La fine delle quattro mura

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Antonio Tursi, Politica 2.0. Blog, Facebook, WikiLeaks: ripensare la sfera pubblica (Mimesis, Milano, 2011, pp. 200, euro 16, pref. S. Rodotà).

 

Farsi vedere o della pubblicizzazione del privato

 

Nella tarda modernità del mondo globalizzato, nello scenario mediale delle reti televisive e telematiche, l’opposizione tra sfera privata e sfera pubblica, tra l’homme e le citoyen non risponde più a società che assistono a una compenetrazione tra ciò che è privato e ciò che è pubblico. Nella nostra contemporaneità, infatti, è possibile cogliere numerosi fenomeni che manifestano due processi convergenti definibili rispettivamente come pubblicizzazione del privato e privatizzazione del pubblico.

Ormai con una certa regolarità riceviamo email da parte di amici – dunque persone conosciute e affidabili – che ci invitano a iscriverci a uno dei vari social network. Ci siamo così iscritti a Facebook, MySpace, hi5, LinkedIn, Badoo eccetera. Abbiamo ritrovato nostri vecchi amici o ne abbiamo trovato di nuovi, con costoro ci aggiorniamo e meglio conosciamo, ci teniamo in contatto, chiacchieriamo.

Questi spazi, con caratteristiche e finalità diverse, hanno in comune due elementi: in primo luogo, ci invitano a parlare di noi, a metterci in scena attraverso foto, testi, suoni; su questa base, in secondo luogo, ci fanno entrare in contatto con altri. Facebook, fondata da Mark Zuckerberg nel 2004, è forse il più interessante tra essi se non altro per i suoi oltre cinquecento milioni di utenti e quasi tre miliardi di foto in continua crescita. Come gli altri social network, anche Facebook è un’applicazione web che ci permette di mostrare noi stessi e di connetterci con altri, di sperimentare dunque una doppia prospettiva “di fare parte di un gruppo senza smarrire completamente la [nostra] identità; di avere un’identità accresciuta senza perdere il senso del gruppo”, come segnalano Susca e de Kerckhove. Accresciuta, infatti, proprio dagli interventi degli altri. In Facebook, la nostra identità funziona insieme alle sue relazioni, alle novità provenienti dai nostri amici.

Qui lo spettacolo siamo noi e i nostri amici. Mostriamo al mondo intero gli aspetti più effimeri e ordinari della nostra esistenza quotidiana, condividiamo quelle che qualcuno non esiterebbe a chiamare banalità. Mettiamo in mostra ciò che precedentemente rimaneva chiuso in casa, protetto dalle mura della nostra intimità. Queste mura sono state definitamene abbattute da questi strumenti di condivisione delle nostre esperienze sentimentali, dei nostri viaggi, delle faccende della nostra scuola e della nostra famiglia. I piccoli banali frammenti di vita quotidiana messi insieme generano un fenomeno aggregato, una narrazione continua, un ambient awareness: ci ritroviamo in una gigantesca festa nella quale siamo continuamente aggiornati su tutto ciò che succede agli altri partecipanti.

Questo mostrare la nostra faccia sullo schermo di Facebook rientra nella più ampia tendenza, riscontrabile da qualche decennio, descritta dall’espressione pubblicizzazione del privato. Se osserviamo la sfera della famiglia non è necessario neppure prendere in considerazione gli effetti degli ultimi ritrovati tecnologici, per affermare che da diverso tempo la sfera dell’intimità è esplosa e che ciò che vi era racchiuso è stato messo in vetrina. Già la televisione ha infatti segnato una riformulazione dei modelli di intimità all’insegna della pubblicizzazione del privato, infrangendo il confine moderno tra sfera privata e sfera pubblica. Con la televisione nessuno, neppure il borghese, può rinserrarsi in casa, per poi decidere di uscire. Quelle mura che lo confortavano nella sua intimità sono state letteralmente abbattute dal piccolo schermo televisivo e ancor più dal monitor del computer.

Limitandoci al passaggio tra Ventesimo e Ventunesimo secolo, possiamo segnalare numerosi esempi di pubblicizzazione del privato. Basta guardare la programmazione televisiva nostrana piena di Grandi fratelli, Isole dei non più famosi, Veri amori, Uomini e donne e via di questo passo, per cogliere una dinamica esplosiva rispetto all’intimità della sfera privata moderna. Questa tendenza è proseguita e si è approfondita con le reti telematiche e le loro ultime applicazioni. Tra le varie funzioni svolte dai blog, per esempio, ve ne sono alcune che mostrano chiaramente questa tendenza: se alcuni dei maggiori blog rappresentano arene di dibattito e accreditano perciò la blogosfera come nuova sfera pubblica, altri – la maggior parte – sono invece diari personali, in cui il blogger mostra se stesso, le sue storie private, al pubblico globale degli internauti che possono offrire in cambio i loro commenti. Una modalità particolarmente efficace di esporsi in pubblico è rappresentata dai video realizzati in casa e messi a disposizione tramite YouTube. In ultimo, sono emersi Facebook e gli altri sociali network. Queste sono tutte piattaforme attraverso le quali fatti, circostanze, persino pensieri intimi sono pubblicati in Rete dalla nostra camera da letto e accessibili a un pubblico globale.

La casa, il luogo più intimo della sfera privata, è esplosa nell’epoca televisiva e oggi reti telematiche, telefoni mobili, schermi al plasma rappresentano il nostro ambiente, ci circondano in ogni luogo e in ogni tempo, senza più differenza tra interno e esterno.

 

Bolle nello spazio comune o della privatizzazione del pubblico

La confusione contemporanea tra ambito privato e ambito pubblico è dovuta anche a un altro processo, speculare a quello sopra descritto: assistiamo infatti anche a una privatizzazione del pubblico.

Ci capita spesso di essere in compagnia, di essere in un luogo di ritrovo aperto al pubblico, oppure di viaggiare su mezzi pubblici e, nello stesso tempo, di far parte di uno spazio-tempo diverso, uno spazio-tempo non condiviso da chi ci circonda, precluso agli astanti, uno spazio-tempo che esclude chi sino a un attimo prima discuteva con noi. Ci appropriamo così dello spazio comune espropriandolo della sua funzione – appunto quella di mettere in comune, di farci entrare in relazione con gli altri – per immergerci nella bolla temporanea di una sfera privata che si attualizza in spazi e circostanze che mai avremmo potuto pensare legati a essa. In tal modo, ci dimentichiamo di tali spazi e circostanze per calarci in profondità nella relazione intima che stiamo intessendo. Tutto ciò è ben rappresentato da quelle emergenze istantanee e destinate a dissolversi assai presto, ma non per questo poco rilevanti, legate alle chiacchierate tramite il telefono mobile o agli scambi prolungati di short messages e foto digitali. In quei momenti, pur essendo in pubblico, ci comportiamo come se fossimo protetti da una bolla che da un lato esclude chi ci circonda, mentre dall’altro gli testimonia dell’appropriazione dello spazio comune per scopi privati.

Il meccanismo dell’appropriazione-esclusione non riguarda solo questi micro-eventi della nostra vita quotidiana, ma anche le coordinate più ampie che la inquadrano: osservando gli sviluppi urbanistici contemporanei, non si possono non cogliere le più macroscopiche conseguenze della tendenza ad appropriarsi dello spazio pubblico. Si costruiscono spazi di condivisione i cui accessi sono controllati a seconda delle esigenze private di coloro che ne hanno finanziato la costruzione. Ciò è dimostrato in modo peculiare dalle gated communities¸ dalle comunità recintate. Si creano cioè spazi privati di gruppo come risultato di una privatizzazione difensiva dello spazio. La metropoli moderna, crogiolo della sfera pubblica, rischia di diventare un insieme di spazi privati. E anche in questi processi le nuove tecnologie di informazione e comunicazione giocano un ruolo rilevante: senza le reti di videosorveglianza non si potrebbe affatto pensare l’edificazione delle cittadelle blindate. Le vie e le piazze delle nostre città sono disseminate di telecamere che definiscono un pervasivo regime di videosorveglianza. Da poco si è avuta notizia di dispositivi per la registrazione dei suoni, una specie di elettro-orecchio di Dioniso che vorrebbe definire a sua volta un’audiosorveglianza. Lo spazio ridotto a questo controllo audio-video rischia di perdere una caratteristica fondamentale dello spazio pubblico, la libertà di accesso.

L’ultimo ambito che vorremmo brevemente richiamare per dare conto della tendenza alla privatizzazione del pubblico riguarda la comunicazione politica. La televisione, prima, e i media digitali, poi, hanno dato scacco a una visione della politica come campo distaccato dalla vita quotidiana. Il politico si mostra nella sua privatezza per cercare un contatto con l’uomo ordinario. I fenomeni di personalizzazione della comunicazione politica si possono cogliere da diverso tempo e nei più diversi contesti: già Kennedy aveva abilmente saputo trasmettere un senso di intimità e di familiarità attraverso un uso pubblico delle sue vicende familiari. In piena epoca televisiva, Kennedy ha mostrato accortezza nell’utilizzare un linguaggio adatto alla televisione. Questo tipo di comunicazione politica si è intensificata ed estesa e forse proprio nell’Italia degli anni a cavallo del millennio ha raggiunto il suo apogeo con i successi privati (negli affari, nello sport, nel sesso) branditi da Berlusconi come veicoli primi di pubblicità. Oggi, però, la diffusione del web e in genere dei personal media ha segnato un importante cambiamento: il passaggio di mano del controllo di tali processi dal politico all’elettore. Da un po’ di tempo, infatti, lo stesso Berlusconi non riesce a gestire i rapporti tra le sue performance private e la sua immagine pubblica: dalle foto scattate nei bagni di Palazzo Grazioli alle barzellette “ rubate” da qualche passante, le tecnologie mobili hanno spostato la gestione della soglia tra scena e retroscena, dal tycoon dei media agli ordinari uomini della folla.

Antonio Tursi