Dalle Città Invisibili alle Aziende In-Visibili. 3. Segni (parte prima)

Ne    Le Città Invisibili     Marco parla e Kublai lo ascolta, senza pretendere di venire a sapere una qualche realtà fattuale: dal giovane veneziano non ci si attendono fatti e possiamo non credere a ciò che dirà, perché il senso dei suoi racconti non è racchiuso nelle informazioni che reca, ma nella capacità di ricostruire una geografia        sensata       dell’impero. L’atlante che alla fine del libro Kublai regge tra le mani è un atlante in cui sullo sfondo delle città reali o  possibili o immaginarie prende forma il          senso              della città che è nostra.

Lo stesso vale per il manuale organizzativo che consulta l’Amministratore Delegato Bill H. Fordgates nell’ultima pagina de         Le Aziende In-Visibili. E’ infatti incredibile il parallelismo fra la realtà immaginaria narrata da Calvino con quanto sta avvenendo in concreto nelle aziende attuali. Saltata la concezione dell’impresa come serie di significati prevedibili e pre-scritti sul marmo delle best practices (più in generale, la complessità attuale impedisce l’affermazione di modelli prescritti e validi        per sempre       nel tempo),  si è affermata la necessità di pensarla come       sforzo collettivo di generazione di senso.

Un processo, si ricorda nel capitolo dedicato al       sensemaking      di       Nulla due volte,      connotato dalle seguenti caratteristiche: la costruzione di identità, individuale e collettiva; la retrospettività, per cui la creazione di significato si riferisce a ciò che è già avvenuto, più che a ciò che avverrà;  l’istituzione di ambienti sociali tramite le persone che vi operano.

Il     sensemaking    è poi un “never ending process”, centrato su informazioni selezionate (pensiamo ancora ad Internet. Per non naufragare nel mare di dati, ogni lettore-autore costruisce  percorsi di senso eliminando ciò che è incoerente con l’obiettivo conoscitivo di volta in volta perseguito). Un processo non semplice per realizzare il quale bisogna formare le persone.

Ma formare        come? Formare         cosa? il nuovo contesto socio-organizzativo suggerisce di abbandonare il ricorso univoco a forme di specializzazione chiuse in se stesse. La nuova formazione deve essere finalizzata a cercare, costruendoli e ricostruendoli continuamente, modelli cognitivi che aiutino gli individui a         leggere il nuovo         e            a cercare/creare senso.

Ecco allora gli obiettivi della formazione e dello sviluppo: per capire il presente e guardare al futuro occorre promuovere apertura mentale, autoanalisi e riflessioni individuali, coniugate alla capacità di trovare continuamente soluzioni originali, attraverso una maniacale attenzione al contesto, a ciò che sta fuori. Su queste basi si può sperare di promuovere pratiche di sviluppo e di formazione adeguate non più ad assemblare ingegni (persone-ingranaggi specializzati), bensì a coltivare geni, persone dotate di capacità di                problem solving, di leggere il nuovo, di                    fabbricare             idee e di donare senso alle proprie azioni dentro e fuori le organizzazioni (vedi capitolo         I Cloni e i Mutanti         in           Nulla due volte). Che è proprio il messaggio contenuto nelle parole che chiudono il testo di Calvino:

E Polo: l’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, dargli spazio.

  Post Precedente
Post Successivo