The Internet of Everything (IoE) è adesso. Ma serve la social organization

IIoE-Infographic-ITPer definirlo in parole semplici, diremo che l’Internet of Everything è la connessione intelligente di persone, processi, dati e cose sulla rete. Un importante elemento abilitatore dell’Internet of Everything è l’intelligenza della rete, che le consente di gestire, controllare, scalare in modo adeguato a supportare l’incredibile tasso di crescita delle connessioni disponibili”. “Per ogni nuova persona, processo, dato o oggetto che va “online” – le possibiità di connessione tra tutti questi elementi si ampliano in modo esponenziale. L’Internet of Everything ne aumenta il valore e la rilevanza. A creare il valore non è l’atto di connettersi – e nemmeno il numero di connessioni: a creare valore, è ciò che le connessioni rendono possibile”.

John Chambers, Presidente e CEO, Cisco Systems

In meno di 1 settimana a Milano abbiamo assistito a ben 2 eventi dedicati all’”Internet di (ogni)cosa”. Il 31 gennaio il grande convegno Cisco, cui hanno assistito circa 1500 persone, che ha disegnato i contorni di una svolta epocale, di una portata storica paragonabile alla profonda e irreversibile trasformazione avvenuta con   la rivoluzione industriale. Sta già accadendo qualcosa di straordinario: mano a mano che persone, nuovi processi, dati e cose potranno tra loro connettersi e interagire grazie alla rete, l’impatto sarà sempre più visibile e sempre più aziende potranno cogliere i benefici. Di questa nuova visione del fare impresa e delle sue potenzialità hanno parlato nell’IoE Italian Forum personalità come Luciano Floridi, Prof. di Filosofia ed Etica dell’Informazione, Oxford University), rappresentanti istituzionali (Roberto Maroni, Presidente della Regione Lombardia), Riccardo Luna (Giornalista), Roberto Cingolani (Direttore Scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova) e molti altri.

A questa mattina  invece risale la presentazione del rapporto dell’Osservatorio di Milano dedicato al tema. Mettendo insieme i dati emersi dai due appuntamenti possiamo facilmente vedere come lo IoE non è qualcosa di futuribile e spaventoso (come vorrebbero gli alfieri del neoluddismo), ma è una possibilità concreta del presente. Almeno lo sarebbe, se fossimo pronti ad abbandonare i modelli culturali e cognitivi dello Scientific Management che ancora ci soffocano per entrare finalmente nell’era della social organization e dell’intelligenza collaborativa.

Un nuovo scenario tecnologico

Con l’espressione “Internet of Everything” Cisco identifica un nuovo scenario tecnologico, in cui l’interconnessione di persone, processi, dati e oggetti sarà più importante e preziosa che mai.  Le informazioni diventeranno azioni, per creare nuove possibilità, esperienze più ricche, e schiudere opportunità economiche senza precedenti ad aziende, persone, intere nazioni.

Oggi, poco meno dell’1% di ciò che può essere connesso alla Rete lo è effettivamente. Per arrivare a questo, ci sono voluti almeno vent’anni: attraversando diverse fasi, che si sono susseguite con rapidità crescente. Dalla prima era della connettività siamo passati alla Networked Economy, e oggi viviamo in un contesto in cui attraverso la rete si vivono esperienze relazionali e immersive – con i social network, con la collaboration, la possibilità di accedere ovunque in mobilità e con ogni mezzo al nostro mondo digitale.

Tomorrow_starts_here_infographicDall’Internet of Things all’Internet of Everything

L’evoluzione tecnologica ci permette di connettere oggetti che prima non avremmo mai preso in considerazione alla Rete. E’ l’Internet of Things, che vede aggiungersi milioni e milioni di device alla ragnatela di connessioni che ci circonda:  nel 2012 erano dodici miliardi, nel 2015 saranno 15 miliardi, nel 2020 quaranta miliardi1 – e così via, nel percorso per raggiungere il 99% di mondo ancora “non collegato”.

Ciò che cambia le carte in tavola, e che apre le porte all’era dell’Internet of Everything, è l’evoluzione dell’intelligenza e delle funzionalità della Rete, che permette di offrire agli oggetti – e alle persone che interagiscono con esse, ai dati che generano, ai processi in cui s’inseriscono –   elementi quali: la capacità di riconoscere e agire in funzione del contesto; maggiore potenza di calcolo; capacità di procurarsi autonomamente l’energia necessaria per operare.

Se oggi le persone interagiscono con il web con strumenti quali il PC o lo smarthpone, attraverso i social network e altre reti, nel mondo dell’Internet of Everything le persone stesse potranno diventare “nodi” della rete comunicando dati e informazioni,  attraverso sensori e in altre forme.  Il valore e la rilevanza delle nuove connessioni che nasceranno sarà determinato dall’attivazione di processi in grado di garantire che le informazioni corrette raggiungano il destinatario corretto, nel momento giusto e nel modo più appropriato: in sicurezza, e proteggendo la privacy.  I dati prodotti da ciò che sarà connesso alla rete non saranno più disponibili solo in forma grezza, perché la maggiore intelligenza e le maggiori funzionalità disponibili permetteranno di combinarli producendo informazioni cui macchine, computer, umani potranno attingere.

Gli oggetti fisici – sensori, dispositivi personali e aziendali, macchine… – produrranno un flusso di dati più ricco e funzionale al contesto.  Pensiamo per esempio a sensori installati sulle strade in grado di comunicare lo stato del traffico, o il formarsi di crepe nell’asfalto, dando informazioni utili a chi sta viaggiando e  a chi si occupa di manutenzione –  magari aiutando a individuare l’ora del giorno meno trafficata per intervenire a riparare le crepe senza creare ingorghi.

La posta in gioco: 19.000 miliardi di dollari di valore economico, per le sole imprese

Nello sforzo di comprendere meglio l’ampiezza delle opportunità aperte ai i clienti dal crescente livello di connessione nel mondo, Cisco ha condotto un’ analisi sull’impatto economico potenziale dell’Internet of Everything. L’analisi indica che c’è un “value at stake” economico di 14.400* miliardi di dollari per il solo settore privato, a livello globale, nei prossimi dieci anni, come risultante del progressivo emergere dell’Internet of Everything.

Questo valore è una combinazione del nuovo valore economico netto creato come conseguenza dell’Internet of Everything, e del valore che migrerà dalle aziende e dai settori che resteranno indietro a quelle che sfrutteranno le innovazioni in arrivo – sottraendo a questo i costi di implementazione delle stesse.  Basandosi su tale analisi, l’Internet of Everything ha la potenzialità di aumentare i profitti corporate globali di un 21% aggregato, nei prossimi 10 anni.

Questa analisi economica adotta un approccio “bottom up”, che prende in considerazione casi di utilizzo per i quali i dati sono disponibili, in opposizione ad un approccio “top down” che si basa per buona parte su previsioni ad ampio raggio in termini di miglioramento della produttività e del PIL. Alcuni dei casi di utilizzo, come l’adozione di tecnologie di collaboration e il maggiore utilizzo del telelavoro, riguardano tutti i settori economici; altri, sono specifici di un settore.

E’ importante ricordare che questa analisi riguarda esclusivamente il “value at stake” per le aziende private nel mondo. Se a questo si aggiungono i vantaggi sociali per i cittadini, le comunità, i paesi, ed i vantaggi per i consumatori, si inizia ad avere un’idea del potenziale dell’Internet of Everything anche in termini di qualità della vita, ricchezza di esperienze, nuove capacità, maggior valore economico.

*La stima è stata rivista a 19.000 miliardi di dollari” (2014, CES – Consumer Electronic Forum). E’ stato infatti stato realizzato uno studio relativo al settore pubblico, alle città e alle istituzioni, che evidenzia un “value at stake” per il settore pubblico di 4.600 miliardi di dollari, che sommati ai 14.400 miliardi di dollari previsti per il settore privato, permette di raggiungere la cifra di 19.000 miliardi di dollari.

Grandi sfide per grandi opportunità

L’Internet of Everything  evolve e radicalizza trend che le imprese di tutto il mondo ben conoscono, quali la consumerizzazione dell’IT, guidata dalla disponibilità ubiqua di connettività e di mobilità e dalle abitudini digitali individuali – che fanno sì che i dipendenti si attendano un’esperienza tecnologica al lavoro simile a quella che hanno nella vita personale – e  la  conseguente concezione della tecnologia in azienda come elemento disponibile “as a service”, così da garantire accesso a qualsiasi applicazione, ovunque, in ogni momento e con qualsiasi device si desideri.

Da tali richieste nasce un’evoluzione nelle architetture tecnologiche volta a garantire  sicurezza, flessibilità, rapidità, scalabilità nel quadro di questi nuovi modelli operativi.  In particolare essa investe il profilo della sicurezza, della privacy, della semplicità di gestione dell’ automazione di Reti che operino in modo sempre più autonomo, aperto e interconnesso  –  un elemento, quest’ultimo,  fondamentale per assicurare la massiva capacità di scalare che può rendersi necessaria.  A tutto ciò si aggiunge la gestione della complessità indotta dalla connessione di sensori e modelli di comunicazione intelligente macchina – macchina.

Il fattore comune per la gestione efficace di queste transizioni  tecnologiche è il ruolo della rete nell’era dell’Internet of Everything.  Una rete sicura, agile, sensibile al contesto; capace di trasferire all’utente le corrette policy di accesso ad informazioni e applicazioni; una rete “consapevole di se stessa” per poter auto-configurarsi, auto-ottimizzarsi, auto-ripararsi, auto-proteggersi; capace di gestire le domande massive di dinamicità, automazione e gestibilità dei nuovi modello cloud;  capace di garantire scalabilità di calcolo, di storage, di networking;  capace di integrare programmabilità, applicazioni aperte, funzioni di analisi in grado di trasformare dati grezzi in informazioni pronte all’uso.

I risultati dell’Osservatorio Internet of Things

Se Cisco ci dice dova va il mondo, la School of Management del Politecnico di Milano ci dice dova va il nostro Paese. Nel 2013 in Italia si contano 6 milioni di oggetti interconnessi tramite mobile, in aumento del 20% rispetto al 2012. Il valore del mercato delle soluzioni Internet of Things basate su rete cellulare raggiunge i 900 milioni di euro, con una crescita dell’11%, in controtendenza rispetto alla flessione registrata dal mercato ICT. Tra gli ambiti in maggiore espansione, si segnalano in particolare quello della Smart Car, con oltre 2 milioni di auto connesse e un fatturato in crescita del +35%, e della Smart Home & Building in cui, oltre alla soluzioni tradizionali, si affermano nuove applicazioni orientate direttamente al consumatore. La Smart City rimane uno dei principali campi di sviluppo dell’Internet of Things, ma in Italia l’impiego rimane ancora circoscritto a poche applicazioni dai ritorni certi, in particolare nell’illuminazione pubblica e nella raccolta dei rifiuti.

CS_Osservatorio_Internet of ThingsSono alcuni dei risultati della Ricerca dell’Osservatorio Internet of Things della School of Management del Politecnico di Milano “Nel 2013 l’Internet of Things ha visto alcune dinamiche di lenta evoluzione affiancarsi ad alcuni elementi di slancio e novità – afferma Alessandro Perego, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Internet of Things –. Da un lato, si assiste ad una crescita organica delle applicazioni più consolidate che ancora oggi rispondono al bisogno di connettività facendo leva sulla rete cellulare. Dall’altro, si muovono ambiti di applicazione meno consolidati. In particolare lo Smart Home & Building, che è il terreno di sbarco di una pletora di nuove soluzioni spesso rivolte direttamente all’utente consumer, dalla gestione domestica alla sfera personale. E poi lo Smart Car, in cui si assiste ad una accelerazione del percorso verso l’auto connessa, a fianco delle applicazioni più tradizionali”.

“Con l’eccezione rilevante dei contatori elettrici, in Italia la maggior parte delle applicazioni IoT consolidate continua a sfruttare come interfaccia con il mondo fisico la connettività cellulare – spiegano Giovanni Miragliotta e Angela Tumino, Responsabili della Ricerca dell’Osservatorio Internet of Things -. Nel 2013 sono saliti a 6 milioni gli oggetti interconnessi tramite rete cellulare – continua Angela Tumino – con una crescita del 20% rispetto al 2012, che conferma l’espansione a doppia cifra già registrata negli scorsi anni, +13% nel 2011 e +25% nel 2012. Tra questi, si contano più di 2 milioni di auto e diverse centinaia di migliaia di automezzi per il trasporto merci, ascensori e contatori gas”.

Nello specifico, il 47% del totale degli oggetti interconnessi via rete cellulare in Italia è costituito da autovetture (Smart Car), il 26% da applicazioni di Smart Metering e Smart Asset Management nelle Utility, il 10% da applicazioni di Smart Asset Management in altri contesti come il monitoraggio di gambling machine e ascensori (+18%), il 9% di Smart Home & Building, il 5% di Smart Logistics e il 2% di Smart City & Smart Environment.

CS_2Osservatorio_Internet of ThingsAnche analizzando il fatturato complessivo, è lo Smart Car l’ambito che evidenzia il maggiore tasso di crescita (+35% rispetto al 2012) e che costituisce la quota più importante: con il 31% del valore totale del mercato delle soluzioni Internet of Things, supera lo Smart Home & Building (21%). A breve distanza, si collocano le soluzioni di Smart Metering e Smart Asset Management nelle Utility (19%), seguite quelle di Smart Logistics per il trasporto (13%) e dalle altre applicazioni di Smart Asset Management (8%). Il 73% del valore di mercato (circa 660 milioni di euro) deriva da soluzioni basate interamente su rete cellulare, mentre il restante 27% è legato invece a soluzioni “miste”, che vedono l’impiego di altre tecnologie – come ad esempio Power Line Communication o tecnologie radio – per la raccolta dei dati dal campo.

L’auto connessa

Lo Smart Car è l’ambito dell’Internet of Things più dinamico e rilevante dal punto di vista numerico in Italia. Nel 2013, si contano oltre 2 milioni di auto connesse (+35% sia in termini numerici che di fatturato rispetto al 2012), il 95% delle quali attraverso applicazioni per l’utilizzo di box GPS/GPRS per la localizzazione dei veicoli privati e la registrazione dei parametri di guida a scopo assicurativo.

E in futuro saranno sempre di più i veicoli con SIM cellulare a bordo: dall’8% del totale dei mezzi circolanti, si stima che nel 2016 le macchine connesse in Italia rappresenteranno circa il 20%, per un totale di oltre 7,5 milioni di auto. La crescita dello Smart Car nei prossimi anni sarà legata a un significativo aumento della diffusione di veicoli “nativamente connessi” anche grazie allo stimolo della normativa eCall, in base a cui da ottobre 2015 tutti i nuovi modelli immessi sul mercato dovranno poter effettuare chiamate automatiche di emergenza.

La casa “intelligente”

L’altro ambito che mostra un grande dinamismo in Italia è lo Smart Home & Building, che rappresenta un quinto del fatturato delle soluzioni IoT. Accanto al consolidamento delle soluzioni tradizionali di domotica e automazione industriale basate su tecnologia cellulare, nel 2013 sono nate tante nuove soluzioni rivolte direttamente al consumatore che mirano al comfort e alla sicurezza.

Nel prossimo futuro, sarà determinante l’impatto della tecnologia Bluetooth Low Energy (BLE), in grado di facilitare la connessione di oggetti intelligenti di uso quotidiano e dispositivi mobili in ambito domestico. Oggi, infatti, circa l’1% delle abitazioni in Italia è dotato di dispositivi per il telecontrollo del riscaldamento e/o l’antintrusione, ma con l’affermarsi delle tecnologie wireless all’interno dell’abitazione e con la crescente disponibilità di dispositivi BLE si arriverà a più di 3 milioni di oggetti domestici connessi nel 2016 in Italia.

E con l’aumento del numero e della varietà dei dispositivi, sarà sempre più necessario garantire l’interoperabilità tra soluzioni di fornitori diversi, attraverso piattaforme (come MiOS o Revolv che si sono affacciate in USA) che unifichino l’esperienza dell’utente, sia in fase di sviluppo e configurazione che nella gestione degli oggetti intelligenti.

Verso la Smart City

La Smart City rimane uno dei principali campi di applicazione dell’Internet of Things. Ad oggi, però, in Italia, nonostante tante sperimentazioni, le applicazioni avviate sono ancora circoscritte a poche funzionalità dai ritorni certi. La presenza di benefici tangibili di efficienza e di qualità del servizio erogato, infatti, rappresenta il fattore chiave che spiega le implementazioni più diffuse e consolidate.

La Ricerca dell’Osservatorio Internet of Things ha analizzato 116 città (51 in Italia, 65 all’estero), per un totale di 258 applicazioni Smart City abilitate dalle tecnologie IoT. L’illuminazione pubblica intelligente rappresenta l’ambito trainante, con oltre 200 città che hanno installato applicazioni per il telemonitoraggio e il telecontrollo dei lampioni negli ultimi tre anni (13% delle applicazioni totali, 30% delle città analizzate), per un totale di oltre 400.000 lampioni connessi a fine 2013. Nel 2013, con 12 milioni di euro, l’illuminazione intelligente rappresenta il 18% del valore complessivo della Smart City in Italia. Seguono le applicazioni di raccolta rifiuti per l’identificazione dei cassonetti e il supporto alla tariffazione puntuale (13% delle applicazioni, 28% delle città analizzate). Si diffonde una progressiva multifunzionalità, con oggetti che condividono la dotazione tecnologica tra più applicazioni: oltre il 30% dei progetti avviati in Italia e all’estero dal 2012 tocca almeno due ambiti applicativi, il 12% almeno tre.

“Sulla Smart City in Italia siamo ancora nella fase iniziale di un percorso di trasformazione lungo e complesso – afferma Alessandro Perego – su cui continuano purtroppo a incidere in maniera negativa gli effetti indotti dall’attuale crisi economica, in particolar modo sulla capacità di spesa delle Pubbliche Amministrazioni. Osserviamo con soddisfazione, però, che sempre più spesso gli investimenti in progetti Smart City iniziano a inserirsi in una ‘regia comune’ cittadina, entro cui le singole applicazioni avviate anche da attori distinti possono inserirsi in modo coeso e più aderente ai bisogni e alle risorse della comunità”.

La Smart Urban Infrastructure: il caso di Pavia

Il finanziamento dei progetti per la Smart City farà necessariamente sempre più leva su forme di partenariato tra pubblico e privato: oltre un terzo dei progetti in Italia si basa ancora oggi su fondi provenienti da bandi UE o su finanziamenti erogati a livello nazionale, mentre all’estero si osserva un buon livello di diffusione di progetti che si appoggiano a modelli di partnership pubblico – privato (circa il 20%). È fondamentale allora ricercare le più opportune forme di collaborazione che abilitino nuovi modelli di business e consentano di attrarre i capitali privati anche nel contesto italiano.

Il modello proposto dall’Osservatorio Internet of Things passa attraverso la realizzazione di una Smart Urban Infrastructure (SUI), un’infrastruttura di comunicazione costruita su scala locale e condivisa tra più applicazioni e pensata per oggetti con limitati requisiti di connettività e limitate risorse energetiche, che consente di risparmiare costi di investimento e operativi nella realizzazione di soluzioni per la Smart City. Grazie alla collaborazione dell’Amministrazione locale, la Ricerca ha testato la progettazione di una SUI per la città di Pavia e i risultati hanno dimostrato come proprio la collaborazione tra pubblico e privato sia la strada più promettente: nel modello di collaborazione indagato la municipalità concede l’utilizzo dei propri asset in forma agevolata al privato che investe e gestisce la Smart Urban Infrastructure, il privato riconosce al Comune tariffe favorevoli per la connessione dei propri oggetti intelligenti. Per il privato si riducono gli investimenti iniziali del 10-15% e i costi operativi del 25-35%, mentre per il pubblico si riducono i costi di utilizzo della SUI del 50-70%.

“Il punto di incontro tra multifunzionalità applicativa e cooperazione pubblico-privato è la realizzazione di una Smart Urban Infrastructure – sintetizza Giovanni Miragliotta – Coniugando la certezza dei ritorni in alcuni ambiti applicativi con la fiducia nella crescita futura di molte altre applicazioni e servizi, la SUI offre una risposta concreta e immediatamente percorribile allo sviluppo delle città intelligenti”.

Internet of Things e startup

L’analisi realizzata in collaborazione con l’Osservatorio sulle Startup Digitali del Politecnico di Milano evidenzia un grande fermento imprenditoriale nell’Internet of Things sia in USA che in Europa e individua 110 startup innovative che hanno ottenuto finanziamenti negli ultimi anni. Il 57% di queste si rivolge al mercato business (B2b), offrendo alle aziende soluzioni hardware, software e servizi, spesso integrate (come Streetline, che offre una soluzione di monitoraggio dei parcheggi nelle città). Il 37% delle startup invece opera nel mondo consumer (B2c): nella maggior parte dei casi offrono sia componenti hardware che oggetti intelligenti, insieme ad applicativi software per configurare e visualizzare i dati (come SmartThings, Scoutalarm, WigWag). Il restante 6% si rivolge al mondo degli sviluppatori (B2d), con piattaforme e dispositivi per lo sviluppo di nuove applicazioni IoT (ad esempio Spark).

E’ l’ambito Smart Home & Building ad essere al centro degli interessi delle startup: le iniziative in quest’area sono cresciute più del 200% nell’ultimo biennio e il 37% delle startup rilevate offre soluzioni in questo ambito. L’offerta è molto ampia e va dal monitoraggio dei parametri ambientali (Sensorist, Variable) alla security (August Smart Lock, Lockitron), dal comfort (WigWag, Ube) al risparmio energetico (Nest Labs, FutureDash), fino alla salute della persona (Bionym, Canary). La maggior parte delle soluzioni si concentra sulla dimensione domestica (Smart Home), con una prevalenza di applicazioni di security, risparmio energetico e comfort.

Negli ultimi anni, crescono in particolare le startup con applicazioni e soluzioni consumer (passate dal 27% al 45% nel biennio 2012-2013), secondo un modello basato principalmente sul canale di vendita online. Le startup B2c si polarizzano verso il mondo Smart Home e verso i cosiddetti “wearable objects”. Tratto comune è l’utilizzo di App su dispositivi mobili per la fruizione del servizio, con smartphone e tablet che diventano il mezzo principale attraverso cui l’oggetto intelligente si aggancia alla rete Internet. Ma se non entriamo nella social organization tutto questo resterà un sogno. Come dicevamo già con David Bevilacqua in una conversazione di qualche tempo fa.