Ora, leggere Platone è difficile, difficile è contestualizzare, inserirsi nella trama della lingua, nel dialogo e nei rapporti tra i personaggi, scovare ironie e dissimulazioni nei giochi delle finzioni, e quando ciò è relativamente compiuto spesso si scoprono profonde dissonanze tra il messaggio plausibile di un dialogo e quello altrettanto plausibile di un altro. Tali difficoltà aumentano quando si tratta di interpretare racconti e metafore, perché non si sa, letteralmente, in che misura prendere sul serio ciò che c’è scritto.
In qualsiasi discorso la difficoltà del simbolo, (ma ciò forse vale più in generale, e questo “più in generale” è un punto di estrema difficoltà teoretica, per il segno), consiste nella sua qualità di rinvio, che tende a non assumere la forma di una serie lineare, per quanto infinita, bensì quella di una struttura reticolare infinita, cioè di un infinito intensivo, per cui la qualità e quantità del rinvio difficilmente possono essere determinate e legalizzate da un punto di vista comprensivo. Si comprende quindi che se l’evento, tutto ciò che si presenta a ciò che chiamiamo coscienza, viene pensato come iscrizione (e non è facile intenderlo diversamente), allora il tema del rinvio diventa problema della disseminazione, o, in altro lessico, della semiosi indefinita. Tutto ciò ha a che fare con l’ombra, e precisamente con “l’ombra che sta al centro”.