Smart Mobility, ovvero tutto è (sarà) connesso

Archiviata la pausa di Ferragosto, riprendiamo la pubblicazione e la discussione degli interventi proposti nel corso della Biennale Innovazione. E’ oggi il turno di Roberto Siagri, Chairman e Ceo di Eurotech.

L’Internet delle cose che abilita la smart mobility

Il “computer” come noi lo conosciamo scomparirà: sarà nascosto in ogni cosa attorno a noi e sarà interconnesso costantemente a Internet. E’ da tale scomparsa che ha origine il termine “Internet delle cose”, dall’inglese “Internet of Things”, che viene comunemente abbreviato in IoT. Questa miriade di computer interconnessi tra loro, su piccola e larga scala, ci permetterà di migliorare e amplificare le nostre capacità percettive e di farlo in modo ubiquo, cioè senza il vincolo di essere presenti fisicamente nel luogo in cui si manifesta il fenomeno oggetto di attenzione. E’ uno degli aspetti cruciali del trend “Tecnologia senza eccezione”  proposti da Trenab (vedi conversazione fra Marco Minghetti  e Marcella Bellocchio).

Un esempio di applicazione che ci permette di visualizzare e soprattutto di aumentare la realtà è dato dai nuovi navigatori satellitari: quando ci spostiamo da una città all’altra, quello che vediamo guidando l’automobile è la realtà che ci circonda. Ma programmando il nostro percorso con il navigatore, aumentiamo la realtà da noi percepita. Infatti, avvalendosi di sensori che localizzano la nostra posizione, il navigatore è in grado non solo di dirci quanto traffico troveremo sul tragitto, ma addirittura di monitorare gli ostacoli con notevole anticipo; potrà quindi consigliarci itinerari alternativi per raggiungere la stessa meta, sfruttando le maggiori informazioni che i nostri cinque sensi da soli non riuscirebbero a percepire. E’ questa pervasività dei calcolatori che ha dato origine a quella che oggi chiamiamo anche “smart mobility”: un paradigma contemporaneo che esplora il movimento di persone, idee e cose.

La tecnologia che sta alla base della “smart mobility” è dunque l’Internet delle cose, o meglio, di tutte le cose, e riguarda sia i dispositivi periferici che i data center (incluse le infrastrutture di comunicazione a filo e senza fili) necessari a supportare applicazioni ubique tramite la nuova tecnologia del “cloud computing”. Nel prossimo futuro, l’Internet delle cose, sarà esteso a molte attività umane e rappresenterà un ideale punto di partenza per la creazione di una futura classe di applicazioni e servizi, che saranno il risultato di un nuovo approccio collettivo e collaborativo, e i cui motori saranno il software “open source” e il “crowdsourcing”.

La diffusione dei computer segna il passaggio epocale da un mondo dove i computer sono al centro della vita delle persone a un mondo in cui i computer saranno alla periferia, ma così integrati nella realtà da essere indistinguibili da essa. Ecco il paradosso in base al quale per far emergere la persona dandole una “ubiquità virtuale”, dobbiamo “immergerla” nei computer.

I grandi cambiamenti che hanno interessato l’informatica negli ultimi vent’anni possono essere sintetizzati in un unico percorso: da un computer per molte persone (il mainframe) siamo passati a un computer per una singola persona (il Personal Computer) per arrivare allo stato attuale della tecnologia, che prevede molti computer interconnessi per tutti. Sappiamo già che i computer sono presenti all’interno di telefoni, apparecchi TV, DVD, DVR, forni a microonde, frigoriferi, registratori di cassa, motociclette, automobili e moltissimi altri dispositivi e apparecchiature di uso quotidiano. Questa presenza non è comunque ancora sufficiente: non dobbiamo semplicemente rendere i nostri dispositivi più intelligenti, dobbiamo anche interconnetterli al cloud perché siano utili a far “percepire” il mondo. Quando questo gap sarà colmato, avremo finalmente un “esoscheletro computazionale” che funzionerà come un’estensione dei nostri cinque sensi.

Grazie alla pervasività dei computer e alla tecnologia del cloud computing, l’esoscheletro computazionale ha già preso forma per dar vita a tutta una nuova serie di servizi e applicazioni; un sistema che coordina risorse che non sono più soggette ad un controllo centralizzato e che, usando protocolli e interfacce standard, aperte e “general-purpose”, rende disponibili servizi non banali. In questa nuova era non useremo più i computer come singoli dispositivi separati gli uni dagli altri, ma come elementi interconnessi di un’unica rete, come parte integrante dell’ambiente naturale umano, come un’estensione di noi stessi, così da permetterci di fare “computing without computers”.

Con l’Internet di tutte le cose, i computer finalmente “scompariranno” e saranno “invisibili” perché, diventando parte integrante del nostro ambiente, semplicemente sfuggiranno alla nostra attenzione, così come l’aria che respiriamo, di cui abbiamo percezione solo se ci viene tolta. Questo scenario era già stato intravisto da Mark Weiser alla fine degli anni Ottanta dello scorso secolo, e può essere sintetizzato in tre affermazioni tratte dai sui scritti: a) il computer è destinato a scomparire, b) il calcolo diventerà ubiquo e pervasivo, 3) le tecnologie sono rasserenanti.

I risvolti industriali dell’Internet delle cose: l’Industrial Internet of Things

Nonostante ci sia ancora un po’ di confusione, cosa abbastanza comune quando una nuova tecnologia inizia a prendere piede, un gran numero di aziende si sta accorgendo di quanto sia importante adottare la tecnologia dell’Internet delle cose per la propria organizzazione. L’ Internet delle cose industriale permetterà alle aziende di dotarsi di una tecnologia che consentirà loro di aumentare l’efficienza operativa e di trasformare e/o rendere più efficiente il proprio modello di business. Questo a sua volta avrà un tale impatto sull’industria manifatturiera ed effetti di ricaduta così importanti che si parla di una vera e propria 4a rivoluzione industriale. La società di consulenza McKinsey stima che almeno l’80% delle attività tradizionali subiranno l’impatto del paradigma dell’IoT, indipendentemente da quanto esse possano apparire vicine o lontane dalle tecnologie digitali. E’ uno degli aspetti più rilevanti di quella Digital Disruption ben illustrata da Marco Minghetti nel suo intervento.

Come si legge nel report di gennaio 2015 del World Economic Forum intitolato “Industrial Internet of Things: Unleashing the Potential of Connected Products and Services”, i processi industriali ne beneficieranno a ondate e fasi successive distribuite nel tempo. La prima ondata visibile dell’IoT indirizzerà, in una prima fase, l’aumento dell’efficienza operativa e dell’efficienza nell’utilizzo di risorse, per poi passare alla fase di creazione di prodotti e servizi totalmente nuovi e quasi inimmaginabili fino a poco tempo prima. Per esemplificare, la modifica in tempo reale del percorso degli autobus in funzione della presenza/assenza di passeggeri alle fermate è un esempio di aumento di efficienza; BlaBlaCar o Uber sono invece esempi di nuovi servizi nati grazie alle tecnologie IoT. La seconda ondata, che si verificherà nel lungo periodo, sarà anche questa distinta in due fasi: la prima fase sarà la trasformazione dall’economia del prodotto all’economia del risultato. Non si venderà più il prodotto, bensì il risultato del prodotto; con un semplice esempio, non si venderà più la caldaia ma le kilocalorie prodotte dalla caldaia. La seconda fase, infine, consentirà il passaggio da un’economia basata sull’offerta ad una vera e propria economia in real-time, detta anche pull-economy, trascinata dalla domanda.

Non può sfuggire come la tecnologia dell’IoT sia anche abilitante alla trasformazione dei modelli di business esistenti e capace di aprire le porte all’era della cosiddetta “servitization” o del “tutto come servizio”, con una struttura industriale che opera in tempo reale. Abbiamo bisogno però di un cambio di paradigma per comprendere e apprezzare pienamente le opportunità che questa infrastruttura intelligente può offrire, e dovremo affrontare molte sfide relative a questioni come sicurezza, privacy e affidabilità.

La centralità dei dati

L’Iot ci fa entrare appieno nell’economia digitale, dove il dato assume più che mai un ruolo centrale. La grande espansione dell’economia della materia è stata a suo tempo abilitata dalla disponibilità della logistica delle merci. Allo stesso modo, l’esplosione cambriana dell’economia dei dati sarà abilitata dalla disponibilità di quella che possiamo chiamare “logistica dei dati”. Prima però i dati vanno prodotti, ed è a questo scopo che servono i computer pervasivi e l’Internet delle cose.

Per capire il fenomeno di creazione di dati in corso, si pensi che l’80% circa dei dati oggi presenti sul pianeta è stato prodotto negli ultimi 5 anni, il che significa, andando a ritroso, che i dati precedenti l’anno 2000 corrispondono a meno dell’1% dei dati oggi a disposizione. Guardando in avanti, più dell’80% dei dati presenti nel 2020 sarà stato prodotto dopo il 2015. Per dare una dimensione al fenomeno, si stima che i dati oggi presenti negli archivi digitali ammontino a circa 5,5 zettabyte. Uno zettabyte (10^21 byte) corrisponde ad una quantità di dati equivalente a 250 miliardi di DVD HD, ovvero a 36.000.000 di ore di video, o anche ad una pila di DVD alta 300.000 chilometri, poco meno della distanza tra la Terra e la Luna. Ecco perché si sente così tanto parlare di Big Data e di Data Analytics. L’interconnessione di uomini e macchine in corso sta dando origine nell’industria al cambiamento più grande di sempre, più grande del cambiamento prodotto dall’invenzione della macchina a vapore. E questo avverrà trasformando i dati al bordo della rete e provenienti da tutte le cose, in conoscenza e informazioni utili per prendere decisioni.

Dalla Smart Mobility alla Smart Factory

Senza la “Smart Mobility” non ci sarebbe neanche la “Smart Factory” (fabbrica intelligente) né la “Fabbrica del futuro”. Tutti questi termini descrivono la visione di quella che sarà la produzione industriale nel futuro. In questa visione, la Smart Factory sarà molto più intelligente, flessibile e dinamica. Cambieranno soprattutto i processi di produzione, che saranno organizzati in modo diverso, con catene di produzione integrate – dai fornitori di logistica per la gestione del ciclo di vita di un prodotto – e strettamente collegate ben oltre i confini aziendali. Le fasi di produzione saranno collegate senza soluzione di continuità e tutti i processi verranno impattati dalla trasformazione digitale. Ecco perché le tecnologie IoT possono essere viste come l’anello mancante della trasformazione. Grazie ai dati provenienti dal campo (al bordo della rete) ci sarà la possibilità di migliorare i processi attraverso l’auto-ottimizzazione e l’autonomia decisionale. Ma la cosa non finirà qui, limitatamente alla fabbrica. Con l’Iot industriale, i prodotti continueranno ad essere connessi al produttore e continueranno a fornire informazioni sul proprio stato, permettendo così la manutenzione preventiva, e sul proprio uso, fornendo così informazioni utili ad aumentare la customer experience o ad abilitare modelli di business pay-per-use.

Mentre la movimentazione delle merci è una questione di infrastrutture logistiche, utilizzate da operatori nazionali e internazionali, la movimentazione dei dati è una questione di piattaforme software, residenti nel Cloud e disponibili as-a-service, dove il software permette di intermediare i produttori di dati da un lato e i consumatori di dati dall’altro (broker di dati). Dal punto di vista della logistica dei dati, praticamente tutti i settori verticali sono simili: così come un corriere espresso può servire molti clienti diversi nel mondo, allo stesso modo una appropriata infrastruttura IoT può essere adottata per abilitare la trasformazione digitale di business diversi, dai trasporti al medicale, dall’agricoltura al commercio. Si può solo immaginare gli enormi benefici e il valore che potrà essere generato dall’eliminazione delle barriere fisiche allo scambio dati… questo infatti permetterà di correlare ed analizzati dati provenienti da diverse fonti, generando così nuove informazioni e conoscenza, abilitando nuovi servizi e dando spunti per la creazione di nuovi prodotti.

 Visione lineare e crescita esponenziale

Stiamo vivendo in un’era che non ha precedenti per le grandi opportunità di innovazione che ci vengono dalla tecnologia, ma abbiamo difficoltà a rendercene conto perché è tipico degli umani percepire il mondo in modo lineare. È proprio questo che ci impedisce di comprendere le crescite di tipo esponenziale, come quella che verrà generata dall’Internet delle cose, e di avere una chiara visione di lungo periodo. I processi esponenziali ci sfuggono perché noi umani siamo fondamentalmente ancorati ad un modo di ragionare lineare.

Proviamo con un esempio a far vedere come la crescita esponenziale non sia istintiva: prendete un foglio di carta e provate a piegarlo su se stesso, poi ripiegatelo una seconda volta, e poi immaginate di continuare a piegare il foglio su se stesso cinquanta volte. Se ora vi chiedessero di fare una stima dello spessore raggiunto da questo immaginario foglio ripiegato, dubito che la maggioranza darebbe come prima risposta una misura superiore a qualche decina di centimetri. In realtà, lo spessore finale del foglio, presumendo che questo abbia uno spessore di un decimo di millimetro, risulterebbe pari a 112 milioni di chilometri (2^50 volte lo spessore della carta), vale a dire un valore grosso modo equivalente alla distanza Terra-Sole che è per l’esattezza di 149.597.870 chilometri .

Questo esempio ci aiuta a percepire come l’andamento esponenziale sia per la nostra mente un concetto sfuggente. In realtà, tutti i fenomeni naturali hanno a che fare con espansioni di tipo esponenziale, che però vengono mascherate dall’inesorabile saturazione che ne limita effetti e durata: la crescita ad un certo punto comincia a rallentare fino a fermarsi, per poi andare incontro alla decadenza. E’ questo che normalmente avviene in natura: la crescita esponenziale cessa all’esaurirsi delle risorse. Contrariamente alla natura, la tecnologia è immune al fenomeno della saturazione (o perlomeno lo sarà per molto tempo ancora) grazie ai processi di innovazione, che creano substrati tecnologici sempre più efficienti e che usano molto meglio le risorse. Potremmo anche dire che ogni nuova tecnologia consente di fare di più con meno materia, energia, spazio e tempo della precedente. A proposito di crescita esponenziale, ecco i numeri della trasformazione digitale in atto: dai 6 miliardi di dispositivi connessi oggi ad Internet, si passerà a 25 miliardi di dispositivi nel 2020, con la creazione di nuova economia per un valore stimato di circa 4000 miliardi di Euro nel 2020 (circa pari al PIL della Germania).

Oggetti intelligenti e nuovi paradigmi

Stiamo entrando in un nuovo mondo di oggetti intelligenti collaborativi. Gli oggetti sono intelligenti perché incorporano processori piccoli, economici e leggeri, e sono collaborativi grazie alle comunicazioni wireless, che rendono possibile la creazione di network spontanei. Paragonati agli oggetti tradizionali, questi oggetti intelligenti hanno caratteristiche totalmente diverse: essi possono ricordare eventi specifici, hanno una memoria, mostrano un comportamento sensibile al contesto, hanno consapevolezza della posizione/situazione, sono reattivi, comunicano con il proprio ambiente e sono connessi in rete con altri oggetti intelligenti e con tutti gli altri dispositivi nel cloud.

Di fronte a questi cambiamenti, potremmo essere indotti a pensare che i contatti diretti tra le persone perderanno valore. A forza di realtà virtuale, le relazioni “digitali” andranno forse a sostituire le relazioni “reali”? Se ci rifacciamo alla storia, crediamo di poter affermare che non sarà così. Quando Gutenberg inventò la stampa tipografica, alcuni suoi contemporanei profetizzarono che ognuno si sarebbe isolato con il proprio libro rinunciando a dialogare con gli altri. Invece, dopo l’invenzione della carta stampata le persone hanno continuato a parlare tra loro. Lo stesso vale per il cinema, che non ha ucciso il teatro, così come la tv non ha ucciso il cinema e i libri non sono morti a causa della televisione. Ma una simile domanda potrebbe anche non avere senso, se è vero che la realtà “digitale” sarà indistinguibile dalla reale.