L’alba dello Smart Working
Come è noto, il termine Enterprise 2.0 è stato coniato da Andrew McAfee, professore della Harvard Business School, nel paper Enterprise 2.0:The Dawn of Emergent Collaboration – MIT Sloan Management Review, 2006. La definizione puntuale di Enterprise 2.0 secondo McAfee è legata “all’uso in modalità emergente di piattaforme di social software all’interno delle aziende o tra le aziende ed i propri partner e clienti”. Per l’Osservatorio Enterprise 2.0 della School of Management del Politecnico di Milano, nato nel 2007, il termine indica una visione più ampia di evoluzione del modello organizzativo e tecnologico dell’impresa che si fonda comunque sull’applicazione di strumenti collaborativi 2.0 e l’utilizzo della tecnologia come piattaforma abilitante dei processi e delle relazioni.
Ma la storia di questi ultimi anni ha dimostrato che il fattore tecnologico non è sufficiente a risolvere i problemi posti dalla serie complessa di fenomeni messi in moto dal web 2.0 (come l’apprendimento collettivo, l’innovazione partecipata, la co-creazione di valore), che richiedono nuove modalità di intervento: informali, guidate dal basso, spontanee, contestuali. Trovo significativo a questo proposito che la School of Management del Politecnico di Milano abbia deciso di fare confluire gli Osservatori precedentemente dedicati al Mobile e appunto all’Enterprise 2.0 in un nuovo Osservatorio dedicato allo Smart Working, “che richiede – si legge nel rapporto del Novembre 2012 – “la riprogettazione congiunta di leve non solo tecnologiche, ma anche di natura organizzativa e gestionale, che possono essere raggruppate in tre categorie fondamentali: 1. Bricks, ovvero il layout fisico degli spazi di lavoro; 2. Bits, ossia la capacità di sfruttare le potenzialità delle tecnologie digitali per il ripensamento dello spazio virtuale di lavoro;3 Behaviours, in termini di stili di lavoro e policy organizzative, cultura del top management e comportamenti delle persone”. Connessi sì dunque, ma non solo online: anche e soprattutto offline, in una rete di relazioni in cui le Community e il Community Management giocano un ruolo centrale.
La Convivialità: il ritorno
In altre parole, in tutte le aree aziendali la dimensione comunitaria o conviviale (secondo la terminologia dello Humanistic Management) assume un ruolo crescente nella generazione di valore, rendendo necessaria la rivisitazione dei modelli di leadership e di governance. Merita dunque ricordare che nel 1973 Ivan Illich pubblica il libro La Convivialità all’interno del quale presenta alcune critiche al modello industriale tayloristico e ne ipotizza il possibile superamento. Per esempio, l’iperproduttività produce crisi economiche legate all’eccessiva disponibilità di beni, oppure la larga diffusione di automobili crea il traffico che riduce significativamente la velocità media degli spostamenti rendendo controproducente lo spostamento in auto. Dunque, per evitare una società “iperindustriale” – secondo Illich – è necessario ritracciare i contorni della società riconoscendo l’esistenza di scale e di limiti naturali e tenendo a mente che l’equilibrio della vita si dispiega tra il fragile e il complesso ma senza mai oltrepassare alcune soglie.
Oltrepassata la soglia, la società diventa scuola, ospedale, prigione (Istituzione Totale) e comincia la reclusione sociale in cui i luoghi e gli spazi sostituiscono le finalità, caratterizzati dalla specializzazione dei compiti, dalla istituzionalizzazione dei valori, dalla centralizzazione del potere: l’uomo diviene l’accessorio della megamacchina, un ingranaggio della burocrazia (Scientific Management).
Alla società della “produttività” Illich contrappone la società della “convivialità”. Se nella società “produttiva” i valori sono la conoscenza tecnica e il bene materiale, nella società “conviviale” i valori sono l’etica e il bene realizzato. Inoltre, se nella società industriale il fine ultimo è l’accumulazione della ricchezza nella società conviviale il fine è l’amicizia e la reciprocità fraterna. Illich chiamava società conviviale una società in cui lo strumento moderno sia utilizzabile dalla persona integrata con la collettività, e non riservato a un gruppo di specialisti che lo tiene sotto il proprio controllo. Conviviale per Illich è la società in cui prevale la possibilità per ciascuno di usare lo strumento per realizzare le proprie intenzioni. L’uomo a cui pensava Illich non era un uomo che vive solo di beni e servizi, ma della libertà di modellare gli oggetti che gli stanno attorno, di conformarli al proprio gusto, di servirsene con gli altri e per gli altri. Nei paesi ricchi i carcerati dispongono spesso di beni e servizi in quantità maggiore delle loro famiglie, ma non hanno voce in capitolo
riguardo al come le cose sono fatte, né diritto di interloquire sull’uso che se ne fa: degradati al rango di consumatori utenti allo stato puro, sono privi di convivialità.
Il mondo vitale dei mutanti aziendali
Nel contesto dello Humanistic Management, la riflessione sulla convivialità parte dal Convivio o Simposio platonico come luogo dominato dall’eros e dalla cooperazione discorsiva, regolata da un simposiarca. Modello cui può ispirarsi l’impresa dello “stare insieme per” e della valorizzazione delle risorse umane. Il modello conviviale dell’impresa è l’attualizzazione del potere di parola e d’iniziativa attribuito a tutti i soggetti-persone presenti nel sistema dello “stare insieme per”, attivi nel personigramma. E’ una traduzione sistemica della cooperazione attiva integrale, condizione essenziale della qualità totale e dell’innovazione continua.
L’impresa diviene così un mondo (mondo vitale) non prescritto, non predeterminato, transeunte e infinitamente mutabile, che il management legge, interpreta, ascolta, non solo per i suoi fini, ma anche per i fini di coloro che ha associato e cooptato: a loro volta mutanti, flessibili, trasformativi come la nostra Alice Postmoderna. Di qui la necessità di adottare forme di lettura, interpretazione ed azione volte prima di tutto indicare a ciascuno modi e possibilità per riscoprirsi, raccontarsi in prima persona, valorizzare la propria esperienza, suscitare occasioni di cura personale che, oltre all’attenzione per il benessere del corpo, siano volte a migliorare la conoscenza di sé, in quanto arte narrativa e filosofica.
Una visione al tempo stesso platonicamente conviviale, aperta al dialogo con gli altri, al mondo, al futuro. Valori cruciali, elusi laddove abbia il sopravvento una cultura tecno-scientistica del lavoro: ovvero una cultura che non guarda alla tecnologia come fattore abilitante lo sviluppo dell’uomo (che è essenzialmente un “homo faber”, si legga a questo proposito l’illuminante saggio di Sennett L’uomo artigiano),ma che è centrata su una concezione totale e panottica dell’organizzazione-istituzione, segnata dalla divisione inconciliabile fra chi pensa e chi lavora, incapace di rinviare a quella più generale appartenenza ad una cultura che non potrà che essere umanistica.
Al tempo stesso, l’approccio conviviale è decisivo per lo sviluppo dei processi di co-creazione del valore affermatisi con l’avvento della Social Economy. Si può avere infatti co-creazione creativa, ovvero generazione e realizzazione di un valore aziendale condiviso con gli stakeholder, solo in contesti imprenditoriali fondati sul sensemaking. Il mercato può essere un luogo dove aziende e clienti/consumatori condividono, combinano e rinnovano insieme risorse e capacita’ per creare valore attraverso nuove forme di interazione, servizio e metodologie di apprendimento solo se questi processi vengono attivati anche all’interno dell’azienda.
2012 Odissea nello spazio (di lavoro)
Non sorprende così che, come ricordavamo in apertura, oggi si parli di Smart Working, un modello che è perfettamente leggibile alla luce del principio di Convivialità. Lo Smart Working è infatti un modello di riferimento che nasce dall’intersezione di tre componenti: Spazio di lavoro fisico (Bricks), Spazio di lavoro virtuale (Bits), nuovi comportamenti (Behaviour).
Come risulta dal Report dell’Osservatorio dedicato dal Politecnico di Milano, lo sviluppo e la diffusione di tecnologie ICT per supportare la comunicazione, la collaborazione e la creazione di social network, insieme alla diffusione sempre più pervasiva di device mobili “intelligenti” e di facile utilizzo, possono agevolare e supportare le aziende verso modelli di lavoro orientati allo Smart Working. Un modello che produce benefici rilevanti innanzitutto per le imprese, con un aumento di produttività del lavoratore medio del 25%, (che può arrivare al 50% in più) e una riduzione di costo del lavoro di circa 1,7 miliardi di euro. Ma che presenta importanti vantaggi per l’intero Sistema Paese: se appena il 10% dei lavoratori che oggi si spostano in auto adottasse il telelavoro per 100 giorni l’anno si otterrebbe un risparmio complessivo di tempo pari a 47 milioni di ore, di denaro pari a 407 milioni di euro, di emissioni di anidride carbonica pari a 307 mila tonnellate.
In particolare le tecnologie chiave per supportare lo Smart Working includono:
Knowledge Management, Social Network & Community per il supporto alla creazione di relazioni e conoscenza tra le persone (social network, forum, blog, microblogging, wiki, semantic search, idea management e prediction markets, …);
Collaboration per il supporto alla gestione della comunicazione e collaborazione interna ed esterna all’impresa in modo integrato, attraverso infrastrutture e strumenti appositi (sistemi di conferencing, instant messaging, Voice over IP, condivisione e co-editing in real time e asincrona di slide e documenti, …);
Mobile Workspace per la realizzazione di applicazioni e soluzioni pensate nativamente per l’utilizzo di device mobili (palmari, tablet, smartphone, new tablet, …) che consentano l’accesso a contenuti e strumenti in mobilità (mobile office, sales force automation, field/work force automation, accesso a documentazione operativa e cruscotti gestionali, mobile app per il business, …);
Cloud Computing per la fruizione di applicazioni (Software as a Service), piattaforme (Platform as a Service) e risorse infrastrutturali (Infrastructure as a Service) in modo scalabile e flessibile a seconda delle esigenze.
L’insieme di queste tecnologie ICT rappresenta oggi un driver di spinta verso l’adozione di modelli di Smart Working in Italia, ma, scrivono gli estensori del Rapporto, altre leve organizzative, e in particolare la
cultura del management, sono ancora un freno allo sviluppo di questi nuovi modelli di lavoro. E così, nonostante le tecnologie digitali siano sempre più diffuse e consentano di poter svolgere le attività a distanza, attualmente soltanto il 5% dei lavoratori italiani ha uno stile di lavoro da “Smart Worker”, caratterizzato da maggiore flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi di lavoro (“Distant o Mobile Worker”), degli orari di lavoro (“Flexible Worker”) e degli strumenti da utilizzare (“Adaptive Worker”).
Si conferma insomma ancora una volta che la co-creazione di valore intesa come modello alternativo a quello, che possiamo definire tradizionale, tayloristico, Comando e Controllo, fondato sulla reificazione degli Standard (ovvero, il modello definito dai principi dello Scientific Management) dove sono presenti aziende attive e
consumatori/clienti/dipendenti passivi, può darsi solo in contesti autenticamente conviviali e convocativi, dove il potere di parola è dato all’interno alle persone nella stessa misura in cui è dato all’esterno ai clienti/consumatori (ovvero, la Social Organization definita dai principi dello Humanistic Management). Contesti che costituiscono ancora un numero molto limitato ma la cui crescita è, non solo auspicabile, ma anche inevitabile: come indicano i dati del rapporto riferiti all’utilizzo nelle aziende di strumenti di Social Network, Community e Knowledge Management: “la loro diffusione è citata dal 46% del campione, sebbene l’utilizzo esteso sia molto limitato (7%). Gli investimenti sono ancora contenuti e solo nel 9% dei casi superano i 100.000 €. Il tasso di crescita degli investimenti per il 2013 è tuttavia del 17% e fa sperare in un’uscita dalla fase di sperimentazione e di utilizzo confinato a poche aree. Gli strumenti a oggi maggiormente presenti sono blog e forum. Laddove utilizzati in modo esteso, questi strumenti permettono di ottenere benefici significativi in termini di soddisfazione e motivazione dei dipendenti, e sono in grado di dare un contributo significativo al processo di innovazione organizzativa e di business”.
Smart Working vs. Familismo Amorale
Nonostante i numeri e le speranze espressi dai ricercatori del Politecnico, la battaglia per l’affermazione di un nuovo modello, quello della Social Organization, che, non mi stancherò di ripetere, è prima ancora che operativo, mentale e cognitivo, è ancora lontana dell’essere vinta. Un sintomo fra tutti, le due pagine che La Repubblica (non a caso tribuna prediletta del nostalgico del Pensiero Forte Maurizio Ferraris) del 25 novembre 2012 dedica alla critica della “Società orizzontale”: “mettere tutto e tutti sullo stesso piano – scrive Massimo Recalcati – pensando in questo modo di rifiutare gerarchie e doveri per avere una maggiore libertà, azzera i legami di una comunità, che sono invece decisivi come collanti sociali”.
E’ questa la sintesi di un pensiero che non riesce a (o non vuole) capire quale possa essere la forza dei legami deboli e della mass collaboration, delle Community ispirate da principi quali fiducia reciproca, trasparenza e autorevolezza (per l’applicazione di questa visione all’intero contesto sociale vedi ancora una volta Sennett, Insieme), di una leadership diffusa fondata sulla capacità di “guidare dal centro” (Bradley e MacDonald), di “mantenere la guida perdendo il controllo” (Kevin Kelly): o meglio, perché questo è il vero problema, non il controllo (tanto che i luddisti del Terzo Millennio non si stancano di scagliarsi contro i Grandi Fratelli del Web, di volta in volta identificati in Facebook, Google o nella stessa intera Internet), ma la discrezionalità di un potere falsamente democratico, in realtà fortemente oligarchico. Il quale, sotto le mentite spoglie del politically correct o della retorica aziendalistica, cela il terrore che il talento individuale possa emergere confluendo in una intelligenza collettiva finalmente in grado di spazzare vai quel Familismo Amorale denunciato già molti decenni fa da Banfield, ancora oggi vero ostacolo alla crescita economica, culturale e civile del nostro Paese. Humanistic Management Revolution: questo non è il titolo del prossimo blockbuster fantascientico, ma la sfida su cui ci giochiamo il futuro.