Le due vergini di Antonello

Fisiopatognomoscopia XIII

Palermo Antonello da Messina.Vergine Annunziata, Palermo, Galleria Nazionale di Palazzo Abatellis

Di Piero Trupia

Antonello da Messina fu ansioso di apprendere, apprese molto e diffuse liberalmente le sue conoscenze nell’ambiente circostante, in particolare a Venezia dove visse alcuni anni, lavorò e fu ammirato.

Aveva appreso più a Napoli che non a Bruges, dove senza adeguata documentazione lo fa presente il Vasari, la nuova tecnica fiamminga della pittura a olio. Non si rifece però ai fiamminghi nella composizione e nella resa figurativa; restò fedele alla tradizione italica di Piero Della Francesca, dell’Angelico e del Mantegna. Anticipò il Rinascimento per la monumentalità della figura umana e la compostezza del paesaggio. Dei fiamminghi rifiutò la luce fredda e perlacea e mai si staccò da quella italiana calda, solare e che bagna gli oggetti, configurandoli. Luce che manca nella copia apocrifa veneziana dell’Annunziata di Palermo che è rigida nel manto e nel viso, i tratti marcati, le labbra serrate e non distese come nell’originale.

Questa Annunziata di Palermo (1474 o 76) si distacca nettamente dalle altre precedenti versioni sul tema di Antonello, in particolare dalla frequentemente citata nel museo di Monaco di Baviera, del 1470 o 73, e di quella nel museo nazionale di Siracusa del 1474.

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Il netto distacco dell’Annunziata di Palermo è tematico, come se l’artista, in quel breve volgere di anni, avesse maturato un’interpretazione nuova ed eterodossa dell’annuncio a Maria.

Nelle due opere precedenti l’evento è pienamente accettato. Nell’opera di Siracusa serenamente, con sgomento in quella di Monaco. La versione evangelica (Luca, 1, 26-55) è di piena accettazione, dopo un iniziale stupore per le sue modalità realizzative (Come può accadere, se non conosco uomo?).

Nell’opera di Monaco Maria ha la bocca semiaperta nell’espressione del turbamento, il collo è contratto e le mani sono chiuse in croce sul petto a protezione. Nell’opera di Siracusa le mani sono ugualmente sul petto, ma non sono contratte; il viso è sereno e l’espressione è di sottile compiacimento.

Totalmente nuova l’impostazione dell’Annunziata di Palermo. Vediamo qui una donna consapevole della portata, anche sociale, dell’evento e che su di esso riflette. Lo sguardo è fisicamente rivolto all’angelo (fuori scena), psichicamente ad se ipsa, nella considerazione del proprio stesso pensiero.

Nella composizione sono leggibili due piani drammaturgici, ognuno dei quali coerente nella corrispondenza isotopica interna, in opposizione allotopica con l’altro.

Un piano è quello della riflessiva accettazione. Dal volto che mostra il lavorio interiore nell’elaborazione della risposta, alla mano sinistra che, contrariamente alla versione monacense, chiude senza affanno il mantello. Il mantello è qui significativamente non serrato sul petto così come è semiaperto nella versione siracusana.

Il volto dell’Annunziata di Palermo è appena mosso da un fuggevole sorriso di compiaciuta accettazione. Questa catena allotopica dell’accettazione prosegue con il velo che in alto inquadra geometricamente il volto e si chiude con la stabilità del leggio in primo piano che risponde alla stabilità monumentale della figura.

Il secondo piano drammaturgico si apre con il velo che in basso viene violentemente squarciato dalla mano destra che, aperta, lacera lo spazio e arresta l’annunciatore. In corrispondenza, la pergamena di una pagina del libro, aperto sul leggio, si erge a ferire lo spazio.

Per Antonello questa Annunciazione è tutt’altro che un evento di pace. Aveva in mente, forse, le parole di Gesù: “Non sono venuto a portare la pace ma la spada” (Mt, 10, 37). L’annuncio divide una coscienza e richiede un drammatico si. Tuttavia questa Maria di Antonello che risponde positivamente, non è una donna che si fa guidare da costume, tradizione e religione, ma dalla propria coscienza e da una matura intelligenza dell’evento.

  • Piero Trupia |

    Ad Angela:
    Abbiamo incontrato più di una volta, in questi commenti sull’arte, pittori e scultori, non solo sapienti artefici, ma anche filosofi e teologi. Come stupire, se l’arte è una via per incontrare la verità delle-nelle cose, anche le ordinarie, anche i “triti fatti” (Montale), anche le piccole cose (le myricae di Pascoli)?
    C’è una differenza con il filosofo e lo scienziato, orientati all’universalità e alla generalità. L’artista fa parlare gli esistenti di cui siamo circondati, ne riscatta il valore d’essere, mostrando la loro metessi. Questa è la missione dell’arte.
    Quanto all’Annnunziata consapevole di Palermo, sorprende che nel ‘400 un pittore abbia concepito la santità come Fiat, il quale, nella modalità del congiuntivo ottativo, ha valore di desiderio e di volontà, pertanto di basica consapevolezza. Fino alla soglia dei nostri tempi, la santità era vista invece come predeterminazione, il S. Luigi che, nell’agiografia, ogni venerdì rifiutava il seno materno per il rituale digiuno.

  • Angela Ales Bello |

    Antonello “femminista ” ante litteram? Interessante la tesi di Piero sulla rappresentazione del “fiat” di Maria nell’Annuziata di Palermo come segno di consapevole accettazione. Questa è l’interpretazione che emerge nella teologia contemporanea, soprattutto in quella delle donne teologhe. Anzi si può osservare che il termine “fiat” entra nel linguaggio filosofico dei fenomenologhi del Novecento, Edmund Husserl ed Edith Stein, per indicare l’atto umano, di ogni essere umano, caratterizzato da consapevolezza interiore. L’origine lontana è certamente il “fiat” di Maria, che è sempre stato avvertito, anche se non sempre espresso, come l’accettazione dell’Incarnazione, non un’ accettazione paassiva, ma volontaria. Anzi le due figure di Antonello potrebbero rappresentare i due momenti, quello dello stupore – come nell’Annuciazione di Lorenzo Lotto già commentata da Trupia – e quello della decisione autonoma. Questa la grandezza teologoco-pittorica di Antonello! L’arte è tale se esprime il vero.

  • Piero Trupia |

    A Barbara:
    Tu hai avvertito l’impatto dell’opera. L’Annunziata di Palermo ti ha parlato. Per sapere cosa ti ha detto è necessario atttraversare la foresta dei segni. In una grande opera nessuno è in-significante; nessuno è ridondante.

  • Barbara |

    C’è una difficoltà del mezzo: non consente una visione sincronica. La carta è più friendly da questo punto di vista.
    Mi pongo una domanda: il popolo degli internauti è in grado di sostare, tornare indietro, cercare il riscontro? o vuole catturare immediatamente il senso, un senso?
    Personalmente non frequento i blog; sono forse prigioniera della carta. Tanta. Anche se, sulla rete, posso trovare notizie e dati immediatamente utilizzabili. Tuttavia, essendomi imbattuta per caso in questo blog, e attratta forse dall’immagine dell’Annunziata di Palermo – che tutti noi abbiamo dentro – ho goduto e assimilato il commento, malgrado la difficoltà tecnica dell’argomento.

  • Piero Trupia |

    A Marcello: Grazie dell’interessamento e dell’apprezzamento.

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