Un fascio di buio illumina la coscienza

Immagine1 Di Piero Trupia

Fisiopatognomoscopia IX

Il lettore potrà chiedersi quali sono i miei titoli per fare la critica dei critici. Domanda legittima, alla quale rispondo.

Da linguista faccio una lettura dell’opera come fosse un testo, individuando i segni significanti e ipotizzando un significato (uno tra i possibili). Non proietto sull’opera giudizi esterni al testo, di estetica generale, né faccio ipotesi o affermazioni perentorie sui sentimenti dell’autore e su quelli che l’opera dovrebbe suscitare nello spettatore. Circa l’autore, il suo sentire vale e rileva, soltanto se lo traduce in segni significanti; circa lo spettatore, nessuno può ipotecarne la reazione.

I critici sono preziosi nell’individuare il contesto dell’opera (committenza, destinazione ecc.), la tecnica elaborativi e la scrittura, l’appartenenza a scuole e stili, le ascendenze nella storia dell’arte. Circa il significato, la maggioranza dei critici o resta nel generico, con giudizi anche validi, ma che si attagliano a Giotto e a Picasso indifferentemente, o ci addita la propria risposta emotiva. Scarsa attenzione al significato oggettivo, al messaggio dell’opera.

La lettura linguistico-testuale che propongo, credo sia una buona guida per quello spettatore, convitato di pietra, regolarmente ignorato nel discorso sull’arte e sulle opere.

Ho fra le mani il volume Caravaggio, edizioni SKIRA, con presentazione di Vittorio Sgarbi e due scritti d Francesca Marini.

Nel suo commento alla Vocazione di Matteo (1598-1600, Roma, San Luigi dei Francesi), Sgarbi ci dice che nell’ufficio della gabella di Matteo “Improvvisamente accade qualcosa […] annunciata da una luce […]. Gesù indica […] Matteo […]. Caravaggio fa vibrare nella penombra, rasentata dal fascio di luce, la mano di Cristo […] E la teatralità è resa ancora più tangibile dall’eliminazione di ogni tipo di luminosità diffusa. Pur di poter manovrare liberamente queste lame di luce…”

Stupisce come si possa vedere ciò che si vuole in un’opera che pure si ha sotto gli occhi. Sgarbi vuole in effetti affermare un proprio discorso che in parte prescinde dall’opera. Non è infondato, ma solo quando parla di Caravaggio in generale. Con la notazione però che le sue argomentazioni sono tali che potrebbero riguardare altri autori.

Personalmente, non essendo un critico ma un linguista, guardo l’opera e descrivo quello che vedo, cercando di interpretare i segni significanti.

Nella Vocazione vedo l’interno di un ufficio pervaso da una luce grigio-giallastra. A una estremità del tavolo da lavoro, due impiegati sono occupati a contare delle monete. L’anziano porta il pince-nez e controlla dall’alto la conta, Il giovane, dalle mani adunche, maneggia le monete. Entrambi ignorano quanto succede intorno e non immaginano l’imminente perdita del titolare dell’ufficio. Al contrario l’armigero osserva i nuovi venuti e spinge con la mano sullo sgabello, pronto ad alzarsi per scacciare gli importuni, non appena ne abbia individuato la condizione. Sull’altro lato del tavolo un uomo di mezza età, Matteo, e un giovinetto che gli appoggia un braccio sulla spalla. A destra, i visitatori, Gesù e Pietro.

Pietro indica Matteo a Gesù e Gesù stende il braccio  verso di lui, il dito indice leggermente arcuato, la mano piegata verso il basso sembra fluttuare libera nell’aria. È l’autonomia della potenza convocativa.

Matteo guarda Gesù intensamente, le sopraciglia inarcate, gli occhi sbarrati; punta il dito contro il proprio petto a indicare, incredulo, se stesso. Caravaggio scarta la soluzione oleografica della risposta immediata. Ci sono precedenti. L’Annunziata di Antonello a Palermo, che lancia la mano aperta nello spazio per arrestare l’evento, e quella di Lorenzo Lotto a Recanati che si stringe il velo sul petto come a proteggersi.

Il giovinetto, il viso radiante di luce, guarda affascinato Gesù e coglie la straordinarietà dell’evento.

L’opera è caratterizzata da un’isotopia e da un’allotopia della luce. Nella sua presenza o assenza la luce sottolinea accettazione o disinteresse. Luce sul volto e sulla mano di Gesù, luce sul volto e sulla mano di Matteo, luce sul volto del giovinetto. Ma non sulla mano: non è chiamato!

Assenza di luce sui volti degli altri tre personaggi.

P.S. Chi può, vada a vedere l’originale. Nessuna riproduzione rende il colore e la sua semantica.

Una linea di forza si delinea tra la mano del chiamante e quella del chiamato. Non risponde al momento, ma risponderà. È una citazione non letterale della congiunzione tra la mano del Creatore e quella di Adamo della Cappella Sistina.

Il colpo registico della messa in scena è il fascio di buio denso che dall’esterno irrompe nell’ambiente e nel quale Gesù è immerso. È la tenebra del mondo sulla quale si afferma la luce divina della creazione (Genesi, 1, 2-5), della grazia (Giov. 1, 4-5), della chiamata (Matt., 9, 9)

Sgarbi nella sua presentazione (op.cit., p. 11) non vede il fascio di buio. Vede soltanto un “fascio di luce”, “lame di luce”

  • Piero Trupia |

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