Alla luce dell’ombra – 4

Nel “mito della caverna”, se consideriamo le parole che esprimono la struttura dell’analogia che il mito propone[1], possiamo notare come l’ombra sia intesa come punto zero del sapere e dell’orientamento, ignoranza della verità, errore e male, dal quale lo sguardo filosofico può, con fatica, emergere: «… da questi poi, volgendo lo sguardo alla luce delle stelle e della luna, potrà contemplare di notte i corpi celesti e il cielo più facilmente che durante il giorno il sole e la luce del sole. Alla fine, credo, potrà osservare e contemplare quale è veramente il sole, non le sue immagini nelle acque o su altra superficie, ma il sole in se stesso, nella regione che gli è propria»[1].

E’ disegnata così la speranza della filosofia: funzione di donazione di senso alla quale inestricabilmente si intrecciano tonalità affettivo-emotive di speranza e consolazione: filosofia come farmaco. Platone immagina dunque un itinerario formativo di cui ombra, margine della dimensione mimetica, e luce solare, condizione di possibilità della visione, sono gli estremi; e l’ombra è estremo perché il “quasi nulla” nell’ordine della conoscenza deve essere rappresentato da un “quasi nulla” nell’ordine dell’essere, situazione ontologica che appartiene all’immagine come tale, per quanto l’immagine ha a che fare con una potenza di derealizzazione, ma che l’ombra ulteriormente accenta.

Infatti, anche tra le immagini, che sono comunque complessi di colori e forme, l’ombra è una entità minore, e se l’immagine ha a che fare con l’assenza, l’ombra è strutturalmente assenza: assenza di luce, e dunque metafora di assenza di senso. La favola platonica costringe d’altro canto a notare come le ombre non importino, per essa, in quanto tali, ma per ciò che rappresentano: i prigionieri infatti non vedono le ombre in quanto ombre, e il tema che viene introdotto è quello dell’errore, un errore che, almeno superficialmente, sembra riguardare immediatamente il senso della vista e sembra quindi indicare le difficoltà della percezione sensibile e del conoscere connesso al corpo. Così la parentela ombra-errore partecipa alla serie metaforica ombra-oscurità-assenza-negativo-nulla-male, che prende avvio dalla domanda ontologica: le ombre che percepiamo sono enti? Se ente è tutto ciò che è principio e/o termine di attività, parrebbe di sì. Però sono enti la cui gestione teorica comporta alcune difficoltà.

4. continua

[1]  Sulla quale cfr. K. Geiser, Il paragone della caverna. Variazioni da Platone a oggi, Bibliopolis, Napoli, 1985, pp. 15-19. Sull’ombra in Platone cfr. S. Todes, Shadows in Knowledge: Plato’s Misunderstanding of Shadows

[2]  Rep. 516a

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