Molto blog, poca partecipazione

di Paolo Costa

Mi aggiungo alla nutrita lista di coloro che, in qualche modo, proclamano la morte del blog. Non sono il primo a sospettare che il blog sia defunto. E so, peraltro, che sollevare un dubbio simile proprio in questa sede rischia di essere irriverente, quasi blasfemo. A maggior ragione nel momento in cui la cultura del blogging sembra aver raggiunto livelli inauditi di popolarità (Technorati.com censiva, nel dicembre 2007, oltre 112 milioni di blog nel mondo). Eppure stiamo scoprendo che la posizione dei blog nel panorama dei media sociali, ammesso che ne abbiano ricoperta una in passato, si sta oggi insterilendo.

Non che la cosiddetta blogosfera, dietro all’apparente innocenza che deriva dallo stile informale e dal carattere personale dei contenuti, sia priva di un suo impatto sociale. Anzi, nel loro rappresentare nient’altro che se stessi, i blogger «azzerano le strutture centralizzate di senso», come sostiene Geert Lovink nel suo recente Zero Comments (Milano, Bruno Mondadori, 2008). I blog rendono sempre meno potenti i cosiddetti gatekeepers: le autorità, dal Papa ai partiti alla stampa, che «non influenzano più la nostra visione del mondo» (ibid.). Quindi hanno un effetto sociale – a seconda dei punti di vista – livellante o devastante. Sono la fase nichilista dei media mainstream, l’artefatto decadente attraverso cui il modello dei media di massa vive il suo declino. Testimoniano il decrescere del potere dei media di massa, senza riuscire a sostituire la loro ideologia con un’alternativa:

Ciò che sta decadendo è la Credenza nel Messaggio. È il momento nichilistico, e i blog facilitano questa cultura come nessuna piattaforma ha fatto fino ad ora. Venduti dai positivisti come cronache dei citizen media, i blog assistono gli utenti in questo passaggio dalla Verità al Nulla.

(Geert Lovink, Blogging, the nihilist impulse, “Eurozine”, 2 gennaio 2007)

Ma perché il blog non offre un modello credibile per quella che dovrebbe essere, habermasianamente, la nuova sfera pubblica? La risposta è abbastanza semplice: nella migliore delle ipotesi, il blog sostiene la relazione uno-a-molti, non quella molti-a-molti. Più spesso, il blog è una tecnologia del sé, simile allo yoga e alla confessione, cioè finalizzata all’autocontrollo. Troppe volte è pura autoreferenzialità, pratica narcisista del rispecchiamento. Il blog, insomma, non è un media partecipativo.
Fin qui i limiti strutturali del blog. Quali le implicazioni, dal punto di vista di una critica dei media?  Diremo forse che, dietro la trovata pubblicistica, il cosiddetto Web 2.0 si riduce a mera poltiglia comunicativa e addirittura celebra, come lo stesso Lovink sospetta, la fine del sogno di una Rete liberante? Non mi precipiterei a conclusioni così drastiche. E mi preoccuperei innanzi tutto di smascherare la portata ideologica di certe affermazioni sul ruolo di Internet. Dichiarare che alla fine la Rete renderà tutti liberi (o, viceversa, tutti schiavi) è pericoloso quanto lo è ogni forma di determinismo. Un approccio più laico, anche quando si parla di Internet, non guasta.
Ora, l’operazione delle Aziende In-Visibili si propone come tentativo di scrittura collaborativa. Che cosa intendiamo, con ciò? L’approccio adottato per il libro di prossima pubblicazione è semplice: una struttura informativa costituita da un insieme di testi, ciascuno dei quali è stato redatto da un singolo autore nella totale ignoranza del lavoro dei coautori. L’unico collegamento fra i testi è costituito dalla comune ispirazione calviniana e dalle linee guida dettate dal curatore, a cui tutti si sono assoggettati. Ne risulta un prodotto volutamente disomogeneo. Nel passaggio dall’offline all’online che cosa può cambiare? La dimensione collaborativa potrebbe spingersi oltre. Potremmo avere:
•    la stessa configurazione del libro, ma con la possibilità per ogni autore di “sbirciare” i testi altrui in fieri
•    un ipertesto (più testi individuali, collegati fra loro da rimandi ipertestuali)
•    un unico testo o insieme di testi, ciascuno dei quali redatto collettivamente da tutti gli autori
•    un testo aperto alle modifiche di soggetti diversi dagli autori
In ogni caso il blog non è la piattaforma giusta per supportare questo esperimento. Un’opera di collaborative fiction non può essere scritta mediante un blog. Solo un wiki potrebbe fungere allo scopo (gli esempi non mancano: da Wikinovel a Wikiworld, da Orion’s Arm a Galaxiki). Ma soprattutto per impegnarci in un esperimento di questo tipo avremmo bisogno di concordare su una serie di regole o principi di collaborazione. Insomma, ci troveremmo effettivamente all’interno di uno spazio pubblico e quindi nella necessità di definire un’etica. Necessità molto meno stringente per gli autori dei blog, che sembrano spesso guidati solo dal proprio irrefrenabile istinto solipsistico.
Paolo Costa

  • a |

    Paolo Costa scrive:
    >stiamo scoprendo che la posizione dei blog nel panorama dei media sociali,
    >ammesso che ne abbiano ricoperta una in passato, si sta oggi insterilendo.
    >[…]
    >Ma perché il blog non offre un modello credibile per quella che dovrebbe essere,
    >habermasianamente, la nuova sfera pubblica? La risposta è abbastanza semplice:
    >nella migliore delle ipotesi, il blog sostiene la relazione uno-a-molti, non quella
    >molti-a-molti.
    Mi pare ci sia una confusione tra ciò che “dovrebbe essere”, o che si “vorrebbe che fosse”, e ciò che sarà.
    Sbaglio o si parte dal presupposto che vede la rete come teleologicamente indirizzata all’affermazione del democratico e verso la diffusione della libertà? Come si passa altrimenti dal “il blog è solipsistico” ad “il blog morirà”?
    Non può essere invece che il blog sia lo strumento simbolo della riscossa dell’individualismo che segue il pionerismo comunitario del web?
    Conosco bene wikipedia, molto bene. Anche lì le discussioni avvengono spesso e volentieri per risposte dirette a singoli e per conseguenti divagazioni. Ed il numero delle buone pagine per un verso o per l’altro attribuibili per paternità ad un singolo utente sono in crescita.

  • Antonino Leone |

    Non scrivo da militante ma perchè ne sono convinto. Le nuove organizzazioni del terzo millennio si stanno muovendo nel senso che ho indicato e ritengo che i partiti devono superare la centralizzazione ed adeguarsi al cambiamento che avviene nel pianeta. Devono diventare una stella marina, metafora usata dagli autori di “Senza leader” . Un altro libro interessante è Wikipedia nel quale si parla della partecipazione di massa.
    http://cambiamentoorg.blogspot.com/
    Antonino Leone

  • Marco Bicocchi Pichi |

    Intelligentemente provocati da Paolo Costa ancora una volta rispetto alla discussione tra commentatori vorrei chiedere ad Antonino Leone se veramente crede a quello che ha scritto (probabilmente si, ma da militante). Francamente sostenere che il PD abbia innovato in termini di partecipazione mi pare piuttosto azzardato. L’eredità del “centralismo democratico” a mio avviso si sente ancora e complice la legge elettorale le scelte dei candidati sono state partitiche e non certo partecipate in forma allargata, e questo è stato vero per tutti, ed è stato ammesso da tutti i candidati con sufficiente onestà intellettuale .
    Personalmente mi auguro che i due schieramenti si confrontino in modo costruttivo nella prossima legislatura e che ci si preoccupi seriamenti di digital divide e di partecipazione. L’esclusione della sinistra arcobaleno dal parlamento ed il restringimento della pluralità di opinioni rappresentate se aumenta la potenziale efficienza ed efficacia del governare, rischia anche di trasferire solo in sede di piazza dissenso e protesta. Che la rete ed i blog possano diventare un’agorà è opzione forse utopica ma certo importante e da incoraggiare.
    I temi che lancia Massarotto mi sembrano senz’altro da cogliere. Mi auguro che raggiungano la discussione gli esponenti della nostra vista politica che rispetto ai temi della partecipazione e del ruolo di Internet hanno mostrato maggiore interesse e sensibilità.

  • Antonino Leone |

    Ho scritto un articolo nel mio blog che può essere utile al tema in discussione:
    ” Nel corso dell’ultimo anno sono avvenuti dei fatti che hanno cambiato il modo di fare politica e hanno agevolato la costruzione di un nuovo soggetto politico “Partito Democratico”.
    Tra gli avvenimenti più significativi ne segnalo due:
    – Le primarie finalizzate a scegliere la classe dirigente del PD che sono state un grande successo di democrazia per la inaspettata, sconvolgente e vasta partecipazione dei cittadini;
    – Le elezioni politiche del 13 e 14 aprile che hanno consentito la realizzazione spontanea di un grande movimento di partecipazione orizzontale di massa alla vita democratica del paese attraverso il sostegno del nuovo soggetto politico “Partito Democratico”. Questo movimento utilizza le nuove tecnologie di informazione e comunicazione (e-mail, blog, network, community e chat) per comunicare liberamente i propri pensieri e collaborare al fine di rendere possibile la vittoria di Veltroni.
    Oggi l’impresa e le nuove organizzazioni che hanno intrapreso il cammino del cambiamento si muovono in questa direzione assomigliano ad una stella marina, prive di una struttura centralizzata che decide per tutti e con unità operative indipendenti. La testa della stella marina è rappresentata da tutto il corpo che partecipa ed esprime capacità.
    I vecchi partiti assomigliano più ad un ragno con una testa centrale (struttura centralizzata) che opprime il corpo (capacità e creatività della periferia). Questa metafora assomiglia a Forza Italia che viene definita “Partito Azienda” ………, aggiungo, di quelle ante rivoluzione industriale (organizzazione gerarchica) che sono incapaci di cogliere il nuovo ed il cambiamento che avviene nelle organizzazioni del pianeta…………. continua in
    http://cambiamentoorg.blogspot.com/
    Antonino Leone

  • Marco Massarotto |

    Ne penso che vogliamo un altro post:-) O forse più di uno…
    No davvero l’argomento è complesso e molto interessante, potrebbe addirittura diventare un white paper (ma per quello forse servirebbe una Wiki:-)).
    Temi (ne butto lì un po’):
    – Rendere collettiva la conversazione: è possibile organizzare i contenuti senza gerarchizzarli?
    – La fiducia sul web: come scegliere a chi credere?
    – Blog Vs Wiki: individualismo e intelligenza collettiva possono andare d’accordo?
    – Analisi del grado di “socialità” degli strumenti di partecipazione del web (Es: Twitter, blog, forum, wiki…)

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