Una “ricerca dedicata alla prima generazione italiana interamente cresciuta dentro al Web 2.0”: questa la definizione di Generazione 2.0 Made in Italy, che sarà presentata mercoledì 21 novembre dalle 17.00 presso l’Unione Confcommercio di Milano. Il testo, che ho avuto l’opportunità di leggere in anteprima, si presenta come una vera e propria guida ai “basics” che è necessario maneggiare per la comprensione di quella generazione di persone che vanno dai 18 ai 30 anni. Come si spiega nel Capitolo Secondo, la Generazione 2.0 “raggruppa gli individui cresciuti nel periodo di massima diffusione italiana del Web 2.0. Si tratta di chi ha affrontato la propria crescita individuale e sociale (dall’adolescenza all’essere adulti con l’ingresso nel mondo del lavoro), nello stesso momento in cui il Web 2.0 stava nascendo e affermandosi in Italia, ovvero tra il 2004 e il 2008”.
E’ dunque la generazione destinata a svolgere un ruolo sempre più decisivo anche in Italia, per quanto le istituzioni, i mass media, la politica, le aziende siano nei suoi confronti alquanto ondivaghi: come l’asino di Buridano fra i due mucchi di fieno, oscillano fra la tendenza a considerarla con una certa sufficienza, quando non proprio a bistrattarla, e quella ad esaltarla come futuro motore (sottintendendo come al momento sia ancora abbastanza immobile) dei fulgidi destini della Nazione, talvolta con toni così retorici che spesso affiora il dubbio della strumentalizzazione paternalistica a fini elettoralistici (politica), di pace sociale (istituzioni), di vendita di prodotti (brand) o servizi (mass media).
Trovo significativo di questo mood un passaggio della Prefazione firmata da Umberto Bellini, Presidente Asseprim, che così definisce gli appartenenti alla Generazione 2.0, con uno stile alla “Quelli che”, un po’ alla Jannacci insomma, ma senza quell’umorismo che pure la stessa ricerca indica come elemento essenziale dello “S.T.I.L.E.” (Socialità, Trasparenza, Immediatezza, Libertà, Esperienza) necessario per comunicare con loro: “Quei giovani che in Italia si sono visti spesso cucire addosso delle etichette generaliste e mortificanti: “svogliati”, “mammoni”, “mantenuti”, “choosy”, per fare qualche esempio. Quei giovani che, al di là di colorite definizioni con i quali sono stati evidenziati, sono molto più di questo, e che è giunto il momento di rivalutare, sostenere, incoraggiare”.
D’altro canto la difficoltà di questa generazione – cresciuta, come evidenzia la ricerca, fra i modelli etici e comportamentali proposti dal Grande Fratello (vedi anche su questo: Il disorientamento contemporaneo – Alice annotata 13) e “priva di visione di lungo periodo” (per colpe proprie o altrui?Il dibattito è aperto) – a coprire il ruolo che sulla carta le spetta di diritto è denunciata dall’origine stessa della iniziativa promossa da Confcommercio. Nasce infatti dal desiderio di Federico Capeci di riparare alla “dimenticanza” di Don Tapscott, come noto autore del bestseller Wikinomics, che nel suo recente lavoro Net Generation.Come la generazione digitale sta cambiando il mondo non degna l’Italia del minimo accenno. Un motivo di questa assenza ci sarà, ma bisogna dire che la ricerca è così orientata a farci comprendere come comunicare con i giovani italiani, da non fornire alla fin fine nessun indizio che ci faccia scorgere la natura di questo motivo, se non il loro radicamento in quella cultura del “tutto e subito” da reality show cui la ricerca appunto accenna solamente e la generica indifferenza che il mondo esterno manifesta delle loro profonde, ma, con un ossimoro, evidentemente nascoste, virtù.
Comunque. Come sono dunque questi benedetti giovani? Mi fa piacere osservare che, con buona pace dell’ostilità espressa da Nicola Palmarini alla “duepuntozerizzazione” del mondo (vedi la mia recensione al suo – peraltro eccellente – Lavorare o collaborare? – e successivo scambio di pareri nei commenti al post), anche il curatore di Generazione 2.0 Made in Italy ritiene essenziale fondare il discorso sul concetto di Web 2.0, così come è stato definito da Tim O’Really: “In che cosa consiste questa rivoluzione”, esordisce, un po’ enfaticamente, l’autore del volume, “tanto forte da segnare l’inizio di una nuova generazione di umani? Il web 2.0 è una nuova versione del web. Viene denominata 2.0 in contrapposizione al precedente 1.0 come si fa con le nuove versioni dei programmi informatici, quando queste rappresentano un cambiamento fondamentale e non un semplice aggiornamento. Per questo 2.0 e non 1.1: è un cambiamento di filosofia, di approccio al web e non solo un upgrading. L’evoluzione sta nell’introduzione in ogni sito di nuove funzionalità che permettono al lettore di interagire con la pagina internet e quindi con altri utenti: si può entrare in un sito, per esempio, e scrivere un commento ad un contenuto che l’amministratore del sito ha pubblicato; una volta scritto, il commento diverrà visibile a tutti e quindi alimenterà il contenuto stesso della pagina; con pochi passi, in alcuni siti, si può caricare un video, anche creato da noi, ed altri lo commenteranno o con un click ci diranno se sia più o meno di loro gradimento; alcuni siti ospitano opinioni e idee su un tema e altri utenti rispondono e arricchiscono il dialogo con le proprie idee o esperienze. Finisce l’era dei siti da consultare, inizia con il web 2.0 l’era degli spazi condivisi da generare e alimentare con l’apporto di tutti”. Il capitolo prosegue descrivendo con precisione e semplicità il punto di vista di Tim O’Really, che troppo stesso gli addetti ai lavori danno per scontato, ma che invece è bene continuare a chiarire (anche per prendere consapevolezza di quanto la nostra realtà in particolare imprenditoriale sia ancora in larga misura 0.0).
Il testo si sviluppa quindi mettendo a fuoco elementi che confermano alcune analisi proposte su questo blog. Vediamone alcuni. In primo luogo il fatto che “la Generazione 2.0 è quasi interamente connessa ad Internet e attiva nel Web 2.0, in un Paese – vale la pena di ricordarlo per contestualizzare i dati – in cui ancora si discute di digital divide”. Questo è un punto importante perchè da qui seguono una serie di caratteristiche di questa generazione che in qualche modo si possono riassumere in quella che è stata definita “l’etica hacker“, nella quale, fra le altre cose, i concetti di privacy e di sicurezza, così importanti nella cultura occidentale almeno da Locke in poi, non sono neppure contemplati.
Interessanti anche le osservazioni sui valori improntati al “less”, derivanti dal fatto che senza spazio, il web non ha neppure tempo: “ogni cosa diventa velocissima da fare e da ottenere; nello stesso tempo ogni momento si congela e diventa perpetuo”. A chi ricorda le nostre osservazioni sul “paradosso di Will Coyote” che connota i comportamenti della nostra Alice Postmoderna Nativa Digitale questa frase suonerà familiare.
L’elenco dei valori 2.0 proposti dalla ricerca non è sorprendente ma è coerente con quelli che indicavamo nelle conclusioni del post HR 2.0? Una social media strategy per le risorse umane. Parte settima.Dalla famiglia professionale alla learning community. In sintesi: autorevolezza e non autorità (che conferma l’inevitabile superamento del modello Comando e Controllo ancora vigente nelle aziende pubbliche e private italiane, con conseguente impossibilità, quando anche si ha l’opportunità di inserirle in organico, di valorizzare persone che con questo modello sono del tutto incompatibili; autenticità delle relazioni online e offline; tensione alla co-creazione di valore, principio fondativo di qualsiasi Social Organization e pratica di lavoro collaborativo.
In conclusione, un testo che ha il merito di riassumere in maniera ordinata una serie di elementi di cui si discute molto sia online che offline. Per chi volesse saperne di più, l’appuntamento è per il 21 novembre con l’autore e alcuni rappresentanti di aziende fortemente coinvolte nelle interazioni con i giovani della Generazione 2.0 come Facebook e Coca Cola.