All’inizio degli anni ‘20 T. S. Eliot lodava James Joyce per avere messo in soffitta il metodo narrativo, basato sulla consequenzialità logico-cronologica dei fatti, in favore del metodo mitico, ovvero un’organizzazione dei contenuti fondata sul mito come principio epistemologico in grado di unificare i più disparati frammenti culturali (sui quali si dovrebbe puntellare la società, a dire di Eliot).
La terra desolata si costruisce appunto sulla giustapposizione di citazioni letterarie, tempi storici e luoghi diversi tra loro, ma uniti da un’unica linea argomentativa. È così che la guerra di Milazzo non stride accanto alla Seconda Guerra Mondiale, per quanto crei stupore, perché entrambe rappresentano l’orrore della guerra e la morte.
Oggi la logica del database non ha solo superato il metodo mitico, ma il principio di causa ed effetto, le associazioni di idee e persino la poetica della sutura ipertestuale, di cui abbiamo già avuto modo di parlare. Nel campo dell’informatica un database consiste in una raccolta strutturata di dati che risultano essere facilmente e velocemente accessibili all’utente. O più genericamente si può dire che si tratta di una raccolta di informazioni organizzata secondo una determinata struttura, indipendentemente dal supporto utilizzato.
Nel 2001, Lev Manovich ha sostenuto in The Language of New Media che il database è una nuova forma culturale della società dell’informazione,
“a new metaphor that we use to conceptualize individual and collective cultural memory, a collection of documents or objects, and other phenomena and experience.”
Con questa asserzione egli intendeva dirci che la mente umana può essere intesa come un database, proprio come un archivio di dati cartaceo o digitale, e che l’identità della soggettività contemporanea è fatta di dati esperienziali, sensoriali, mediali che si raccolgono (in sovrabbondanza, dico io!) nella nostra memoria. E ancora afferma:
Indeed, if after the death of God (Nietzsche), the end of grand narratives of Enlightenment (Lyotard), and the arrival of the Web (Tim Berners-Lee), the world appears to us as an endless and unstructured collection of images, texts, and other data records, it is only appropriate that we would want to develop a poetics, aesthetics and ethics of this database.
La letteratura digitale non poteva che accogliere la sfida dell’estetica del DB. Sommariamente mi sento di dire che mentre il DB consiste in un corpus strutturato di dati e informazioni, una narrazione è una prassi che collega dati e informazioni insieme. Per Manovich, la narrazione è l’interconnessione di testo, storia e fabula, attore e narratore, tanto da creare una struttura in cui troviamo un inizio, un punto centrale e una risoluzione delle vicende. Per lui DB e narrazione sono due forme culturali concorrenti e antitetiche che esistono da sempre, tanto che i Greci conoscevano l’epopea e le forme enciclopediche come la satira menippea.
Per Marsha Kinder, invece, il database in ambito letterario mostra di cosa ha bisogno un autore quando inizia a scrivere un’opera: vale a dire le informazioni sul luogo, l’epoca, i personaggi, i mezzi di comunicazione in uso, la rappresentazione di un certo tema nelle arti. Le narrazioni, in cui chi narra fa prevalere questo aspetto creativo, vengono da lei definite database narratives. Non a caso la Kinder è a capo di un progetto realizzato presso l’Università della Southern California – il Labyrinth Project – che ha dato vita ad alcuni esempi di narrazione incentrate sul dialogo tra il linguaggio immersivo del cinema, l’interattività e le strutture dell’archivio proprie dei media digitali.
Algoritmo, lessia, collegamento, evento, ipertesto, cyber-testo: il DB non sembra aderire ad alcun modello finora analizzato. Di sicuro esso non si caratterizza per l’accadere di eventi inaspettati o per la generazione di testi, al contrario esso funziona solo quando è l’utente che lo attiva lanciando una ricerca attraverso un’interfaccia.
Ma ancora più ampia è la distanza che lo separa dall’ipertesto: innanzitutto il DB è strutturato attorno a particolari categorie logiche di catalogazione delle informazioni, ma le voci contenute nell’archivio non sono collegate tra loro come le lessie dai links. Esistono relazioni, ma non collegamenti. Inoltre, il lettore dell’ipertesto decide come percorrerlo tra un numero finito di possibilità indotte dalla sua curiosità o dal creatore dell’opera, mentre nel DB la scelta avviene attraverso una query che può portare ovunque tra le informazioni.
Se nell’ipertesto esiste un numero (più o meno) alto di possibili percorsi individuabili dall’autore, nel DB non esistono percorsi, ma frammenti di discorsi potenziali suggeriti dalle informazioni in esso contenute. Tuttavia, è sempre compito del lettore trovare dei collegamenti ideali tra tali frammenti, e se non lo fa per lui sarà come osservare il cielo stellato senza sapere alcunché di astronomia: non riuscirà a trovare un ordine di riferimento o una logica di organizzazione e quindi una storia. Se nel caso della poesia dadaista o nei cut-ups di Burroughs il testo finale aveva subìto un processo di montaggio nel momento della creazione, il DB raccoglie elementi di vario tipo per creare qualcosa di nuovo che non è ipotizzabile a priori.
Immaginate un autore che prima di iniziare a scrivere un romanzo raccoglie informazioni e poi ne sceglie solo alcune da includere nella sua narrazione abbandonando tutte quelle che egli considera superflue e che non saranno mai conosciute dal lettore: ebbene, il DB conserva tutte le premesse iniziali e lascia al lettore il lavoro di selezionare e combinare il materiale. Ovviamente le categorie della fabula e dell’intreccio, del narratore e del personaggio, della struttura in tre atti, delle unità di tempo, di luogo e di azione, dei modelli inventivi, e così via sono tutti rimessi in discussione rivelando implicitamente come la diegesi tradizionale non sia ‘naturale’, bensì un costrutto arbitrario derivato dalla tradizione e dalla inventio. In questa prospettiva, emerge come ogni narrazione sia una costruzione ideologica a partire da dati raccolti nella nostra mente come in un database.
Tra i progetti del Labyrinth Project vorrei raccontarvi di Bleeding Through. Layers of Los Angeles 1920-1986 di Norman Klein. Cercare una possibile trama in un DB equivale a un’attività investigativa: il lettore come il detective vuole sapere cosa è successo e come è successo. All’investigazione è sottesa quella che i letterati chiamano il “piacere della trama”, ossia la ricostruzione di una storia in cui il ruolo dell’investigatore è quello di cucire insieme le informazioni che riesce a trovare congiuntamente alle prove. Quello che vi propongo è una detective story costruita sulla sovrapposizione di livelli di informazione.
L’opera è costituita da un libro e da un DVD. Nel primo un detective pagato da Norman Klein ha il compito di indagare su Molly, una donna che è arrivata a Los Angeles negli anni ’20 dalla provincia americana e che nella sua vita si è sposata due volte. Entrambi i suoi mariti sono spariti: Jack svanisce nel nulla insieme a un sacco di soldi, Walt viene ritrovato assassinato sulle rive del fiume. In entrambi i casi la polizia sospetta e indaga su Molly, ma non vengono trovate prove contro di lei che non può quindi essere ritenuta responsabile. Attualmente però la donna è scomparsa: una sera si veste come se dovesse andare al mattino a lavorare e sparisce. Tutta la narrazione è all’insegna dell’indeterminatezza e al detective spetta il compito di raccogliere testimonianze, informazioni dagli archivi della polizia e dei giornali dell’epoca per ricostruire la vicenda del passato e per ritrovare la donna. A un certo punto il detective dice che ha raccolto tanto materiale da riempire un DVD e che la sua mente è talmente piena di dati e informazioni da sentirsi come un database.
Passando al DVD si vede come con una grafica altamente raffinata il materiale raccolto ci viene proposto proprio sotto forma di database. Il DVD contiene circa 1000 item tra immagini, filmati, articoli di giornale scannerizzati, che il computer fa emergere secondo un algoritmo (questo non è sparito!) definito dai programmatori. Ogni volta che si apre il programma, solo una ventina di questi documenti vengono selezioni per ciascun capitolo, come dire che ogni volta l’utente troverà ‘testi’ diversi o gli stessi messi in un ordine diverso.
Il materiale è organizzato in tre sezioni e in successivi capitoli proprio come un libro: nella prima sono raccolti sette momenti importanti nella vita di Molly e può essere intesa come un docu-fictional archive in quanto presenta numerose immagini e filmati d’epoca; la seconda vede la vita della protagonista contestualizzata, per cui altri personaggi che Molly conosceva o di cui conosceva l’esistenza, articoli di giornale (soprattutto di cronaca nera e mondana) e documenti rendono la città di Los Angeles intelligibile; nella terza sezione abbiamo un collegamento al presente narrativo – il 1986 – e sono contenuti mappe, trailer di film e documenti relativi a ciò che Molly non ha mai notato o che ha dimenticato o non ha potuto vedere.
Klein dice di raccogliere qui ciò che solitamente deve essere cancellato per lasciare spazio alla leggibilità, ovvero tutte quelle informazioni che un autore seleziona in nome di una ricostruzione narrativa della storia. In questa ultima parte è soprattutto il cinema hollywoodiano che domina attraverso spezzoni di famosi film gialli o di azione. Anziché andare alla ricerca di prove, l’intento dell’investigatore è quello di ricreare lo state of mind della protagonista, il contesto sociale, ideologico e culturale in cui potrebbe avere maturato i suoi crimini.
Nel tentativo di ricostruire la città di Los Angeles, Klein si avvale delle bleed-through images, vale a dire di immagini storiche dei quartieri della città americana che si dissolvono in fotografie del presente prese dalla stessa angolatura (qui un video in quicktime). Come spiegavo altrove, il medium digitale permette allo spettatore, come in un cold case, di sovrapporre al presente il setting ‘originale’ dell’azione di Molly, così che le immagini dimenticate o cancellate del luogo riprendono vita come memento per ridare consistenza al personaggio. Klein afferma:
“We’re a civilization of layers. We no longer think in montage and collage; we multitask in layers more and more. (…) When we walk along the street we have multitasking phones and electronics.” The computer desktop is another example of that layering as is the ticker of news that scrolls across the bottom of TV broadcasts.[1]
Il database in cui sono raccolte una molteplicità di fotografie ci permettono di investigare tra molteplici livelli di informazione e osservare in profondità la storia anche oltre i limiti logici e cronologici. Le informazioni tratte da archivi storici e le interviste ai protagonisti delle vicende sono da considerarsi come livelli diversi di stati di consapevolezza sulla città e su Molly; essi rappresentano relazioni diverse che si sono stabilite tra soggetti e oggetti, cittadini e Los Angeles. L’autore ci sta forse dicendo che se esiste una verità sulla protagonista, la dobbiamo ricercare tra tutte le possibili verità di ogni possibile abitante della città. I livelli, che siamo abituati ad usare con Photoshop per l’elaborazione delle immagini o le tracce del montaggio video, diventano uno strumento cognitivo per pervenire alla conoscenza. Non più il LINK quindi, ma il LIVELLO domina la narrazione nel DB.
L’esperienza linguistica della lettura del libro viene sostituita dall’immersione sensoriale nel DVD. Il lettore, oltre ad avere una consapevolezza metacritica sulla costruzione della storia, acquisisce una dimensione percettiva dell’informazione. Il nostro corpo diventa un’ancora cognitiva che estende il corpo di Molly oltre il tempo e lo spazio
Dal punto di vista della detective story, peraltro, la sovrapposizione dei livelli ci aiuta a superare gli oggettivi limiti della inattendibilità del testimone oculare, ma ci lega a una narrazione aperta, fatta di pause e priva di soluzioni. ‘Aporia’ è una parola chiave per Norman Klein proprio perché apre la strada al disorientamento e a tutte le possibili certezze e a tutte le possibili verità e storie. Navigando il DVD, la percezione è quella di trovarsi nel mezzo di una storia che non finisce mai, di aver sempre nuovo materiale da scoprire. In chiave assolutamente postmoderna, non viene suggerita alcuna verità su Molly perché sono possibili solo le molteplici interpretazioni della storia da parte di ciascun lettore. L’unica certezza ontologica è data dall’esperienza di fruizione dell’opera, anche se non si può pervenire ad alcuna certezza epistemologica. Una eccedenza del significato del testo diventa il valore del livello attualizzato dal database.
[1] G.Helfand, “Read Only Memory. A New interactive DVD mines provocative layers of storytelling”, Special to
SF Gate, Thursday, September 18, 2003, http://www.sfgate.com/technology/cultural/ (retrieved March 2011).