è un grave disturbo psichiatrico che segue l’esposizione a morte reale o minaccia di morte, grave lesione, violenza sessuale o ad eventi traumatici di varia natura, come ad esempio attacchi terroristici o incidenti gravi.

Esso si presenta, in assenza di remissione spontanea, nei primi sei mesi dall’evento scatenante e indica una vera e propria incapacità di integrare l’esperienza traumatica con la visione che la persona ha di sé e del mondo. Una ripetitiva intrusione nella coscienza dei ricordi dolorosi, una forte attivazione neurovegetativa e continui tentativi di impedire il ritorno delle memorie attraverso strategie di evitamento causano un peggioramento progressivo dei sintomi e della conseguente disabilità che essi possono causare (Van der Kork e Van der Hart, 1989).

L’evitamento dei pensieri traumatici può rendere i sintomi del PTSD più intensi e severi. Questo perché, evitando pensieri o emozioni connesse al trauma, la persona non ha l’opportunità di elaborare l’evento in questione.

L’uso della VR nel trattamento di pazienti con DPTS risulta essere molto efficace in quanto consente – attraverso l’esposizione ripetuta alla situazione temuta – di rivivere il trauma in un ambiente virtuale sicuro, controllato e protetto, in grado comunque di suscitare emozioni vicine a quelle provate nella situazione reale.

Si affrontano così i ricordi traumatici finché non ci si sente meno sopraffatti.

VRE. In merito ai trattamenti utilizzati nella Cybertherapy, si parla di TIV (Telepresenza Immersiva Virtuale), ICBT (Internet-based cognitive behavioural therapy), e-therapy, PTSD (Post-traumatic stress disorder) treatment, CCBT (computerized cognitive behavioral therapy), come possiamo spiegare questi nuovi approcci?

Giuseppe Riva. All’interno della Cyber terapia possiamo distinguere tra trattamenti che vengono offerti attraverso il computer (CCBT), attraverso internet e le App (ICBT) e attraverso la VR (TIV). L’elemento comune è l’uso della tecnologia digitale come strumento per offrire o supportare l’intervento terapeutico. A differenziarle è poi il tipo specifico di tecnologia utilizzata.

Simone Barbato. La TIV è una metodica che offre un approccio innovativo per il recupero funzionale delle abilità in pazienti affetti da disturbi cognitivi, disturbi motori (ad esempio a seguito di ictus o per malattia di Parkinson), o disturbi psicologici. Attraverso dei programmi virtuali è possibile esercitare le funzioni compromesse per gestire i deficit.

Mentre la VR viene comunemente impiegata dal terapeuta in presenza del paziente in uno spazio fisico condiviso all’interno del setting terapeutico, metodiche come l’e-therapy e la ICBT prevedono un’interazione web-mediata tra professionista e paziente garantendo vantaggi indiscutibili, quali costi più bassi e maggiore accessibilità.

La CCBT permette la consegna di una terapia cognitivo comportamentale tramite l’interfaccia di un personal computer. Questi nuovi approcci hanno in comune la presenza del medium tecnologico che ha il fine di offrire al paziente il supporto di cui necessita, nel modo migliore possibile rispetto alle sue esigenze e necessità; si differenziano invece per la tipologia di tecnologia che viene impiegata.

VRE. Verso quali tipi di patologie, sindromi o disturbi vengono utilizzati tali trattamenti e qual è il loro grado di efficacia?

Giuseppe Riva. Come ho spiegato in un recente articolo scientifico (Riva, Wiederhold e Mantovani 2019) che raccoglie le meta-analisi e gli studi controllati più recenti in questo ambito, la realtà virtuale risulta essere efficace nel trattamento dei disturbi d’ansia e dello stress, del dolore acuto e dei disturbi dell’immagine corporea associati ad obesità e disturbi alimentari.

Il Giardino Segreto

Simone Barbato. Questi strumenti hanno evidenziato la loro efficacia per quanto riguarda il trattamento di disturbi d’ansia, fobie specifiche, disturbi correlati allo stress ma anche nella riabilitazione cognitiva. L’efficacia nel trattamento delle fobie specifiche, ad esempio, è stata dimostrata dagli studi che evidenziano come il sistema nervoso autonomo, che è in particolare deputato alla funzione cardiovascolare, al tono muscolare, all’attività del SN centrale e periferico, induce reazioni corporee simili a quelle suscitate dal mondo reale anche se la persona si trova in un ambiente virtuale.

Diversi studi hanno infatti osservato come situazioni virtuali, ad esempio esposizione a oggetti fobici virtuali, sono in grado di indurre variazioni di frequenza cardiaca, conduttanza cutanea e temperatura periferica. In questo modo il paziente può imparare, all’interno di uno scenario simulato e con la supervisione diretta del terapeuta, a gestire l’ansia e a mettere in atto strategie comportamentali funzionali confrontandosi direttamente con la situazione temuta.

Proprio per questo motivo il team di IDEGO Psicologia Digitale ha sviluppato sette soluzioni di Realtà Virtuale pensate per il trattamento di Claustrofobia, Amaxofobia, Paura di Volare, Paura delle Altezze, Zoofobie, Disturbo Ossessivo Compulsivo e per la Riabilitazione Cognitiva; i nostri applicativi sono destinati ai professionisti della Salute Mentale. E’ sempre importante ricordare che per impiegarli è necessaria una formazione specifica e che il clinico e gli elementi fondanti della relazione terapeutica sono sempre predominanti rispetto allo strumento.

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VRE. Il passaggio da una terapia tradizionale ad una Cybertherapy è da considerare come un passaggio obbligato dettato dal sempre maggiore uso delle tecnologie digitali e virtuali o una scelta consapevole rispetto alle grandi potenzialità del mezzo?

Giuseppe Riva. La psicoterapia tradizionale è guidata dal dialogo tra il terapeuta e il paziente. Questo è anche è il principale punto di forza della terapia e che è alla base del processo di transfer ne è anche il principale elemento di debolezza. Il terapeuta può spiegare chiaramente perché cambiare e come farlo. Ma è poi nell’esperienza soggettiva dell’utente che le parole devono diventare fatti. Se voglio cambiare ma in pratica non ci riesco, il cambiamento si interrompe. La VR, invece permette di superare questo problema: non solo posso rivivere le emozioni passate (catarsi) e capire come fare ad affrontarle (dialogo con il terapeuta), ma posso anche provarci e vedere che riesco a farlo (esperienza). Per questo, la scelta di utilizzare la VR non è solo una moda ma nasce da un effettivo vantaggio di tipo pratico.

Simone Barbato. L’evoluzione tecnologica richiede un continuo aggiornamento delle conoscenze e degli strumenti a disposizione dello psicologo. D’altro canto bisogna sempre tenere a mente che questi tools non vanno a sostituire la figura del terapeuta, né alcuno degli elementi fondanti della terapia, ma sono al suo servizio per migliorare l’efficacia del trattamento. Quindi, riassumendo, restano fondamentali: una formazione specifica per l’utilizzo corretto delle tecnologie, una predominanza del clinico sullo strumento, una supervisione costante e diretta del clinico e un processo di assessment che consenta di stabilire come e quando è utile usare le tecnologie. Quindi non sempre e comunque, ma bene e con consapevolezza.

VRE. La   psicologia   e  l’intelligenza  artificiale  sono  interconnesse.  Entrambe  fanno riferimento alla sfera cognitiva, al comportamento e alle emozioni. Come possiamo definire questo rapporto e quali sono gli ambiti di applicazione?

Giuseppe Riva. Con il termine  IA si definisce l’area dell’informatica che studia lo sviluppo di tecnologie dotate di capacità tipiche del ragionamento umano: apprendimento e adattamento, interazione con l’ambiente, pianificazione e decisione.  Il punto di partenza dell’IA è il cervello umano. Infatti, l’IA si basa su reti di neuroni artificiali che cercano di riprodurre le modalità di apprendimento del cervello. In quest’ottica, la psicologia e la psicologia cognitiva rappresentano la base teorica da cui partire per costruire le reti neurali artificiali che sono il cuore della IA.

Esistono già molti ambiti dove le nostre decisioni si affidano all’IA. Se pensiamo ai viaggi, sempre più spesso la scelta del percorso più breve viene decisa da un sistema di intelligenza artificiale presente sul nostro smartphone. Ma le applicazioni stanno crescendo: oggi l’IA in ambito sanitario, per scegliere che terapia proporre al paziente; in ambito bancario, per decidere la concessione di un mutuo o di un prestito; in ambito giudiziario per la valutazione del rischio di recidiva e della possibilità di rilasciare o meno un sospetto. L’uso crescente dell’IA sta però ponendo una serie di problemi etici e pratici che hanno spinto gli USA, la  Santa Sede e anche l’Unione Europea a formulare una serie di principi etici con cui provare a rispondere alle molte domande portate dalla diffusione di questa tecnologia.

Simone Barbato. Ad oggi, la IA è un vasto campo di ricerca, suddiviso in vari settori e ambiti, tra cui la robotica, il riconoscimento vocale, delle immagini o dei video, il riconoscimento del linguaggio e del parlato, ma anche l’abilità di simulare comportamenti e sentimenti umani (ciò che viene chiamata Affective Computing) per migliorare l’interazione fra l’uomo e la macchina (HCI, Human Computer Interaction), nonché la capacità di percepire e comprendere lo stato emotivo degli esseri umani, e anche di reagire in modo appropriato.

Lo sviluppo delle IA in ambito psicologico corre come non mai. Navigando in rete sarà possibile scoprire come le applicazioni delle IA per la Psicologia siano già innumerevoli. Anche Facebook si sta muovendo in questo settore, ad esempio con il Suicide Alert System, una IA individua e previene i tentativi di suicidio analizzando, mediante sofisticati algoritmi, i comportamenti online degli utenti. Sempre in ambito clinico interessante è l’esperienza del chatbot Woebot, un bot basato sulla TCC.

Uno degli aspetti più interessanti di tali bot, come anche Wysa, è che possono essere interpellati 24 ore su 24. Il loro funzionamento è molto semplice: sono IA con le quali l’utente può interagire via chat, o tramite Messenger (di Facebook) oppure grazie ad una apposita App. Tali bot sono lontani dall’essere considerabili terapeutici: sono invece da considerare come dei tool in grado di fornire supporto in momenti di emergenza. In alcuni casi forniscono soluzioni su come affrontare situazioni emotivamente negative.

Anche noi di IDEGO siamo al lavoro in questo ambito: nel 2018 infatti abbiamo ottenuto un finanziamento del valore complessivo di 4 milioni di euro insieme ad un consorzio di partner internazionali. All’interno del progetto, chiamato Co-Adapt, IDEGO – Psicologia Digitale e l’Università Trento, stanno sviluppando una I.A. in grado di interagire e dialogare con la persona, di riconoscerne gli stati di ansia e stress, nonché di supportarla con un insieme di tecniche prese in prestito dalla psicoterapia e dal counseling psicologico.

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VRE. Che tipo di prospettive vengono offerte dall’utilizzo delle nuove tecnologie nell’ambito della prevenzione e supporto al benessere fisico e mentale?

Giuseppe Riva. Secondo me l’area più interessante al momento è quella della “Tecnologia Positiva”, un approccio scientifico applicativo che usa la tecnologia per modificare le caratteristiche della nostra esperienza personale – strutturandola, aumentandola  o  sostituendola  con  ambienti  sintetici  –  al  fine  di  trasformare la  qualità  della  nostra esperienza personale, e aumentare il benessere in individui, organizzazioni e società.

Un primo utilizzo trasformativo delle nuove tecnologie riguarda la possibilità di utilizzarla per promuovere stati emotivi positivi. Un secondo utilizzo trasformativo riguarda la possibilità di utilizzarla per supportare esperienze coinvolgenti e autorealizzanti, generando e sostenendo l’esperienza di “Flow”. Infine, un ultimo utilizzo trasformativo – e forse il più sorprendente –  delle tecnologie digitali riguarda la possibilità di utilizzare il potere simulativo della realtà virtuale per modificare l’identità, le credenze e gli atteggiamenti dei soggetti.

Simone Barbato. Nell’ambito della Psicologia della Prevenzione, la VR ha dimostrato di avere il potenziale per innumerevoli applicazioni. Ad esempio, diversi sono i fenomeni indagati mediante questa tecnologia per limitare e soprattutto prevenire la messa in atto di comportamenti aggressivi o a rischio.

Uno di questi ad esempio è il bullismo. Il bullismo viene definito come un “comportamento aggressivo e diretto all’obiettivo che danneggia un altro individuo all’interno di un contesto caratterizzato da squilibrio di potere”.

Appare altresì necessario agire non solo verso la riduzione di questo fenomeno, quanto verso la prevenzione di esso, attraverso la riduzione della distanza psicologica percepita nei confronti della vittima.

Infatti alcune ricerche hanno evidenziato che la riduzione della distanza psicologica permette la manipolazione dell’empatia, che si è visto essere fondamentale ed efficace per porre uno shift del comportamento verso decisioni più generose e maggiormente focalizzate verso gli altri, sia in ambito ipotetico che reale.

La realtà virtuale offre un’esperienza altamente immersiva che permette la simulazione di una minore distanza psicologica, dato che l’assunzione della prospettiva dell’altro è una componente fondamentale dell’empatia, utilizzando la Realtà Virtuale per simulare il ruolo di un’altra persona in un ambiente che sembra realistico, è possibile costruire o attivare l’empatia negli utenti.

Ad esempio in uno studio di Kalyanaraman del 2010 si è scoperto che individui psicologicamente sani coinvolti in un’esperienza in VR atta a simulare una psicosi riportavano più elevati livelli di empatia per individui con diagnosi di schizofrenia, rispetto al gruppo che aveva effettuato una lettura di una narrazione esperienziale descrittiva simile e al successivo completamento di una riflessione scritta.

In uno studio di Ingram et al. (2019) che è stato condotto con lo scopo proprio di prevenire il fenomeno del bullismo, la VR simula tre scenari di bullismo rilevanti, in cui al partecipante viene richiesto di assumere la prospettiva di un determinato personaggio. I risultati, nonostante alcune limitazioni, hanno mostrato l’efficacia e le potenzialità della VR come tool di prevenzione della violenza tra i giovani.

Un altro dei più tradizionali campi applicativi della Realtà Virtuale è quello del Rilassamento, rispetto al quale esistono evidenze da ormai quasi 25 anni.

Un campo non solo molto solido dal punto di vista della letteratura scientifica, ma anche tra i più popolari: nei diversi Store esistono un elevato numero di VR App per il Rilassamento, alcune delle quali con centinaia di migliaia di download.

Tra le prime evidenze sull’efficacia della VR nell’indurre risposte di rilassamento vi sono gli studi del 1997 proprio del professor Riva.

I valori aggiunti di impiegare la VR nel rilassamento sono così sintetizzabili: la possibilità di una riproduzione realistica di luoghi altri; il coinvolgimento di diversi canali senso-motori (visivo e uditivo) e la possibilità di isolamento dal mondo esterno grazie ad un visore che non lascia vie di fughe allo sguardo e degli auricolari; la sensazione di immersione che ne deriva e che consente al paziente un’esperienza più vivida di quanto potrebbe fare attraverso la propria immaginazione.

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VRE. Quali sono le opportunità e i limiti della Psicologia digitale?

Giuseppe Riva. All’interno del mondo della psicoterapia, e in particolare della terapia cognitiva comportamentale è già in atto uno spostamento dal dialogo all’esperienza come principale elemento di intervento. A caratterizzare infatti l’”Acceptance e Committment Therapy – ACT” (Terapia di Accettazione e Impegno nell’Azione), una delle forme più recenti di terapia (terapie di terza generazione), è il fuoco sull’esperienza e la consapevolezza come strumenti per attivare e sostenere il processo di cambiamento.

Le riflessioni dell’ACT ci suggeriscono che un’esperienza è in grado di attivare il processo di cambiamento quando è associata alla consapevolezza. E in effetti il cambiamento psicologico non è solo un processo lineare e graduale, ma può essere anche caratterizzato da esperienze radicali (esperienze trasformative) che producono una nuova consapevolezza nel soggetto, portando ad una ristrutturazione globale delle proprie credenze, atteggiamenti e valori. Infatti, il catalizzatore di questo processo è rappresentato da profonde esperienze emotive, che inducono la persona ad elaborare una nuova consapevolezza sulla realtà fisica e sociale permettendogli a costruire nuovi sistemi di significati. La Psicologia Digitale, offrendo la possibilità di costruire e controllare esperienze trasformative rappresenta oggi uno strumento molto potente per raggiungere questo obiettivo. Tuttavia, fino ad oggi la Psicologia Digitale si è confrontata con tre problemi che ne hanno limitato la diffusione. Il primo, è il costo delle tecnologie e del loro sviluppo; il secondo, è la differenza nell’approccio terapeutico rispetto ai metodi dialogici che richiedono una revisione dell’approccio clinico anche da parte di terapeuti più esperti; il terzo, è la mancanza di corsi specifici che permettano a psicologi e psicoterapeuti di apprenderne i principi di base.

Simone Barbato. Pensiamo ad esempio all’e-therapy, termine con il quale si fa riferimento con il quale tuttora si fa riferimento ad ogni intervento psicoterapeutico web-mediato.

La prestazione psicologica web-mediata è mediamente meno costosa, anche perché garantisce maggiore libertà ed è, quindi, economicamente più accessibile. Grazie ad internet vengono meno le restrizioni geografiche. La facilità di accesso rende possibile la comunicazione col terapeuta a tutte le persone che hanno difficoltà a sostenere una terapia tradizionale (si pensi alle persone che abitano in centri mal collegati o che hanno problemi di mobilità di carattere fisico o psichico).

Inoltre, attraverso il computer, le persone tendono ad aprirsi e a fornire informazioni personali con più facilità, rendendo possibile una maggiore profondità del rapporto psicoterapeutico. La funzione protettiva dello schermo favorisce la self-disclosure,velocizzando i tempi del colloquio clinico. A questo fenomeno si aggiunge quello denominato “stranger on the train”, per il quale si ha la tendenza a comunicare informazioni personali con più facilità ad uno sconosciuto percepito distante come un interlocutore virtuale che ad una persona nota, con la quale ci si relazionerà nuovamente vis-a-vis

Un argomento che andrebbe tenuto in considerazione è che esistono innumerevoli potenziali bacini d’utenza che sono restii ad avviare di propria iniziativa un percorso di psicoterapia. Alla base di tale reticenza si riscontrano molteplici ragioni (ignoranza, vergogna, motivi economici,ecc.). Una barriera che trae linfa dalla fuorviante distinzione tra soggetti sani e malati: per diffondere la cultura psicologica in Paesi in cui lo psicoterapeuta è considerato “il medico dei pazzi”, e per recuperare il gap con società in cui si va dallo Psicologo come dal dentista, cioè “prima”, da “sani”, l’utilizzo del web potrebbe risultare indispensabile. Avvicinare, sensibilizzare, educare, avvalendosi di uno strumento diffuso in modo capillare potrebbe aprire nuovi orizzonti e molte menti.

Inoltre, il digitale offre anche allo Psicologo nuovi scenari ed orizzonti operativi, almeno in tre direzioni:

  • il digitale come strumento per veicolarsi come professionista;
  • il digitale come strumento di accesso alle informazioni per una minore frammentazione dei servizi allo Psicologo e una riduzione della complessità organizzativa dei servizi stessi;
  • il digitale come mezzo per l’innovazione e l’aggiornamento degli strumenti a disposizione di Psicologi e psicoterapeuti, al fine di:
  1. intercettare le nuove forme del disagio psicologico;
  2. trattare più efficacemente il disagio;
  3. proporre soluzioni che sostengano l’efficacia del trattamento e accrescano la compliance e l’engagement del paziente;
  4. distinguersi in un mercato difficile e molto competitivo.

Tra i limiti evidenzierei soprattutto la competenza informatica: l’assenza di un training che integri le abilità del terapeuta rispetto all’impiego degli strumenti tecnologici può avere delle ripercussioni su tutto il processo, diminuendone notevolmente la qualità e l’efficacia e la gestione della crisi: la distanza tra il paziente e il terapeuta può estendersi anche per diverse migliaia di chilometri. La scarsa conoscenza delle strutture sanitarie disponibili in una regione geografica molto distante e l’anonimato del paziente rendono difficile far fronte a casi di emergenza e di crisi.