di Piero Trupia
Euristica ed ermeneutica della figura X
Da lungo tempo m’interesso a Giorgio Morandi e alla sue misteriose bottiglie, caraffe, lumi e altri insignificanti oggetti domestici. Credo di avere afferrato il senso di queste nature morte, di queste Myricae. Non così per l’altra sua produzione, i paesaggi. A parte il cortiletto e i tetti di casa sua in via Fondazza a Bologna, questi venivano ripresi nelle campagne di Grizzana, preappennini, 547 m. s.l.m., poche centinaia di abitanti. Colà le poche case sparse avevano la gentilezza e la timida facondia dell’architettura spontanea contadina ed è proprio a Grizzana, dove soggiornò più a lungo durante la guerra, che Morandi ebbe la rivelazione del vero significato di quel paesaggio, emblematico dell’intero mondo. Sono riuscito a coglierlo nella rappresentazione pittorica che egli ne dà, solo dopo aver letto gli otto versi del contemporaneo Montale, anch’egli lucidamente disincantato sulla vera natura delle cose al di là dell’apparenza.
Forse un mattino andando in un’aria di vetro, / arida, rivolgendomi, vedrò compiersi il miracolo: /
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro / di me, con un terrore d’ubriaco. / Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto / alberi case colli per l’inganno consueto. / Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto / tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto. (Eugenio Montale)
Morandi, ignaro o consapevole di questa visione montaliana, ebbe la stessa rivelazione, in modo intuitivo o concettuale non rileva. Non poteva tuttavia rappresentare pittoricamente il nulla e il vuoto. Lo fece accecando e ammutolendo alberi case colli. Questo il senso delle sue case cieche, dei suoi alberi scheletro ed ombra, delle sue colline mute.
Montale e Morandi rappresentano per immagini il nichilismo della cultura europea succeduto alla ragione forte hegeliana e post. Quel nichilismo che Heidegger ha balbettato filosoficamente e che invano, a fine carriera, cercò di cogliere nella poesia.