Nel febbraio 2020 il mondo è stato catapultato in una realtà fantascientifica: la diffusione repentina e ampia del virus Covid-19 si è riversata con effetti dirompenti sul tessuto economico e sociale, mettendo le organizzazioni di fronte a una serie impressionante di nuove sfide.
Se da un lato la contingenza ha sicuramente accelerato processi di innovazione già in atto nel mondo del lavoro e ha forzato alcune convinzioni consolidate, dall’altro il cambiamento innescato ad alcuni è parso “momentaneo e precario”, alimentando l’illusione di una inversione di tendenza che possa condurre alla “normalità” pre-pandemica.
Ma un ritorno ai precedenti modelli non è ipotizzabile: occorre inquadrare le azioni che le aziende intraprenderanno nei prossimi mesi come parte di un processo a lungo termine, che difficilmente approderà ad un “new normal” quanto piuttosto ad alternarsi di “next normal” a cui adeguarsi rapidamente.
Questo assunto fa da guida alle conversazioni #PeopleCaring, che si pongono l’obiettivo di identificare gli ambiti prioritari di intervento affinché l’evoluzione diventi sistemica, trasformandosi in un turning point strategico.
L’emergenza sanitaria ha posto le aziende di fronte ad una scoperta inattesa: hanno compreso infatti che possono funzionare bene anche solo con il 20% dei dipendenti seduti alla loro scrivania. Se questo è vero, perché sostenere il costo di un ufficio per il restante 80%?
La risposta non è poi così immediata e semplice. Se da un lato esistono tool che aiutano a supportare le modalità di comunicazione tra gli employee, dalla mappatura delle loro interazioni emerge una necessità di incontro fisico, a cui le aziende devono rispondere tenendo conto delle implicazioni del contesto, delle esigenze delle persone e degli obiettivi di business.
In questa direzione, i trend più diffusi al momento vanno nella direzione di orientare l’uso dello spazio fisico come luogo di interazione e scambio più spontaneo e generatore rispetto a quello consentito dall’attuale applicazione del remote working. Cambia quindi anche il concetto stesso dell’open space, sempre più declinato come un hub di relazioni in grado di fornire i giusti spazi e le corrette attrezzature per ogni task in ampie aree di supporto (activity based), che promuova mobilità e dinamicità (active design) e quindi benessere psico-fisico, scambio di conoscenza attraverso il desk sharing, interazione a distanza con singoli e team virtuali.
Oggi approfondiamo l’argomento attraverso i preziosi contributi di Barbara Cominelli CEO, JLL Italy; Massimiliano Notarbartolo, Co-Fondatore e CEO Progetto Design & Build e Michele Dalmazzoni, Collaboration & Industry Digitisation Leader presso Cisco EMEAR South.
Cominciamo da quella che ultimamente è diventata un po’ una buzzaward: “phygital”. Originariamente si trattava di un concetto molto preciso: ad esempio Rosario Sica nella Conversazione Dal Digital Workplace alla Phygital Enterprise sosteneva che “rispetto ai vari stadi di evoluzione dell’impresa collaborativa, la mia convinzione è che la Phygital Enterprise sia lo sviluppo naturale del Digital Workplace.
In particolare credo che:
- che la Phygital Enterprise si definisce nel continuum dell’evoluzione delle logiche e pratiche collaborative, di cui rappresenta la tappa più avanzata
- che la tappa precedente, il Digital Workplace, tiene al suo interno soprattutto l’articolazione delle quattro aree già presenti nella Social Intranet (Comunicazione, Conoscenza, Collaborazione e Attività), aprendo, come già notato, ai portali esterni dell’impresa
- che la Phygital Enterprise si caratterizza invece per il fatto di fondarsi soprattutto su tre colonne portanti: Internet of Things, Big Data e Machine Learning.
Quest’ultima caratteristica è cruciale e richiede un commento. Come si è già visto citando velocemente alcuni casi di iniziative phygital sviluppate dai brand nei loro rapporti coi consumatori, per rendere davvero soddisfacenti le esperienze fisiche è necessario attivare esperienze digitali sulla frontiera dei più avanzati traguardi tecnologici. Lo stesso vale per ogni possibile iniziativa riguardante l’interno delle organizzazioni. Del resto, essendo la Phygital Enterprise evoluzione del Digital Workplace, interno ed esterno delle imprese vanno ormai considerati nelle loro continue interrelazioni reciproche”.
A partire da queste premesse, negli ultimi anni si è parlato dell’evoluzione degli spazi in ottica phygital: ma nel contesto attuale, in cui il fisico è una dimensione quasi annullata, si chiede lo stesso Sica nel suo ultimo lavoro Dall’employee experience all’employee caring. Le organizzazioni nell’era post Covid-19, ha senso ancora parlarne? E in che termini va ripensato il fisico digitale, o il digitale fisico? A partire da un rinnovato paradigma legato agli spazi, è possibile e auspicabile ripensare anche a un modello legato al “tempo”? Tempo libero, tempo produttivo ecc.?
La situazione emergenziale che ci ha colto alla sprovvista un anno fa ha imposto l’urgenza e la necessità di mutare improvvisamente il nostro modo di vivere e di lavorare. Abbiamo dovuto intraprendere un’azione rapida che ha dato priorità alla continuità del lavoro piuttosto che alla definizione di una forma intelligente di ibridazione: ci siamo limitati a fare del telelavoro senza, inizialmente, sviluppare delle modalità di lavoro smart.
Detto ciò, abbiamo sicuramente svolto un’azione efficace di change management. Abbiamo dimostrato che nonostante i tempi brevi si possono fare delle grandi cose come, ad esempio, la spinta ad accelerare il passo verso il digitale. Dai dati emersi dal report “Reimagining Human Experience, novembre 2020”, elaborato dal nostro Research department, emerge che la grande maggioranza delle aziende si sta orientando verso un modello ibrido, dove digitale e ufficio si integrano e si completano. Cambia completamente il modo di concepire l’ufficio e lo spazio di lavoro. L’ufficio non è un luogo dove andare ogni giorno dalle 9 alle 5, ma uno degli strumenti che ho a disposizione per lavorare e soprattutto per lavorare al meglio. Ciò significa che tra digitale e fisico non c’è contrapposizione ma integrazione, una evoluzione positiva, un nuovo equilibrio con più qualità di vita ma anche più risultati.
Procedere in questa direzione richiede un ripensamento del concetto di lavoro e, in parallelo, anche l’adozione di un approccio sempre più human centered, cioè che parta dall’esperienza del dipendente e che si traduca nella progettazione di nuovi spazi di lavoro.
Ibridazione e Human Experience, sono parole di cui sentiamo spesso parlare ed esprimono la complementarità tra fisico e digitale. Proprio in merito al concetto di ibrido, dalle survey sottoposte ai nostri clienti è emerso che il 65-70% dei loro dipendenti aspira all’adozione di una formula ibrida e sono in pochi quelli che desiderano adottare un approccio totalmente digitale. Anche l’Italia è orientata verso un modello bilanciato: i risultati di media riportano il desiderio di fare 2/3 giorni in digitale e il resto in ufficio.
Sotto il profilo dell’efficienza aziendale, abbiamo visto i benefici che il modello ibrido ha portato in termini di produttività, flessibilità e conciliazione. Tuttavia, ci sono anche dei rischi ad esso connessi e legati all’annullamento dello scambio che generalmente avveniva nello spazio d’ufficio: parlo dello scambio di conoscenza che instaura collaborazioni solide, pratiche innovative, che garantisce un pieno on-boarding delle nuove persone. Emergono inoltre ora rischi legati all’engagement e al branding, che inevitabilmente subiranno delle alterazioni. Pensiamo a come stare in ufficio ed essere coinvolti in una dimensione sociale aumenti il senso di appartenenza, che attualmente invece è assente.
Nonostante la sua utilità ed efficienza, con il lavoro esclusivamente in digitale si corre il rischio di perdere un ulteriore valore aggiunto estremamente importante derivante dalla contaminazione e dall’incontro tra più generazioni: in ufficio capitava di avere più generazioni nello stesso spazio, e questo comportava una contaminazione di conoscenze e di esperienze che contribuiva alla costruzione di un clima aziendale fresco e dinamico. A lungo termine, il lavoro da remoto potrebbe essere percepito quindi come un limite all’innovazione e alla crescita. Quello di cui abbiamo bisogno è la socialità, necessità espressa principalmente dai giovani.
L’ufficio cambia dunque ruolo e significato: da mero luogo di lavoro, a strumento di cui le aziende dispongono per migliorare ulteriormente l’esperienza di lavoro delle proprie persone, declinandola in base alle diverse attività, ai profili e ai diversi momenti.
L’emergenza del Covid-19 ci ha imposto la necessità di stare al passo con i tempi poiché ha accelerato l’evolversi di qualsiasi situazione: la crisi pandemica, infatti, ci ha costretti a ripensare le nostre vite e il nostro modo di lavorare in tempistiche molto ristrette; non solo, tra gli elementi protagonisti di questo nuovo modo di pensare, oltre all’importanza dell’evoluzione del digitale, c’è sicuramente lo spazio di lavoro.
Il ripensamento a cui siamo stati chiamati è talmente grande e incerto che tuttora non siamo in grado di definire né come sarà organizzato, né quale sarà l’ufficio del futuro. In questo momento stiamo assistendo ad un grande esperimento planetario in cui tutti noi siamo stati costretti ad effettuare il più grande stress test sul lavoro mai visto e immaginato prima d’ora.
Ma a parere mio la vera domanda che dobbiamo porci è: le persone che torneranno in ufficio saranno le stesse? Avranno le stesse aspettative? Non possiamo riflettere su come cambieranno gli spazi, senza chiederci come cambieranno le persone che li popoleranno.
Per quanto riguarda il ripensamento degli spazi, riceviamo richieste molto differenti dai nostri clienti. In funzione di queste differenze, oltre che per comprendere meglio la situazione che stiamo vivendo, abbiamo creato un osservatorio interno composto da 81 persone che monitorano quanto accade nel proprio paese rispetto alle tendenze e richieste dei nostri clienti.
I risultati di queste osservazioni mostrano come le società si muovano su due assi ben distinti: il primo, la propensione al cambiamento, tipica di quelle aziende (Microsoft ad esempio) che hanno nel loro DNA questa caratteristica; il secondo il coraggio.
Il primo asse riguarda le aziende predisposte ad investire nella ricerca e nel cambiamento, elementi che rappresentano dei driver di modelli di evoluzione, di comportamenti ed azioni: si tratta di aziende che sentono il bisogno, insito nella loro struttura, di cambiare e di innovare. Queste necessità non sono emerse con il Covid-19, sono sempre esistite, ma avvenivano con meccanismi differenti: uno degli elementi fondamentali di cui le imprese potevamo godere era il tempo; il tempo di capire, di conoscere ed analizzare dove e come fare i giusti investimenti. Un lusso, il tempo, che oggi non abbiamo, ed è per questo che il secondo asse su cui si muovono le aziende è il coraggio. Oggi le decisioni aziendali vengono prese sulla base di conoscenze parziali e in tempi molto stretti ed è per tale ragione che non tutte le aziende si assumono il rischio e hanno il coraggio di investire.
Esistono aziende che decidono che tutto cambierà e definiscono una direzione da seguire dalla quale sanno cogliere principalmente i vantaggi, rispetto ai rischi. Ci sono altre aziende invece che dovrebbero essere innovative, ma di fatto le loro dinamiche lavorative cambieranno poco.
La società di consulenza BIP – Business Integration Partners – ad esempio, è stata una delle poche aziende che ha corso dei rischi e colto le opportunità di questa situazione: è una, se non l’unica, ad aver preso una decisione netta dando vita al primo vero ufficio post Covid-19. L’azienda ha deciso di avviare un processo di change management, grazie a cui molte delle sue persone lavoreranno da casa e gli uffici saranno dotati di luoghi di condivisione delle informazioni, delle conoscenze, delle skills. Nei nuovi uffici, che a breve saranno terminati, verranno creati degli open space in cui condividere e generare valore, degli spazi che accoglieranno le persone solo per lavori definiti e in cui troveranno tutto quello che occorre per svolgere le proprie attività lavorative. In questi nuovi spazi ovviamente la tecnologia e il digitale saranno protagonisti.
Viceversa, stiamo progettando uffici di alcune società digitali che ci dicono di voler dedicare una scrivania per ogni dipendente all’interno dello spazio d’ufficio. Chiaro, creeremo dei luoghi leggermente differenti rispetto a quelli di prima, ma la differenza sarà minima rispetto all’evento al quale noi tutti stiamo assistendo.
Prima del Covid-19, i luoghi di lavoro stavano già subendo una trasformazione, che era principalmente rivolta alla percentuale di attività svolte all’interno di questi spazi. Negli anni Ottanta e Novanta siamo partiti con gli open space e piccole aree dedicate alla pausa, man mano il tempo ha fatto affiorare certe dinamiche e gli spazi definiti “smart”, che già prima della pandemia stavano crescendo tra il 20/25%. In base alle nostre ricerche crediamo che in futuro almeno il 50% degli spazi saranno smart e che la restante percentuale sarà dedicata alla concentrazione e produzione vera e propria.
Rispetto al lavoro da casa posso affermare che questa tipologia di lavoro non è stata una scelta consapevole e organizzata per le aziende. Quella a cui stiamo assistendo è una dinamica nuova, a cui le aziende devono far fronte: sono stati molteplici i casi in cui hanno dovuto confrontarsi con la richiesta da parte dei dipendenti di rientrare negli spazi d’ufficio.
Le aziende che, come BIP, faranno delle scelte così nette dovranno concentrarsi sull’obiettivo di mantenere le loro persone ingaggiate, un ingaggio che non sempre avviene quando si è a distanza.
Il lavoro da casa sembra funzionare perché, proprio grazie a questa metodologia, molte aziende hanno mantenuto la loro business continuity durante la crisi, ma in realtà il lavoro da remoto non funziona bene come pensiamo. Chi lavora da casa molto spesso si trova ad essere completamente assorbito dalle dinamiche lavorative, specialmente se pensiamo che queste si mescolano con le dinamiche casalinghe e famigliari; il lavoro da casa spesso non lascia spazio alle persone di dedicarsi ad attività di svago, cura o sportive. A nostro avviso l’unico modo in cui l’home working possa funzionare è lasciando libere le persone di fare altro durante le ore lavorative, organizzando il tempo in maniera davvero flessibile: questo è l’unico modo che l’home working ha, a mio avviso, per generare valore.
Massimiliano, poco fa, rifletteva sull’importanza dell’investimento nella ricerca e nel cambiamento; questi due elementi, così come in generale il tema del digitale, in Cisco rappresentano una delle aree di lavoro più importanti. La nostra business unit – la collaboration – offre tutte le soluzioni necessarie per poter collaborare a distanza.
Come azienda siamo partiti tempo fa portando i “servizi della voce” sulle reti internet, si sono aggiunte quindi le tematiche della video comunicazione, delle video conferenze e del Contact centre, integrandosi sempre più e dando luogo a piattaforme ricche ed evolute, pensate per le esigenze del mondo professionale e il business. I nostri clienti infatti sono le aziende, le istituzioni e le organizzazioni.
In CISCO ci siamo trovati avvantaggiati rispetto agli altri nell’affrontare la crisi poiché l’azienda trae le sue origini proprio dalla progettazione di apparati per connettere le persone a distanza: basta pensare al nostro logo – un ponte – simbolo rappresentativo della nostra cultura e filosofia aziendale di “connettere le persone”. Negli anni ci siamo sempre occupati di queste tematiche vivendole in prima persona: per noi lavorare da remoto era un’abitudine, non una modalità dettata da impedimenti (come nel caso della pandemia). Anche in questa circostanza, comunque, il nostro obiettivo rimane sempre il medesimo, ovvero offrire alle persone un modello di lavoro che dia loro la libertà di organizzare il proprio tempo e di identificare il luogo in cui è possibile lavorare con libertà e autonomia.
Questo comporta una serie di implicazioni di carattere culturale e organizzativo. Per fare un esempio cambia il modello organizzativo di valutazione delle prestazioni: non si lavora più a tempo, ma per obiettivi. Diventa quindi indispensabile cambiare anche le dinamiche gerarchiche e che alla base di questa nuova modalità di lavoro ci sia una forte fiducia.
Oltre a una dimensione culturale e organizzativa è importante considerare la dimensione tecnologica. Quando si parla di lavoro smart, non bisogna intendere solamente il lavoro da casa, ma bisogna ampliare l’accezione del termine: il lavoro smart è lavoro tra persone che lavorano tutte da casa, tra persone che lavorano in parte da casa e in parte in ufficio, tra persone della stessa azienda che lavorano in uffici differenti; non solo, la cosa si estende anche agli stakeholders esterni all’organizzazione. Le condizioni per un lavoro smart sono garantite solamente se sono garantite anche le condizioni e le strumentazioni tecnologiche necessarie per svolgere il lavoro.
Così come il vecchio ufficio doveva essere luminoso, spazioso e stimolante al fine di spronare e motivare le persone, anche la tecnologia deve avere gli stessi requisiti. Allo scoppio della pandemia, le aziende più smart erano già dotate di soluzioni che consentivano alle loro persone di lavorare a distanza attraverso sistemi di video conferenza o di digitalizzare gli ambienti fisici. Oggi essere “smart” non significa più far viaggiare un gruppo di persone per raggiungere il luogo di una riunione perdendo una giornata intera, ma significa utilizzare gli strumenti che consentono di farlo da remoto.
Il passaggio al digitale è avvenuto al 100% in pochi mesi: questa però non si configura come la realtà a lungo termine. Il modello che anche noi pensiamo si affermerà una volta ritornati alla normalità, è quello Ibrido. Nello specifico noi parliamo di Hybrid Workplace: un modello che consente a chi sta in presenza e a chi lavora da remoto di partecipare ad una determinata attività in modo adeguato e con il giusto livello di inclusività.
Affinché si possa parlare di Hybrid Workplace è necessario porre tutti i dipendenti in una situazione che agevoli e favorisca la loro produttività ed efficienza sul lavoro (indipendentemente dal luogo). Gli strumenti di cui i dipendenti dispongono devono essere delle strumentazioni professionali che consentono la digitalizzazione dell’ambiente fisico, in modo tale che a tutti siano garantite interattività e inclusività: sia i dipendenti che sceglieranno il lavoro da remoto, sia i dipendenti che si sposteranno nelle sedi d’ufficio dovranno godere delle medesime condizioni lavorative.
Prima della pandemia era già in atto un fenomeno di rivoluzione degli ambienti di lavoro – gli open space ad esempio – ma quel che ora si evidenzia è la necessità di garantire delle esperienze ibride all’interno di quegli spazi: credo che ci si renderà conto dell’importanza della digitalizzazione degli spazi nel momento in cui sarà necessario il ritorno negli uffici.
Ogni spazio ha bisogno della dotazione tecnologica più opportuna e i sistemi di collaborazione devono consentire una dinamicità del lavoro. Gli ambienti di lavoro saranno molteplici e per ognuno deve essere pensato un sistema di agevolazione tecnologica che renda il lavoro inclusivo: si pensi a come la tecnologia ci abbia assistiti e supportati nella possibilità di portare a bordo dei talenti che prima non avremmo potuto avere per via della distanza.
Con una digitalizzazione oculata degli spazi è possibile indirizzare delle esigenze specifiche: condividere contenuti multi-screen, vedere il nostro interlocutore come in presenza, sfruttare molteplici input o fonti utili per la riunione in corso. Lo spazio fisico digitalizzato ci dà inoltre la possibilità di utilizzare la tecnologia per sviluppare interventi di co-creation attorno a oggetti fisici, cioè trasmettendo la fisicità dell’oggetto anche a chi sta lontano.
Un altro campo di applicazione dello spazio digitalizzato è la formazione: il politecnico di Milano, ad esempio, fa lezione a distanza utilizzando i nostri sistemi che, attraverso video e telecamere, digitalizzano l’aula e definiscono persino una regia automatica.
In questo modo, con un mix di software, cloud e hardware siamo in grado di garantire l’esperienza ibrida ed inclusiva di cui abbiamo parlato finora. In tutti questi anni la tecnologia ha lavorato per adattarsi alle necessità di chi lavora: esistono infatti una serie di soluzioni pensate per essere integrate in ambienti già esistenti. Questo significa che, con le giuste accortezze, non sarà necessario creare degli ambienti specifici per poter digitalizzare i propri uffici o le proprie postazioni di lavoro.
Covid-19 ha saputo mostrarci come tutte le dinamiche, processi e adozioni, possano subire un’accelerata. Dalle riflessioni emerge la necessità non solo di sapersi adattare al cambiamento, ma di rispondere ad esso mettendo in campo un uso sapiente, innovativo e integrato delle tecnologie, così da ripensare il concetto di lavoro e sviluppare un approccio human centered.
Il nuovo modello vede nell’Ibrido la condizione di lavoro futura, che agevoli i dipendenti e che li ponga in una situazione volta a favorire la loro produttività ed efficienza sul lavoro anche con il supporto della tecnologia. In questo quadro, gli spazi devono diventare luoghi capaci di integrare benessere sociale, utile economico e tecnologie smart: in questo senso le aziende come si muoveranno? Chi non agirà in questa direzione rischia l’uscita dal mercato?
Il next normal menzionato da Rosario Sica nel suo ultimo libro prospetta una continua evoluzione e, ovviamente, un improbabile ritorno ad una situazione prepandemica.
È dunque fondamentale parlare di azioni di re-imagine, re-invent: gli uffici, come sottolineato nella mia risposta precedente, cambiano le loro vesti. Oggi e per il futuro gli uffici devono essere disegnati nell’ottica di costruire una journey per le persone che lo popolano. Il digitale è realtà e per tale ragione dobbiamo attualizzare il mondo che ci circonda, partendo dal mindset fino a giungere ai luoghi che ci ospitano durante le ore di lavoro.
L’ecosistema del building va quindi ripensato in un’ottica di sostenibilità, tecnologia e di benessere. I nuovi concept degli uffici devono essere attenti alle persone: nuovi spazi per il caffè, per il relax, per la cura di sé, anche più green, che ricreino una sorta di seconda casa. Ora che l’employee occupa meno gli spazi d’ufficio bisogna far sì che, quando ci si reca, questo spazio venga percepito come una vera e propria “destinazione”, una location in cui mi fa piacere andare, un’ambiente confortevole, accogliente e funzionale. Lo spazio deve essere in grado di integrare tutte le funzioni ed è per questo motivo che le tecnologie di cui sono dotati devono essere sempre più smart: questo per consentire un’ottimizzazione degli spazi e garantire sicurezza e controllo.
L’ufficio deve essere visto come uno spazio di collaborazione, in cui i dipendenti non avranno più la propria scrivania, ma sceglieranno di sedere con la persona e nel luogo che meglio si addice alla loro esigenza lavorativa. Se l’ufficio non serve per portare avanti un task specifico, si ridurranno i desk, ma aumenteranno le zone di collaborazione interna (destinati ai dipendenti) ed esterna (destinati a fornitori e clienti), abilitate da soluzioni tecnologiche più avanzate.
Per la prima volta “l’immobile” è sull’agenda dell’Amministratore Delegato: il CEO non deve più pensare l’ufficio come semplice luogo in cui lavorare – uno spazio contenitore – ma lo deve percepire come luogo con cui ottenere performance, innovazione, benessere, con cui fare branding e lavorare sul proprio posizionamento.
Le aziende devono migliorare l’esperienza dei dipendenti in ufficio e sistemare gli spazi in base alle necessità e alla domanda dei dipendenti, in modo tale da ottimizzare sia la loro esperienza sia i costi da sostenere per apportare tali modifiche. Sicuramente uno dei motivi per cui ora i CEO e gli HR stanno ripensando alla rimodulazione degli spazi è il posizionamento dell’azienda, la quale deve tornare ad essere attrattiva per i nuovi talenti e continuare a mantenere viva la motivazione degli interni. Questo è un tema che le aziende più illuminate stanno mettendo al centro della loro strategia.
Non tutti hanno deciso che metodologia adottare, ma per la maggior parte delle aziende il sistema ibrido è il futuro. Alla base ci deve essere un cambio radicale di paradigma, dato che deve cambiare sia il modello che il modo di lavorare: non si parla infatti solo di tecnologia, ma deve cambiare il modello operativo. Se vogliamo che le persone siano agili e in grado di gestire il tempo e il lavoro in autonomia e responsabilità, dobbiamo abbandonare modelli di controllo, di micro-management e investire sull’empowerment delle persone, sul coaching.
È chiaro in questo caso che la comunicazione, come dice Rosario, l’empatia e il caring assumono valore. La difficoltà di collaborare e gestire team in remoto in questa fase, ci ha fatto capire quanto è importante attivare questa dimensione di caring e vicinanza ai collaboratori.
Gli spazi, per rispondere alle esigenze nascenti delle persone, devono necessariamente diventare più smart. E questo è inevitabile: gli spazi sono profondamente cambiati, non c’è dubbio, la tecnologia e l’inserimento del digitale all’interno dei luoghi di lavoro sarà inevitabile e modificherà le nostre abitudini.
Non si tratta più di fantascienza, le riunioni miste in cui una parte di interlocutori è in presenza e la restante parte proiettata mediante un ologramma stanno prendendo sempre più piede. Tutto questo è realtà ed è una realtà per cui ormai non ci sorprendiamo più, perché è un modus operandi diventato parte delle nostre abitudini.
Per quanto riguarda il benessere all’interno dell’ufficio, oggi lo si garantisce in due modi: in primis attraverso una nuova modalità di direzione/gestione delle persone (che non può più essere verticale), poi attraverso dei luoghi in cui le persone possono trovare spazio per ogni propria attività.
Noi abbiamo fatto qualcosa in più: da circa due anni abbiamo creato un progetto di ricerca insieme al dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute dell’Università di Milano, Bip e Technogym. Abbiamo pensato e sviluppato un concept di ufficio che riesce ad allenare le persone in modo inconsapevole: attraverso l’utilizzo di macchinari, strumenti e una forte digitalizzazione di tutto l’ambiente, le nostre persone seguiranno un piano di allenamento funzionale senza nemmeno rendersene conto, ottenendo però dei benefici fisici e mentali.
Tramite questo nuovo modo di ripensare gli spazi e il benessere dei singoli, sarà possibile seguire le linee guida del protocollo della salute stabilito dell’OMS secondo cui il mantenimento della salute di una persona è garantito con una pratica settimanale di allenamento che copre i 150 minuti di attività; grazie questo nuovo concept i dipendenti rientreranno nei parametri. Potrebbe sembrare una mossa anacronistica visto che gli uffici forse tenderanno a svuotarsi, ma noi vediamo l’ufficio non più come un semplice e comune “luogo di lavoro”, ma come un luogo in cui rimanere in salute. Il software che abbiamo creato nell’ambito del progetto di ricerca vuole essere funzionale e inclusivo: consentirà alle persone di allenarsi dentro o fuori gli spazi di lavoro con esercizi brevi e moderati, senza che si rendano conto della fatica.
Riagganciandomi a quanto detto in precedenza, non tutte le aziende hanno le stesse necessità e priorità: ci sono aziende che hanno la necessità di far tornare in ufficio le proprie persone e tramite questo nuovo concept, qualora decidessero di adottarlo, potranno godere di uno strumento in più per garantire il benessere delle loro persone.
Noi stessi, ad esempio, in quanto studio di progettazione, abbiamo necessità di lavorare in team e continueremo con la presenza fisica: possiamo infatti disporre di una sede di 3000 m2 all’avanguardia del punto di vista della digitalizzazione degli spazi che ci permette di conoscere in real time lo status dei nostri spazi, persino il livello di qualità dell’aria.
Ritengo che la tecnologia serva per unire e non per distanziare e questa sua funzionalità risponde all’esigenza di cui parlavano i miei due colleghi poco fa: garantire il benessere alle persone. Pensiamo ad esempio come nell’immaginario collettivo la DAD – didattica a distanza – crei lontananza; ora ribaltiamo la visione e pensiamo a che cosa sarebbe successo e come avremmo vissuto questo momento se non ci fosse stata questa possibilità. La tecnologia unisce e, quanto più la tecnologia è buona, tanto più siamo in grado di abbattere le distanze.
Digitalizzare gli spazi fisici significa permettere alle persone di scegliere e stabilire quanto partecipare, come organizzarsi, quanto e come vivere l’ufficio. La tecnologia negli spazi ci consente di lavorare a beneficio delle persone poiché elimina il divario tra “chi va in ufficio” – e dunque fa carriera – e “chi sta a casa” ed è quindi destinato a non crescere professionalmente: questa differenza viene a mancare con una corretta e diffusa digitalizzazione.
La digitalizzazione degli spazi e dei processi deve essere pensata ed implementata per unire, includere e garantire a tutti le più corrette ed eque condizioni lavorative. Inoltre, sempre nell’ottica di favorire le persone, essa consente un risparmio di tempo, economico e di energia. Si tratta oltretutto di un’opportunità che le aziende hanno di diventare attrattive per i nuovi talenti, per i quali la creazione di una postazione di lavoro a casa è un fattore differenziante.
Scegliendo la modalità di lavoro a lui più congeniale, il dipendente è più produttivo e quel che si evidenzia è la creazione di molteplici benefici: win per l’azienda perché il personale è più produttivo, win per il personale che può organizzarsi secondo le proprie necessità e win per la società poiché si crea meno traffico, meno inquinamento e meno stress. Non si tratta più di dover scegliere tra la produttività, l’ambiente, l’individuo o la società: si va verso una direzione che comporta una trasformazione generale del contesto sociale.
In questa trasformazione il tema del caring ha senza dubbio un ruolo predominante perché gli uffici, pur mutando nel loro aspetto, non perdono la loro primaria funzionalità: mettere al centro le persone, i loro bisogni e dunque il loro benessere.
Gli uffici vecchi stampo non hanno più motivo di esistere. Sempre in un’ottica di attrattività e di benessere, gli uffici con una scrivania per dipendente non trovano più spazio nel contesto lavorativo odierno. La tecnologia apre questa finestra: consente di unire più competenze, saperi, consente di avere ospiti importanti che provengono dall’altra parte del mondo e questo arricchisce le possibilità che l’azienda offre ai suoi dipendenti.
La tecnologia abbatte le barriere del tempo e dello spazio ed è in grado di unire anche quando un’unione effettiva non è possibile. Inoltre, incrementa la libertà e la sicurezza del singolo sul luogo di lavoro: libertà perché il dipendente può scegliere come e quando accedere all’ufficio; sicurezza perché i nuovi sistemi consentiranno di identificare delle situazioni di pericolo, come ad esempio se nella stanza ci sono assembramenti o sono presenti un numero di persone superiore rispetto alle normative in corso.
Lo ribadisco, è molto importante garantire l’inclusività e questo sarà possibile solamente mettendo in atto una serie di accorgimenti e modifiche volte ad agevolare sia chi deciderà di lavorare in ufficio, sia chi deciderà di lavorare da casa.
L’ufficio cambia le proprie vesti e il proprio significato: non è più solo luogo di produttività, ma diventa uno spazio in cui condividere e porre al centro il benessere e le nuove esigenze delle persone. L’ufficio del futuro sarà esteso: non solo comprensivo della sede centrale, ma delle abitazioni e degli spazi di coworking e questo in funzione dell’adozione di una modalità di lavoro ibrida. Gli spazi saranno configurati in modo tale da poter essere utilizzabili in base alle esigenze lavorative, dei luoghi in cui le persone potranno trovare spazio per ogni attività.
Che impatto ha la trasformazione del lavoro a cui stiamo assistendo sul territorio, sul nostro tessuto urbano? Quali sono le opportunità da cogliere in termini di valorizzazione dell’esperienza “umana” sia essa associata al nostro essere lavoratori così come cittadini e abitanti del pianeta?
Covid-19, come sostenuto nel libro di Rosario Sica, ha accelerato tutta una serie di pensieri e processi decisionali. A prescindere da questa inevitabile spinta al cambiamento, ha cominciato a farsi spazio l’idea di un nuovo modello di purpose e sustainability dell’azienda, in cui l’ufficio non è più dedicato alla corporate, ma si integra con il territorio ed è diventato veramente “open”: uffici condivisi, auditorium aperto all’esterno, student housing. L’azienda si pone al centro di un modello di ingaggio del territorio creando valore per sé stessa e per i territori circostanti. Un esempio da citare è il caso Bastioni di Porta Nuova che non è più un centro direzionale classico, ma ha sviluppato un modello smart diventando un centro di lavoro che offre soluzioni aziendali molteplici: uffici arredati, coworking, uffici virtuali e sale riunioni. La struttura è stata modificata, rigenerata, riposizionata e il suo valore è aumentato in maniera importante.
Le aziende più illuminate andranno in questa direzione e svilupperanno un modello più inclusivo e interattivo. L’altra ipotesi è l’idea di un ufficio diffuso: si avrà un “club centrale” cioè la sede in cui si accoglieranno i clienti e si svolgeranno le mansioni principali; a questa saranno poi connessi una serie di uffici satelliti – hub- in cui le persone lavoreranno quando non vorranno stare a casa, poiché non è scontato che tutti abbiano la casa predisposta al lavoro smart. Questo modello è molto interessante poiché le aziende che spargono i propri uffici sul territorio per avvicinarsi alle persone, sono innovative e frutto del contesto sviluppatosi nel corso del 2020.
Collegandomi all’intervento di Fabio Troiani nella discussione introduttiva qui sul blog di Nova100, questo è un modello facilmente adottabile nelle principali città italiane: potrebbe essere una strategia vincente per le aziende poiché consentirebbe loro di attingere anche a talenti che prima non sarebbero potuti salire a bordo per la distanza fisica. Sarebbe inoltre una scelta estremamente valida per valorizzare le città secondarie italiane: come diceva Teresa Girardi nella conversazione sulla comunicazione interna, la periferia sta diventando sempre più allargata e l’adozione di questo modello allenterebbe inevitabilmente il divario tra periferia e centro.
Cito nuovamente il concetto espresso inizialmente di re-imagine e re-invent: gli immobili cambiano, e devono cambiare, e questo per noi tutti rappresenta una grandissima opportunità. Se si pensa che l’ecosistema del costruito produce il 40% di emissioni è lampante come un ripensamento si renda necessario: questo è il momento giusto per ripensare la città e gli spazi degli uffici con un focus verde. Per fare questo occorre, oltre alla strategia, l’impiego di competenze nuove e variegate, persone di background diversi che ci consentano di far funzionare questo motore. La sostenibilità sarà il nuovo digitale, il motore della trasformazione dei prossimi anni.
Covid-19 va visto come un’opportunità di evolvere e, poiché non è detto che le città verranno abbandonate per i borghi, può segnare la rivincita della città moderna. Le aziende hanno certamente compreso che lavorare da casa è possibile e molti dipendenti hanno compreso quanto sia migliore lavorare in provincia piuttosto che nel caos urbano, tuttavia i dati ci mostrano un’altra tendenza: la richiesta di abitazioni nelle grandi città come Milano ha registrato un incremento del 20% su una richiesta di abitazioni già piuttosto alta, tuttora a Milano è difficile affittare o comprare una casa.
Ogni ragionamento su come cambieranno le città è azzardato, ma se rimango legato ai fatti, posso affermare che oggi i ragazzi che si laureano in provincia hanno il desiderio di spostarsi in città, mentre se penso ai baby-boomer il loro ragionamento è diverso. L’elemento generazionale è un altro grande fattore che influenza non solo l’evoluzione delle città, ma la composizione degli stessi spazi aziendali: le aziende cercano di accaparrarsi i talenti migliori, persone che sanno di avere la possibilità di scegliere dove andare a lavorare e che quindi vorranno dei luoghi di lavoro all’altezza; per questo andranno concepiti degli spazi di lavoro belli, tecnologici, innovativi e funzionali.
Il discorso sulla conservazione delle nostre città è passato in secondo piano e le società oggi non si stanno ponendo il problema della pulizia e qualità dell’aria; è una tematica a livello globale, ma declinarla a un livello locale è complesso. Noi con il nostro team di ricerca continuiamo a lavorare per creare degli edifici sostenibili e stiamo lavorando anche su tante altre certificazioni, come ad esempio, la certificazione sul benessere delle persone.
L’approccio richiesto nella progettazione dei nuovi uffici è un approccio multidisciplinare, in cui devono essere coinvolte competenze di architettura per l’aspetto estetico e funzionale, competenze tecniche per la progettazione della tecnologia e competenze umane di chi si occupa delle persone e delle loro necessità: queste sono le tre aree più importanti che devono essere coinvolte nella progettazione dei nuovi spazi sul territorio; nel momento in cui la collaborazione fra queste tre aree viene meno possono sorgere dei problemi. Faccio un esempio con fatti reali, una banca ha dovuto inaugurare una nuova sede per la formazione e le competenze architetturali si sono mosse creando delle aule capienti in cui ospitare le persone durante la loro formazione; la componente IT, d’altra parte, si è mossa in maniera autonoma per sviluppare un piano di formazione a distanza: iI risultato è che le persone, invece di seguire la formazione in sede centrale, l’hanno seguita dalle filiali, rendendo vano l’investimento sugli spazi. Questo ci fa dedurre che non lavorare insieme comporta un risultato poco ottimale e uno spreco di competenze e di spazio.
Sulla strada dell’innovazione l’Italia procede molto lentamente e preferisce seguire dei modelli tradizionali, voglio sperare che quanto è accaduto ci guidi verso un’accelerazione dell’innovazione. Quello che possiamo fare ora è decidere con quale grado affrontare la situazione: ci sarà chi preferirà lavorare in smartworking solo una volta alla settimana e chi invece capirà che la trasformazione alla base è molto più profonda e agirà dunque nell’ottica di diventare leader e di attrarre a sé i migliori talenti. Il 20% delle aziende saranno quelle più innovative e avanzate, mentre l’80% saranno quelle che rimarranno legate ai vecchi modelli lavorativi. La trasformazione in corso ci condurrà verso una formulazione ibrida dove l’unione di spazi fisici e virtuali avverrà tramite piattaforme hardware, software e cloud. Attraverso questi ingredienti potremo ridefinire i processi core delle aziende.
Un ruolo importante lo ricoprirà il Recovery Fund, che sarà rivolto in percentuale considerevole al digitale e al green, elementi centrali in questa trasformazione. Un’opportunità enorme per l’Italia visto che da decenni perde in produttività e sarà un win-win per le aziende, un win-win per le persone e la società, un win-win per l’ambiente che ci circonda.
Molte zone del paese potranno tornare a vivere grazie a questa trasformazione poiché nel momento in cui i borghi di campagna saranno forniti delle strumentazioni necessarie, come ad esempio una buona connettività, potranno tornare ad accogliere quei talenti che hanno dovuto allontanarsi per svolgere la loro professione. La connessione internet ormai è un diritto e averne una scadente crea delle differenze sociali ed economiche che oggi non possono più sussistere.
Detto ciò, torno a dire che la trasformazione del lavoro richiede una riconfigurazione sì delle città, ma anche delle aziende perché queste non sono più solamente il luogo in cui si va a lavorare, ma devono cambiare per l’intero ecosistema: per i propri clienti, per i propri dipendenti e per i propri partner. Gli spazi aziendali diventeranno dei luoghi aperti alla società e alle scuole. Noi di Cisco teniamo molto a questa dimensione di apertura e abbiamo infatti sviluppato il programma “Cisco Networking Academy”, grazie al quale rendiamo gli uffici luoghi di incontro, luoghi attrattivi e ricchi di esperienze piene di significato.
In conclusione, la trasformazione del lavoro avvenuta a seguito della pandemia di Covid-19 ha profondamente mutato la struttura degli uffici, ma anche del tessuto urbano. Questa trasformazione va considerata come un’opportunità di evolvere e di reinventare gli spazi. Dalle discussioni emerge il ruolo chiave della sostenibilità: il vero motore del cambiamento. Gli edifici e le tecnologie puntano ad essere sempre più green e questo è un fattore vincente perché è una leva di attrazione dei nuovi talenti, sempre più attenti alle tematiche ambientali. Non solo, i borghi torneranno a vivere, la tecnologia diffusa e l’adozione del modello di lavoro ibrido consentiranno ai talenti (junior e senior) di lavorare senza abbandonare il luogo di residenza. Questa rappresenta una possibile strategia per le aziende, che potranno permettersi di portare a bordo talenti lontani e in precedenza difficilmente raggiungibili.
Immagine in copertina di Valeria Esposti.
Coordinamento editoriale a cura di Chiara Cravedi.