Il grande giornale blasonato, il piccolo blog casalingo. Le grandi redazioni con telefoni che squillano e porte che sbattono; la scrivania personale in un appartamento privato. Orario di ufficio; scelta individuale. Gerarchia, autorità, formalismo; creatività, sregolatezza, casualità. Gli stereotipi sul giornalismo e il giornalista, tra carta e rete, si sono ormai solidificati. Ma il microgiornalismo locale sta rimescolando gli schemi.
Next Door Media è una società gestita da una coppia di coniugi che nel 2008 hanno fondato una catena di blog locali dopo che una notte hanno ascoltato casualmente sullo scanner della polizia la notizia di un grande incendio in un sobborgo di Seattle. I coniugi Bergman hanno filmato ore e ore l’intero sviluppo dell’incendio, dall’arrivo dei pompieri fino a dettagli come il recupero di alcuni gatti fuggiti sui tetti. Video ma anche foto, in quantità enormi, per descrivere i resoconti raccolti da praticamente chiunque fosse stato coinvolto da questo incidente. E poi la ricostruzione, i risarcimenti, il calcolo dei danni, il ritorno alla vita quotidiana. Adesso Next Door Media non è stata integrata nei media tradizionali, anche online. Li ha superati. I vecchi giornali cartacei sono stati stracciati e la loro arcaica visione dell’informazione è stata cestinata. Sono i blog professionali, arricchiti da personale a tempo pieno, che si sono stabilmente insediati sul piano delle fonti d’informazione microlocale.
C’era una volta in cui il giornalismo professionale, mainstream, che andava online ma semplicemente, anzi, miseramente, duplicando i contenuti offline, aveva iniziato a pubblicare i blog. Ma stavano in seconda fila. Prima le grandi notizie ufficiali. Poi i blog coi loro curiosi punti di vista. Ora non è più così. Questa specie di “apartheid” informativa si esaurisce quando giornalisti e blogger operano sullo stesso livello. Sul locale e sublocale il secondo acquista un vantaggio competitivo imbattibile. Non esiste più il cronista “appiedato” con penna e taccuino. Si chiama “River” e nome non fu più appropriato: CNET offre un’ondata, letteralmente, cioè un flusso continuo di informazioni attinte da twitter, youtube, facebook, blog… La legge è chiara: un tweet vale quanto un articolo. Troppo ardito? E il necessario controllo sulla qualità, l’attendibilità, la conformità a parametri minimi di professionalità? Ecco la trappola: unificare ogni livello di giornalismo. E’ chiaro che il giornalismo politico, dove contano più i messaggi semi-occulti e le parole in codice rispetto ai contenuti espliciti, non è in procinto di rivoluzionarsi online. Ma l’informazione microlocale non ha bisogno di vati e sacerdoti.
GABRIELE CAZZULINI