ADAPTability/2 – Sfide ed incognite nella Open Talent Economy

ADAPTOspitiamo oggi il secondo pezzo della serie ADAPTabilityAndrea Gatti Casati e Giulia Tolve illustrano e commentano il Rapporto Deloitte dedicato alla “Open Talent Economy”: l’inarrestabile avvento della social organization, fondata sull’emersione e la valorizzazione dell’intelligenza collaborativa, va di pari passo con il lento ma inesorabile tramonto del contratto di lavoro subordinato classico. Direttori HR e Sindacati sono pronti a gestire questi cambiamenti epocali?

La ricerca Deloitte

«Welcome to the open talent economy: a collaborative, transparent, technology-enabled, rapid-cycle way of doing business. What the open source model did for software, the open talent economy is doing for work»

Tanti sono i modi per definire l’economia della collaborazione di massa. Il più recente? Open talent economy. A parlarne è un interessante report Deloitte, che si propone di descrivere le sfide e i benefici dell’azienda “aperta” e quali step quest’ultima potrebbe seguire per definirsi tale. La ricerca offre vari spunti per riflettere temi cruciali per il futuro del lavoro ma che, troppo spesso, vengono sbandierati compulsivamente nella sola speranza di fare notizia, senza tenere conto il sistema regolatorio vigente nel quale siamo costretti (si veda l’editoriale di M. Tiraboschi).

Ogni generazione pensa di vivere in un’era di cambiamento senza precedenti ma ciò che distingue il presente rispetto al passato è il ritmo e la complessità del cambiamento. Con questa considerazione esordisce il report che vogliamo analizzare e da qui dobbiamo partire. Innanzitutto cerchiamo di capire quindi gli elementi di novità dell’economia contemporanea di cui qualsiasi tipo di organizzazione deve tenere conto. Deloitte considera sei megatrends:

1. Globalizzazione. La diffusione aperta di idee, pratiche e tecnologie in tutto il mondo, influenza inevitabilmente il modo attraverso cui le persone (inter)dipendono le une con le altre;

2. Tecnologia. La crescita in termini di potenza, velocità di elaborazione e di storage dei dati rende possibile a livello globale la collaborazione in tempo reale. È possibile imparare, condividere e lavorare in qualsiasi parte del mondo;

3. Mobilità. La forza lavoro è oggi più libera di spostarsi e di lavorare senza essere costretta in confini spaziali. Le organizzazioni si aspettano un maggiore apporto produttivo dalle persone in movimento e questo comporta nuove competenze nella scelta delle priorità;

4. Social business. Le persone possono connettersi, condividere informazioni e costruire comunità online. La creazione di reti dinamiche (dynamic networks) mina il tradizionale potere delle organizzazioni che devono ora utilizzare i social media non solo per innovare il brand ma anche per connettere e distribuire il personale secondo nuovi schemi possibili;

5. Educazione. Stiamo assistendo ad una crescente innovazione nella quale i sistemi tradizionali e elitari delle università vengono scardinati. Basti pensare ai MOOCs (Massive Open Online Courses): corsi di alta qualità, tenuti da professori leader a livello mondiale, disponibili a decine di migliaia di studenti di tutto il mondo;

6. Analisi dei dati. Invece di guardare solo a dati storici per prendere decisioni, i datori di lavoro possono ora utilizzare l’analisi dei dati sia per fini predittivi che prescrittivi, grazie ai big data e software molto avanzati.

Il report dimostra come in questo contesto nessuna industria può considerarsi immune dal cambiamento e deve sapersi adattare riscrivendo le regole della propria strategia di business. Dice Deloitte: «Non ci si può nascondere dall’impatto che questi megatrends hanno sul mercato […] Le decisioni che prenderai oggi determineranno il tipo di organizzazione che sarai nel futuro».

Bene, ma come dunque usciranno le organizzazioni da questo scenario apocalittico? Per provare a risolvere il dilemma, è importante analizzare i tratti caratterizzanti della Open Talent Economy, che mette in relazione le organizzazioni e il talento (intesi come l’intelligenza collaborativa interna e/o esterna all’azienda) in un modo del tutto nuovo, attraverso un metodo capace di abbattere i confini spaziali delle organizzazioni al fine di recuperare le risorse necessarie diminuendo al contempo i costi.

Secondo il report Deloitte, l’azienda del futuro sarà in grado, attraverso strumenti come il crowd-sourcing ad esempio, di dialogare con comunità di interesse sempre più ampie per recuperare le risorse necessarie. Tutto ciò comporterà il passaggio dall’avere la maggior parte dei dipendenti a carico sul proprio bilancio alla collaborazione sempre più intensa con collaboratori freelance e soprattutto con persone con cui l’azienda non possiede alcun tipo di relazione (crowd). Viene immaginato un ambiente nel quale i singoli dipendenti, a qualunque livello essi siano, possono rivolgersi direttamente all’esterno e decidere con chi lavorare. Il futuro vedrà dunque lavoratori con ruoli sempre meno definiti all’interno delle aziende capaci di gestire le priorità e di collaborare per raggiungere un obiettivo, non più per svolgere una mansione imposta dall’alto.

Open talent 1Benvenuti nella Open Talent Economy

«The evolving workforce is a mixture of employees, contractors and freelancers, and – increasingly – people with no formal ties to your enterprise at all, otherwise known as “the crowd”».

L’evoluzione della strategia di acquisizione del talento e delle competenze che coinvolge l’azienda di domani, integrata nel sistema della open talent economy, passa attraverso l’imprescindibile evoluzione della forza lavoro e dei modelli organizzativi, prima di tutto normativi e contrattuali, di gestione dei propri collaboratori. Secondo il report Deloitte l’organizzazione, nel suo percorso di cambiamento, transita da uno stato di chiusura tipico dell’impresa tradizionale alla struttura aperta propria del sistema che stiamo analizzando, attraverso vari passaggi:

1. Il primo stadio è caratterizzato dalla esclusiva presenza di dipendenti diretti (balance sheet talent), dipendenti subordinati, full time, che sono parte a pieno titolo dell’ organizzazione. Il costo correlato al personale è sopportato interamente dall’azienda;

2. Il secondo stadio vede la presenza di impiegati diretti di un’azienda con cui l’organizzazione ha avviato una partnership, o joint venture (partnership talent);

3. Il terzo stadio vede l’organizzazione avvalersi di collaboratori esterni, che lavorano presso aziende distinte ed indipendenti e che offrono la propria consulenza in particolari settori con funzione di staff (borrowed talent);

4. Giunta al quarto stadio (freelance talent), l’organizzazione si avvarrà di freelance, ovvero lavoratori autonomi, indipendenti, con cui vengono avviate collaborazioni per la definizione di specifici progetti;

5. Infine, il più avanzato stadio di apertura dell’impresa verso l’esterno (open source talent) vedrà il ricorso dell’organizzazione alla folla (crowd), ovvero ad un’indistinta massa di persone che forniranno servizi, anche gratuitamente, via web o attraverso piattaforme interattive, senza essere legate all’azienda da alcun rapporto formale di collaborazione.

Un lettore condizionato dagli schemi del diritto del lavoro tradizionale non può che vedere l’evoluzione dell’impresa sopra tratteggiata come un lento ed inesorabile percorso verso il tramonto del contratto di lavoro subordinato classico. A ben vedere, infatti, gli step che portano l’organizzazione a transitare dalla tradizione all’innovazione sottendono rapporti con i lavoratori sempre più flessibili ed atipici fino ad arrivare all’attivazione non di contratti, ma di contatti, con persone che offrono all’azienda non tanto la loro prestazione, quanto le loro competenze e le loro idee. Come si tramuta tutto ciò nella realtà quotidiana di ogni azienda?

Tentiamo qui di individuare per ciascun modello le tipologie contrattuali attivabili, i diritti ed i doveri delle parti, le tutele offerte al lavoratore, lo scambio alla base del rapporto:

1. Il primo stadio è il regno del rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e, possibilmente, indeterminato. Alla base del rapporto vi è lo scambio tra prestazione e retribuzione ed i diritti e doveri delle parti sono quelli tradizionali. Mentre il lavoratore eseguirà la sua prestazione con diligenza e buona fede, rispettando le istruzioni impartite dal datore di lavoro, questi potrà esercitare il potere direttivo e disciplinare nei confronti della forza lavoro. Le tutele predisposte nei confronti dei lavoratori, retributiva, contributiva, previdenziale, sono piene ed il rapporto è stabile;

2. Anche il secondo stadio vede l’instaurazione di un contratto di lavoro classico, anche se nell’ambito dei rapporti intercorrenti tra le parti si inserisce la variante dell’attivazione di una partnership o joint venture. Anche questo schema è quindi facilmente immaginabile: è il caso dei gruppi o delle reti di impresa, nell’ambito dei quali i lavoratori godono di tutela piena.

3. Dal terzo stadio in avanti, lo schema si complica notevolmente poiché fa ingresso nell’organizzazione il concetto di esternalizzazione. I lavoratori non sono più dipendenti diretti dell’impresa e l’impianto normativo italiano impone di applicare schemi contrattuali – primo fra tutti, in questo caso, il contratto di appalto di servizi – che prevedano sofisticati sistemi di controllo e di garanzia, al fine di assicurare la genuinità del rapporto intercorrente tra le parti e il godimento delle tutele previste dall’ordinamento per i lavoratori;

4. Al quarto stadio i collaboratori non sono più lavoratori dipendenti ma lavoratori autonomi che mettono al servizio dell’impresa il proprio know how. Le categorie contrattuali utilizzate per avviare queste collaborazioni sono quindi i contratti a progetto e le collaborazioni con professionisti a partita IVA che fatturano all’impresa i loro servizi. Nota è la difficoltà del nostro ordinamento di stabilire gli standard minimi di tutela spettanti a queste categorie di lavoratori che, per definizione, non sono soggetti ai poteri tradizionalmente definiti datoriali. Non sono peraltro soggetti, in senso stretto, alle direttive impartite dall’azienda né sono controllabili con mezzi che verifichino la quantità del lavoro prestato, ed infine, non sono sanzionabili disciplinarmente;

5. Al quindi stadio il rapporto intercorrente tra l’azienda e la folla è invece un territorio ad oggi per noi inesplorato. Chi vende, o offre, le proprie idee all’azienda potrà un giorno essere definito collaboratore? Potrà un giorno pretendere di essere pagato per le sue idee? Potrà un giorno esigere forme di tutela previdenziale o pensionistica discendenti dai servizi prestati?

L’evoluzione verso la open talent economy transita quindi attraverso l’utilizzo di strumenti, quali i contratti di lavoro flessibili, verso cui il nostro ordinamento giuridico è tradizionalmente diffidente.Esaminando il quadro in quest’ottica è però evidente come tali strumenti non siano utilizzati come mezzi di sfruttamento o precarizzazione dei lavoratori, ma come leva del progresso. Ecco perché è centrale porre le basi per un ragionamento innovativo che possa essere al servizio di un’organizzazione aperta al reperimento, nel mercato globale, del talento di cui necessita per la propria crescita.

La sfida della organizzazioni aperte: oltrepassare i confini

«Imagine how much potential would be unlocked if people at every level of an organization were empowered to reach beyond its walls to build and harness boarder communities».

Sempre più frequenti sono i casi di aziende e organizzazioni in genere, che utilizzano il web per oltrepassare i propri confini e dialogare con comunità di clienti e appassionati allo scopo di ridefinire le proprie strategie di business. La open talent economy, attraverso strumenti come il crowd-sourcing, si pone l’obiettivo di sbloccare tutto quel potenziale, interno ed esterno all’azienda, che per colpa di strutture gerarchiche tipiche dello scientific management rimane silente. Il report suggerisce alcuni esempi vincenti già sperimentati come, ad esempio, il caso InnoCentive – società di ricerca e sviluppo – che posta online le proprie ricerche e paga chiunque riesca a risolvere le criticità o i problemi che vengono di volta in volta segnalati. La società di telecomunicazioni australiana Telstra utilizza invece un forum online frequentato da oltre 60.000 persone che, ogni settimana, pongono domande e forniscono risposte in cambio di singoli premi. Ancora, altre compagnie come la CloudSpokes, sfruttano internet per mettere in contatto clienti e sviluppatori.

Presupponendo che l’organizzazione sfrutti al massimo le potenzialità offerte dalla open economy e dal crowd-sourcing si può arrivare ad immaginare, secondo il report Deloitte, che ciascun dipendente, a ciascun livello organizzativo, possa autonomamente attivare canali di apertura verso l’esterno ed accedere alle risorse disponibili. Anche di fronte a questo scenario, il pensiero tradizionale inorridisce. La nostra forma mentis ci porta a pensare alle gerarchie che caratterizzano le strutture aziendali, ai regimi autorizzativi, ai confini delle posizioni organizzative esistenti in azienda, funzionali a stabilire il peso, prima di tutto retributivo, di ciascun dipendente. Anche in questo caso sarà necessario attuare una rivoluzione, perché qui non si tratta solo di andare oltre la struttura organizzativa dell’impresa, ma addirittura di aprirla all’esterno.

A tale proposito, emerge con particolare enfasi il tema della tutela della riservatezza del patrimonio intellettuale dell’organizzazione. Norme esplicite, in questo senso, esistono nel nostro ordinamento (si pensi alla possibilità di stipulare patti di non concorrenza, ai sensi degli art. 2125, 2596 e 1751 c.c. o al dettato dell’art. 2105 c.c. concernente l’obbligo di fedeltà del lavoratore), ma sono tendenzialmente applicabili solo ai dipendenti diretti di un’organizzazione o ai collaboratori che, comunque, abbiano sottoscritto accordi formali con l’azienda. Il nostro ordinamento, ad oggi, non potrebbe tutelare un’impresa alla quale la fluidità dei confini dell’organizzazione – imposta dalla open economy – abbia arrecato un danno, nel caso in cui l’essersi rivolti alla folla avesse portato ad una fuga di notizie sulle strategie aziendali in via di definizione. Non resta quindi che domandarsi se, una simile tutela, sarebbe in realtà utile o necessaria. Un mercato ideale, in cui l’accesso al talento fosse percepito come condizione necessaria tanto alla sopravvivenza dell’impresa, quanto alla realizzazione delle risorse che possiedono le competenze richieste, saprebbe autoregolarsi a beneficio di tutti gli interessi coinvolti?

Personal outsourcing: nuovi strumenti e vecchia mentalità

«Many organizations are already experimenting with this increasingly sophisticated approach to sourcing global talent».

Tra i casi di successo indicati dalla ricerca Deloitte ve n’è però uno che riteniamo del tutto improprio. Forse con troppa superficialità nel testo si confonde ciò che è crowd sourcing (acquisizione di talento esterno) dalla mera attività del più noto outsourcing (esternalizzazione di alcune fasi del processo produttivo). L’esempio in questione riguarda il colosso farmaceutico Pfizer che da qualche anno utilizza una piattaforma chiamata PfizerWorks in grado di “liberare” i propri dipendenti dai lavori routinari con un semplice clic. Le attività secondarie vengono dirottate all’esterno e i dipendenti possono concentrare le loro energie su lavori più importanti. Ciò che il report non dice è però perché questa soluzione sia stata adottata e che cosa realmente accada una volta cliccato il tasto “fai tu i miei compiti noiosi!”. Chi paga per questi servizi? In che modo vengono affidati ad un estraneo i compiti – e informazioni – dell’azienda? Siamo davvero al cospetto di un reclutamento di talenti?

Grazie all’approfondimento di BusinessWeek Magazine riusciamo a capire meglio il processo: ogni singolo dipendente può usufruire di un budget della propria unità e, solo per compiti base come la creazione di slide in power point, può inoltrare la richiesta attraverso il software PfizerWorks il quale, una volta confermato l’ordine, gira la richiesta a due società di servizi indiane, accreditate presso l’azienda, che sceglieranno a chi far svolgere il lavoro. Se aggiungiamo anche che nel gennaio del 2010 Pfizer ha tagliato 8.000 posti di lavoro, tutto questo sembra una vera e propria strategia per abbattere i costi ma non certo per cercare del vero talento o un aiuto strategico dall’esterno al fine di procedere verso una co-generazione di valore o ottimizzazione del prodotto.

In questo caso ci sembra che il report Deloitte prenda un abbaglio e non distingua ciò che possono essere ottime pratiche di uso della rete e di internet da semplice pratiche di esternalizzazione delle mansioni più basse (scambiando per crowd-sourcing la mera terziarizzazione di mansioni esecutive e low skilled). Un vero e proprio esempio di uso distorto di un processo, quello della collaborazione di massa, nella quale è stato utilizzato un nuovo moderno strumento ma con la solita, vecchia, mentalità.

Il paradosso del talento

«Today’s high unemployment rates mask longer-term talent shortages that may affect both developing and developed countries for years».

Cuore della ricerca Deloitte è capire come superare il c.d. paradosso del talento (talent paradox) al quale ci troviamo di fronte: nonostante il costante aumento dei giovani in cerca di occupazione, il mercato del lavoro e le aziende non smettono, infatti, di ricordarci quanto sia difficile trovare il giusto talento da reclutare. Riempire, dunque, una posizione vacante. Sarebbe immediato pensare che siano centinaia i ragazzi – se non migliaia – pronti ad accaparrarsi una posizione all’interno dell’azienda ma, tra questi, capita che non ce ne sia nemmeno uno con le giuste competenze. In accordo anche con quanto dichiarato Piers Cumberlege al Word Economic Forum l’alta disoccupazione celerebbe oggi una carenza di talento strutturale, un problema potenzialmente ancor più grave in quanto nascosto: un domani, seppur con una – ben augurata – disoccupazione molto più bassa, le aziende potrebbero comunque avere gli stessi problemi nell’inserire la persona giusta al posto giusto.

Il report ricorda poi come i nostri genitori cercavano nel lavoro sicurezza e compensazione mentre le nuove generazioni pretendano engagement e meaning (sensemaking” nel linguaggio dello Humanistic Management, ndMM) e utilizzano la mobilità, le reti e la tecnologia per cercare di lavorare alle loro condizioni, ovunque nel mondo questo gli sia permesso. Di tutto ciò le organizzazioni devono tenere conto quando cercano una nuova risorsa.

Open talent 2La sfida HR: “the talent strategy”

«The ways in witch you acquire, develop, reward and retain your talent will differ according to the openness of your strategy».

A prescindere dai concetti di open talent economy e crowd sourcing, che potranno avere il loro massimo sviluppo soprattutto grazie all’evoluzione, a supporto, del sistema regolatorio del mercato del lavoro, è opportuno concentrarsi infine sull’ultimo aspetto messo indirettamente in luce dalla ricerca. Qualsiasi azienda, indipendentemente dalla tipologia di struttura, più o meno aperta, che possiede, deve pianificare, ed in effetti pianifica, strategie per la gestione del talento. Bisogna infatti ricordare che il peggiore errore che un’organizzazione possa commettere è quello di non riconoscere le riserve di talento delle quali è già in possesso. Per questo il report evidenzia la necessità, in particolare per gli HR Leader, di tenere in debito conto il fatto che la forza lavoro della stessa impresa è già un bacino di potenziali talenti, la cui emersione è influenzata dalla strategia aziendale nel suo complesso.

La Talent strategy di un’organizzazione, quindi, si sviluppa in primo luogo attraverso processi quali la valutazione delle prestazioni e dei potenziali, la definizione dei piani di carriera, l’analisi dei bisogni formativi della forza lavoro, la creazione di un senso di partecipazione e coinvolgimento dei dipendenti nel processo aziendale. Se pensiamo a quanto questi aspetti siano fondamentali per la vita e lo sviluppo di un’impresa, anche la più vecchia organizzazione sin qui ancorata a sistemi tradizionali di gestione del business, capirà come le opportunità connesse ad un sistema che permette di reperire competenze e talenti sia all’interno ma anche all’esterno del perimetro aziendale, ovunque essi si nascondano. Opportunità che invogliano le aziende ed i professionisti HR ad accettare la sfida sottesa al cambiamento. Accettata la sfida – a non riposare mai, a non smettere di cercare e di investire nel talento – risulterà chiaro come l’accesso al talento e alle competenze sia di gran lunga più importante che esserne in possesso, in quanto l’accesso sarà sempre, per sua natura, finalizzato ad un corretto utilizzo, strumentale al soddisfacimento dei bisogni dell’azienda e delle risorse chiamate a collaborarvi.

Andrea Gatti Casati ADAPT Ph.D student

Twitter@gatticasati

Giulia Tolve ADAPT Ph.D student

Twitter@GiuliaTolve

  Post Precedente
Post Successivo