L’amore profano è inguantato

TizianoEuristica ed ermeneutica della figura IV, di Piero Trupia

L’Amor Sacro e l’Amor Profano non è il titolo apposto dall’ autore, Tiziano Vecellio (1488-1576) ma dal Vasi nel 1792, ultimo di una lunga serie, tra i quali, il più trasparente, Beltà Ornata e Beltà Disornata (Francucci, 1613).

L’opera è del 1515 o 16, 118×279, olio su tela, alla Galleria Borghese di Roma.

Il soggetto potrebbe essere ispirato al Sogno di Poliphilo di Francesco Colonna, principe di Palestrina, stampato nel 1499 da Aldo Manuzio a Venezia con 171 incisioni. Una eccelsa opera tipografica.

Il dipinto viene indicato come celebrativo delle nozze del Gran Cancelliere di Venezia Niccolò Aurelio e più di un segno accredita questa versione. È la narrazione di un processo di trasformazione, in parte poietico (creazione umana), in parte alchemico, risultante dalla fusione di elementi naturali diversi.

L’amor sacro è quello nuziale rappresentato dalla figura ignuda; l’amor profano quello rappresentato dalla figura sontuosamente e artificiosamente vestita.

Il nudo è verità e innocenza, l’ornato è artificio seduttorio: nasconde per attrarre, stimolando la fantasia. La sfida del matrimonio, nella sua sacralità istituzionale, è trasformare l’erotismo iniziale in affettività costante, mentre l’amor profano si accende nella passione e si spegne nel soddisfacimento. Questa è una delle possibili ricostruzioni del significato dell’opera.

La seduttrice è “sfrontata”. Guarda il mondo a fronte alta in un gesto di esibizione e di invito. È calzata e porta i guanti. Ciò che copre è premessa di un intenzionale, rinviato scoprire. Una delle due maniche è rosso porpora. Stimola la fantasia di un braccio tornito e prensile come indicato dalla coroncina di fiori stretta tra le dita. La mano sinistra poggia su una pisside che possiamo immaginare racchiuda aromi, balsami, unguenti.

I tre colori fondamentali del dipinto, presenti ugualmente nelle due figure, sono il bianco, il rosso, il nero; nella dottrina alchemica albedo, rubredo, nigredo. Mentre però nell’Amor Profano sono aggruppati e trattenuti sulla figura, nell’Amor Sacro sono aperti e dispiegati. Scoperto e vuoto è il piatto sul bordo del sarcofago-fontana, ugualmente aperta la pisside sorretta dalla mano sinistra della sposa. Con la fronte bassa ella guarda all’operare di Eros che, all’interno del bacino, mescola gli umori riversati dal piatto e che, miscelati, riemergono dal versatoio fallico della fontana e, come effluvio, dalla pisside in alto: un distillato affettivo delle iniziali e occasionali pulsioni.

Il paesaggio, dorato e non rosato del tramonto, presenta il castello-dimora della nuova coppia e, non casualmente, in primo piano, una coppia di conigli. Il maschio, vigile, a sinistra, la femmina, in attesa, a destra. Un simbolo augurale della fecondità del matrimonio.

Il passaggio, al tramonto, nell’attesa di un nuovo giorno, dall’amor profano, a sinistra, all’amor sacro, a destra, nella direzione della scrittura, è un addio al celibato del dedicatario Niccolò Aurelio.