Con lo Smart Working cresce la competitività delle social organization


Smart working 2013 2Smart Working Anno Secondo

L’osservatorio per lo Smart Working del Politecnico di Milano celebra oggi il secondo anno della sua attività presentando il nuovo rapporto (di quello precedente abbiamo dato conto a suo tempo nel post Il Davide dello Smart Working sfida il Golia del Familismo Amorale) relativo agli sviluppi in Italia  di questo nuovo modello gestionale. Un modello che costituisce un tassello importante per generare quell’intelligenza collaborativa diffusa decisiva per la trasformazione delle aziende tradizionali in social organization. Nel libro L’intelligenza collaborativa. Verso la social organization  non a caso ho dato un rilievo importante allo Smart Working (a partire dall’Introduzione) riprendendo e sviluppando fra l’altro il caso Heineken, che aveva vinto l’Award della School of Management relativo a questa categoria lo scorso anno.

Ricordiamo dunque innanzitutto che le componenti dello Smart Working sono:

policy organizzative, ovvero le linee guida relative alla flessibilità di orario (inizio, fine e durata complessiva) e di luogo di lavoro e alla possibilità di scegliere e personalizzare i
propri strumenti di lavoro;

comportamenti e stili di leadership, legati sia alla cultura dei lavoratori e al loro modo di “vivere” il lavoro, sia all’approccio da parte dei capi all’esercizio dell’autorità e del controllo;

layout fisico degli spazi di lavoro, che condiziona efficienza, flessibilità e benessere delle persone e ne può orientare e facilitare, o meno, la collaborazione;

tecnologie digitali che, in funzione della loro qualità e diffusione, possono ampliare rendere virtuale lo spazio di lavoro, abilitare e supportare nuovi modi di lavorare, facilitare la comunicazione, la collaborazione e la creazione di network di relazioni professionali tra colleghi e con figure esterne all’organizzazione.

“Per poter abilitare la creazione di un modello di Smart Working efficace e sostenibile, si legge nel Rapporto, la progettazione di queste leve deve superare stereotipi tradizionali relativi a subordinazione, gerarchia e standardizzazione di compiti e mansioni, orientandosi invece a principi quali la responsabilizzazione diffusa, la collaborazione emergente, la flessibilità adattativa e la valorizzazione dei talenti individuali”. Deve cioè fare propri i caposaldi dello Humanistic Management 2.0 che abbiamo recentemente discusso nella serie di post intitolata L’era aurea del management è adesso.

Smart working 2013 1

Il “tesoro nascosto” dello Smart Working

Secondo la Ricerca – realizzata attraverso il coinvolgimento di circa 600 aziende operanti in Italia e 1.000 utenti business1 – con la diffusione di modelli di Smart Working le imprese italiane potrebbero ottenere un beneficio di almeno 27 miliardi di euro, grazie ad un incremento medio
di produttività del 5,5%. Alla base di questa stima c’è il miglioramento del 3,5% della produttività ottenibile attraverso una diffusione del telelavoro in linea con quella dei Paesi avanzati, una riduzione dello 0,5% dei viaggi di lavoro inutili grazie a strumenti web/video conference e un aumento dell’1,5% della produttività del lavoro in mobilità grazie a device mobili. Vantaggi economici a cui è possibile aggiungere un risparmio di costi diretti per le imprese di circa 10 miliardi di euro, grazie a una riorganizzazione degli spazi di lavoro accompagnata da policy di flessibilità di orario e luogo di lavoro e ad una riduzione delle spese delle trasferte con strumenti di web/video conference.

Inoltre, l’introduzione del telelavoro e la conseguente riduzione degli spostamenti dei lavoratori possono produrre risparmi economici per i cittadini pari a circa 4 miliardi di euro (circa 550 euro per lavoratore all’anno) e a una riduzione di emissioni di CO2 pari a circa 1,5 milioni di tonnellate l’anno.

“I benefici potenziali dell’adozione di modelli di Smart Working sono troppo importanti per potersi permettere di non sviluppare immediatamente un piano di interventi in grado di migliorare la competitività e la sostenibilità economica delle imprese – afferma Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano – I casi di successo dimostrano come nuovi approcci organizzativi possano contribuire a creare un ambiente di lavoro efficace per le imprese e al tempo stesso per i lavoratori e per la società nel complesso. Per adottare un modello di lavoro ‘smart’, l’impresa deve ripensare in modo congiunto e coerente le policy organizzative sulla flessibilità di orario e di luogo di lavoro, i comportamenti e gli stili di leadership, il layout fisico degli spazi e l’utilizzo delle tecnologie digitali, che supportano nuovi modi di lavorare, facilitano la comunicazione, la collaborazione e la creazione di relazioni professionali tra colleghi e con figure esterne all’organizzazione”.

Tutti elementi tradotti in pratica nelle case history delle aziende vincitrici degli Award di quest’anno (fra cui Tetra Pak e Barilla). A rinforzare l’idea che l’applicazione del modello della social organization (di cui, come dicevamo, lo Smart Working è parte integrante) può generare produttività pari a moltissimi miliardi di dollari (1.300, secondo la famosa valutazione fatta da McKinsey l’anno scorso).


Smart working 2013 3Smartphone e tablet personali come strumento di lavoro

Dal rapporto emerge la conferma di un altro trend essenziale per l’affermazione del modello della social organization: ovvero che, come titolavamo qualche mese fa, L’Innovazione HR è sempre più social, collaborativa e digitale. E’ interessante notare che sono ormai numerose infatti le grandi imprese in Italia che consentono ai loro dipendenti di utilizzare dispositivi personali per attività lavorative: le previsioni indicano che si passerà dall’attuale 23% al 33% nel 2015. Mentre quelle che consentiranno l’utilizzo di applicazioni personali per lavorare saranno il 26% nel 2015, rispetto 15% attuale.

“Le tecnologie ICT attuali, grazie alle loro caratteristiche di portabilità, accessibilità e adattabilità, permettono di rispondere alle nuove esigenze delle persone, abilitando sempre più modelli di lavoro orientati allo Smart Working – spiega Mariano Corso – Nella loro diffusione in azienda oggi concorre la consumerizzazione di dispositivi e strumenti digitali, che sono sempre più alla portata di tutti. Cavalcare l’innovazione digitale è un passo necessario per colmare il gap fra le aspettative dei lavoratori italiani sulle tecnologie e quello che le aziende invece offrono loro”.

Nonostante ciò, l’Italia è ancora su posizioni arretrate nel panorama internazionale rispetto a queste prospettive, per due ragioni: “una normativa pesante e restrittiva, una visione miope e rigida nelle relazioni industriali e una cultura del lavoro pesantemente gerarchica” – come afferma Mariano Corso, in questo perfettamente in linea con quanto afferma Michele Tiraboschi nella postfazione al mio libro.  “Inoltre, nel percorso d’innovazione organizzativa, l’Italia sembra frenata dalla grande presenza di imprese medio-piccole con modelli di lavoro ancora molto tradizionali”.

Del resto è comprensibile: le grandi aziende sono quelle che meglio possono sfruttare i vantaggi della mass collaboration che una social organization rende possibile. Per le PMI l’opportunità verrebbe valorizzata se ci fosse la capacità di fare sistema a livello di distretti, settori di business, comparti produttivi. Ma evidentemente l’Italia per molti aspetti resta quella dei mille campanili e dell’individualismo spinto: mali atavici da cui facciamo una tremenda fatica a guarire. Lo dimostrano, a livello di grandi aziende, anche i casi Alitalia e Telecom che segnalano purtroppo l’attualità dell’irrisione guiccidardiana agli italiani per i quali, allora come ora, sembra valere il motto: “Franza o Spagna purchè se magna”.

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