La straordinarietà del quotidiano

Lorenzo Fluxa ha fondato l’azienda Camper, produttore di calzature con sede nell’isola spagnola di Majorca, nel 1975, a soli 27 anni, rendendola subito internazionalmente famosa per la sua vocazione di azienda creativa, iconoclasta, e aperta alla scoperta del mondo.

La storia dell’azienda Camper risale però in realtà al 1877 quando il bisnonno di Lorenzo, Antonio, tornò da Northampton, in Inghilterra, allora capitale nella lavorazione del cuoio, con una macchina per fare le scarpe, facendo diventare nel giro di poco tempo la  piccola isola di Majorca leader nel mercato spagnolo, dove peraltro non c’era allora una grande esperienza nel settore. Il figlio di Antonio, anche lui Lorenzo, durante il periodo franchista sfruttò il potenziale turistico dell’isola per lanciare una agenzia di viaggi, Viajes Iberia, diventata ormai un colosso di 12.000 persone.

Elisabetta Pasini. Mi sembra che l’evoluzione costante della marca Camper nel suo percorso sin dal momento della sua nascita a metà degli anni ‘70, dietro l’apparente non intenzionalità delle scelte, nasconda tuttavia una linea guida molto precisa. Questo ha in qualche modo a che fare con il concetto di carisma, e in particolare con quello che tu intendi come carisma?

Lorenzo Fluxa. È vero, ripercorrendo la mia storia di questi anni mi sembra che tutto sia successo come una evoluzione naturale, senza un vero e proprio punto di vista economico o impresariale, seguendo  un modo di sentire più che un piano. Camper non ha mai anteposto il piano economico al progetto, ma ha sempre cercato di sviluppare un proprio concetto nel modo più autonomo possibile. Se c’è una critica che spesso si fa a Camper è che la sua dimensione economica potrebbe oggi essere più grande se avesse privilegiato scelte solo imprenditoriali.

E tuttavia oggi questo mi sembra un grande valore, una grande intuizione che abbiamo cercato di portare avanti con molta coerenza. Ritengo che oggi ridurre, piuttosto che crescere a dismisura, sia la grande scommessa del futuro, poiché ridurre significa diminuire la dipendenza da prodotti e materie prime che sono ormai sempre più chiaramente incompatibili con una idea di sviluppo sostenibile. I nuovi progetti che abbiamo sviluppato, come il Foodball e l’Hotel Camper, sono frutto della voglia di sperimentare nuove strade sui temi del riciclo e del rispetto per l’ambiente, sono fondati su principi di sostenibilità ambientale quali l’uso di tecnologie alternative – energia solare, sistemi di depurazione naturale dell’acqua, ristrutturazione e conservazione di stabili che fanno parte del patrimonio urbano -, sulla promozione di principi di alimentazione biologica, sulla declinazione del concetto di qualità della vita nelle grandi città e di un nuovo rapporto con il territorio. Ed è vero che la “filosofia del riciclo” fa parte da sempre del progetto Camper, anche se è cambiata nel tempo la sua declinazione e la sua interpretazione. Il Camaleon  delle origini era infatti una scarpa riciclata, anche se era figlia del riciclo dell’epoca che era quello della scarsità e dell’austerità, dettati dal fatto che non c’era nulla; il riciclo di oggi è invece figlio dell’abbondanza e rappresenta il prodotto di una società opulenta che ha la necessità di tornare a comprendere il valore essenziale delle cose.

Personalmente, tendo a dare molto valore al concetto di responsabilità di impresa. Il marketing accademico continua ad occuparsi di “etica dei processi”, penso invece che dovremmo parlare piuttosto di “etica dei concetti”, che significa fondamentalmente domandarsi cosa stiamo facendo in realtà in relazione al mondo che ci circonda. Etica dei concetti significa oggi cercare di dare valore al sogno utopico di una impresa che sappia, ad esempio, coniugare profit e non profit, una impresa redditiva ma compatibile con il tema della responsabilità sociale, che sappia coniugare il sogno della fondazione con la realtà del prodotto. L’idea di commercio etico mi è sempre sembrata un grande paradosso, poiché il commercio dovrebbe essere etico per definizione, e di fatto lo è per la maggior parte delle imprese. Forse può essere considerato utopico pensare di coniugare profit e non profit, tuttavia è oggi necessario se si vuole continuare a parlare di sviluppo.

Postato dalla personalità mutante di: Elisabetta Pasini