Ne Le Città Invisibili Marco parla e Kublai lo ascolta, senza pretendere di venire a sapere una qualche realtà fattuale: dal giovane veneziano non ci si attendono fatti e possiamo non credere a ciò che dirà, perché il senso dei suoi racconti non è racchiuso nelle informazioni che reca, ma nella capacità di ricostruire una geografia sensata dell’impero. L’atlante che alla fine del libro Kublai regge tra le mani è un atlante in cui sullo sfondo delle città reali o possibili o immaginarie prende forma il senso della città che è nostra.
Lo stesso vale per il manuale organizzativo che consulta l’Amministratore Delegato Bill H. Fordgates nell’ultima pagina de Le Aziende In-Visibili. E’ infatti incredibile il parallelismo fra la realtà immaginaria narrata da Calvino con quanto sta avvenendo in concreto nelle aziende attuali. Saltata la concezione dell’impresa come serie di significati prevedibili e pre-scritti sul marmo delle best practices (più in generale, la complessità attuale impedisce l’affermazione di modelli prescritti e validi per sempre nel tempo), si è affermata la necessità di pensarla come sforzo collettivo di generazione di senso.
Un processo, si ricorda nel capitolo dedicato al sensemaking di Nulla due volte, connotato dalle seguenti caratteristiche: la costruzione di identità, individuale e collettiva; la retrospettività, per cui la creazione di significato si riferisce a ciò che è già avvenuto, più che a ciò che avverrà; l’istituzione di ambienti sociali tramite le persone che vi operano.
Il sensemaking è poi un “never ending process”, centrato su informazioni selezionate (pensiamo ancora ad Internet. Per non naufragare nel mare di dati, ogni lettore-autore costruisce percorsi di senso eliminando ciò che è incoerente con l’obiettivo conoscitivo di volta in volta perseguito). Un processo non semplice per realizzare il quale bisogna formare le persone.
Ma formare come? Formare cosa? il nuovo contesto socio-organizzativo suggerisce di abbandonare il ricorso univoco a forme di specializzazione chiuse in se stesse. La nuova formazione deve essere finalizzata a cercare, costruendoli e ricostruendoli continuamente, modelli cognitivi che aiutino gli individui a leggere il nuovo e a cercare/creare senso.
Ecco allora gli obiettivi della formazione e dello sviluppo: per capire il presente e guardare al futuro occorre promuovere apertura mentale, autoanalisi e riflessioni individuali, coniugate alla capacità di trovare continuamente soluzioni originali, attraverso una maniacale attenzione al contesto, a ciò che sta fuori. Su queste basi si può sperare di promuovere pratiche di sviluppo e di formazione adeguate non più ad assemblare ingegni (persone-ingranaggi specializzati), bensì a coltivare geni, persone dotate di capacità di problem solving, di leggere il nuovo, di fabbricare idee e di donare senso alle proprie azioni dentro e fuori le organizzazioni (vedi capitolo I Cloni e i Mutanti in Nulla due volte). Che è proprio il messaggio contenuto nelle parole che chiudono il testo di Calvino:
E Polo: l’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, dargli spazio.