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Sense of Community e Innovazione Sociale nell’era
dell’Interconnessione di Roberto Panzarani. Continuazione ideale di Innovazione e Business Collaboration nell’era della globalizzazione, pubblicato nel 2009, nasce dalla constatazione che “il tema della collaborazione è forse oggi ancora più centrale. A distanza infatti di più di cinque anni dalla crisi del 2008 ancora stentiamo a creare un nuovo modello di capitalismo e a mettere in atto nuovi principi organizzativi nelle nostre aziende ed istituzioni”.
La tesi centrale del libro è allora che per superare questo empasse sarà importante sviluppare quello che Panzarani definisce “sense of community” per passare ad un modello basato più sulla collaborazione che sull’individualismo e la competizione, attivando le straordinarie potenzialità offerte dal web 2.0. Una tesi che su questo blog sosteniamo da tempo e che abbiamo discusso con personaggi come ad esempio Luigi Ferrari e Nicola Palmarini. Come scrive Panzarani: “una comunità è un insieme di individui che condividono lo stesso ambiente fisico e tecnologico, formando un gruppo riconoscibile, unito da vincoli organizzativi, linguistici, religiosi, economici e da interessi comuni. Se nella società si fa riferimento principalmente ai fini dell’individuo, nella comunità prevalgono gli obiettivi condivisi e la solidarietà. Le community online sono un esempio nuovo di partecipazione, di unione e di gruppo: si tratta di luoghi virtuali dove ci si conosce, si condividono passioni, idee o semplicemente si passa del tempo. È un modo per incontrare vecchi amici o per conoscerne di nuovi ed è anche quel “posto” dove la partecipazione e il confronto avviene per discutere di tematiche importanti”. Per capire meglio la prospettiva del libro, abbiamo rivolto alcune domande all’autore.
Roberto, fin dal titolo tu inquadri il discorso nell’ottica della Social Innovation. Già qualche anno fa, quando ho disegnato e avviato ideaTRE60, la piattaforma di Social Innovation di Fondazione Italiana Accenture che per la prima volta nel nostro Paese ha colto l’opportunità di sviluppare progetti di utilità sociale sulla base dei principi di co-generazione e crowdsourcing ricordavo che Geoff Mulgan (Oxford Business School) propone la seguente definizione di innovazione sociale: “si ha innovazione sociale quando nuove idee che funzionano (“new ideas that work”) danno soluzioni a bisogni sociali ancora insoddisfatti”. Ma l’aggettivo “sociale” ha anche un altro significato: indica il ruolo attivo di persone (consumatori, cittadini, ma anche istituzioni e organizzazioni) nella realizzazione concreta dei processi di innovazione. Con questa definizione di innovazione sociale possiamo così raccogliere fenomeni e processi creativi molti ampi e diversificati che vanno dall’imprenditorialità sociale all’educazione a distanza, dai movimenti per il riconoscimento dei diritti delle donne alle riforme sanitarie e pensionistiche, dai nuovi modelli di sostenibilità alle pratiche collaborative sui codici opensource ”. Ti ritrovi in questa definizione?
Marco, senz’altro mi ritrovo nell’ampiezza della definizione perché è proprio quello di cui abbiamo bisogno. Mi occupo da tanti anni di innovazione con particolare riguardo ai modelli organizzativi. Ritengo che qui è dove il mutamento è più necessario. Come dico nell’introduzione al libro oggi la tecnologia è più avanzata fuori dall’azienda che dentro. Quando ho cominciato a lavorare, per me
l’azienda era il vero centro dell’innovazione, trovavo strumenti, metodi di lavoro e conoscenze che senz’altro non erano presenti in casa o nel mio vivere sociale, quindi ne ero affascinato. Oggi, come si dice, in un normale iphone è presente più tecnologia e sapere di
quello che ci è voluto per mandare l’uomo sulla luna. Questo è il punto interessante: la tecnologia progredisce in modo esponenziale, l’organizzazione, quella classica delle aziende spesso è ferma o procede con molta lentezza. Il tutto sta creando una grande discrasia che si riflette sul piano economico. L’occidente in più è insidiato dal fenomeno della globalizzazione che fa si che i capitalismi emergenti, tutti ormai connessi con internet tramite computer o smartphone, producano idee e innovazioni che vanno a competere proprio sul terreno della conoscenza che da sempre è stato per l’Europa e per gli Stati Uniti lo strumento competitivo più importante.
Oltre a questo, e qui entro più direttamente nelle tue considerazioni, i governi non sono più in grado di soddisfare le esigenze più elementari dei cittadini. Se questo da una parte è un problema molto importante per la governance del futuro, dall’altra assistiamo a fenomeni sempre più frequenti di autorganizzazione che grazie alla tecnologia diffusa e molecolare gli stessi cittadini
mettono in atto per soddisfare i loro bisogni e le loro esigenze di base. Qui si innesta l’innovazione sociale che coinvolge tutti quei movimenti che giustamente ricordavi nella tua domanda.
Nel Secondo Capitolo descrivi come utilizzare le Community online in azienda. Sei d’accordo nel ritenere che sia necessario passare dal modello dello Scientific Management alla Social Organization, intesa come un nuovo modo di fare impresa che consente ad un vasto numero di persone di lavorare collettivamente valorizzando le singole riserve di competenza, talento, creatività ed energia, sfruttando le enormi potenzialità dei Social Media, attraverso l’istituzione di Community collaborative, che vivano tuttavia anche “offline”?
Sono assolutamente d’accordo e riprendo quanto dicevo nella prima parte della mia prima risposta. L’istituzione di community collaborative nelle organizzazioni diventerà fondamentale. Nel libro c’è un capitolo che dedico alla coevoluzione, in cui sottolineo che se non si costruisce un ecosistema in cui coevolvono i nostri collaboratori, i nostri fornitori e i nostri clienti, in futuro data la complessità del nostro mondo come dicevamo fatto di innovazione tecnologica rapidissima e globalizzazione, non sarà difficile fare business, ma sarà semplicemente impossibile. Nel libro, oltre a vari esempi di innovazione sociale , porto alcuni esempi di communuty
aziendali che si stanno evolvendo da Starbucks, a P&G, a BMW alle italiane Technogym, Loccioni eccetera. E’ interessante perché accanto al modello burocratico ancora presente si stanno sviluppando le community che lentamente comunque rappresentano il futuro dell’azienda.
Nel tuo libro passi dalla descrizione della Social Innovation, alla Smart City per arrivare alle nuove forme di democrazia partecipativa. Quali sono le logiche comuni a queste tre rappresentazioni, direi a cerchi concentrici che progressivamente si allargano, della vita associata contemporanea?
Sono molto d’accordo sulla definizione cerchi concentrici. Nel libro parto dalla piazza come luogo d’incontro al concetto di smart city e dalla democrazia rappresentativa ai fenomeni di democrazia diretta oggi di grande attualità. Come dicevamo prima, tutto si tiene la tecnologia si diffonde in modo molecolare e quindi entra nel’organizzazione della nostra vita sociale e personale. Quindi dilata lo spazio della possibilità rispetto allo spazio della realtà. Tutto questo può vedere la realizzazione di città più intelligenti, più ecologiche, più sostenibili e più partecipate. Nel libro ho cercato di portare alcuni esempi sia internazionali che nazionali laddove si sono rivelate leadership attente e cittadini partecipanti o in alcuni casi cittadini che si sono autorganizzati per migliorare le loro condizioni di vita elementari. Ripeto, lo spazio della possibilità è già presente, ma va riempito.
Un concetto chiave al centro dei tuoi ragionamenti è quello di “empatia”, che anche io ritengo essenziale nella costruzione dei “mondi vitali” delle Community. Vuoi spiegare meglio come tu la intendi?
Molti anni fa ho avuto la fortuna di conoscere il grande psicologo americano Carl Rogers, uno dei grandi promotori della psicologia umanistica. Nel suo approccio psicologico l’empatia è un punto fondamentale tanto che nel percorso di formazione dei suoi allievi gli “empaty lab” erano uno dei momenti strategici per esercitare questa capacità e la sua terapia è appunto chiamata la “terapia entrata sul cliente”.
Questo concetto si è poi un po’ perso negli anni proprio grazie al prevalere del concetto burocratico di organizzazione. Oggi proprio per le cose che abbiamo detto rispetto alla community aziendale e al concetto di coevoluzione, l’empatia diventa fondamentale. Nel 2009 Jeremy Rifkin ha addirittura scritto un libro chiamato “La civiltà dell’empatia” e ricorda che “se nel mondo agricolo la coscienza era governata dalla fede e in quello industriale dalla ragione, con la globalizzazione e la transizione all’era dell’informazione, si fonderà sull’empatia, ovvero sulla capacità di immedesimarsi nello stato d’animo o nella situazione di un’altra persona”. Oggi con le comunità coevolvono e se vogliono fare business o stare bene in una città devono estendere l’empatia da personale a organizzativa e sono convinto che a breve diventerà una competenza distintiva anche nella ricerca e nella valutazione dei manager del futuro.