La primavera delle Social HR

Social-HR-and-the-Employee-Lifecycle-by-The-Social-Workplace-800 copiaE’ finito l’inverno della funzione HR

2013: l’anno delle Social HR titolava Forbes a gennaio, come ricordavo nel post HR 2.0? Il caso Heineken. Ed effettivamente sono sempre più numerose anche nel nostro Paese le iniziative dedicate all’uno o all’altro processo HR rivisto in chiave social: dall’Employer Branding  online al Recruitment 2.0, dall’avvento dei Social Portal fino all’affermazione dei nuovi modelli di Social Learning.

Questa primavera segna poi definitivamente la fine dell'”inverno del nostro scontento” per una funzione HR incapace di rinnovarsi di fronte all’emergere dei nuovi modelli di lavoro collaborativo e Social Organization. Il risveglio dei Direttori HR dal sonno dogmatico dello Scientific Management lo dimostrano, fra le tante in calendario nei prossimi mesi, iniziative come i due Convegni promossi  da Adapt e dall’Università di Bergamo, rispettivamente il 19 aprile e il 17 maggio, con particolare riferimento alla necessità di ripensare il diritto del lavoro a fronte dell’emergenza di metodi, modelli e strumenti di gestione e sviluppo delle Risorse Umane che richiedono una ampia rivisitazione di normative specchio di un mondo tayloristico ormai in dissoluzione.

Ma soprattutto mi sembra esemplare l’iniziativa del Digital Festival di Torino, che ha deciso di dedicare la giornata inaugurale (3 maggio) proprio ad una disamina a trecentosessanta gradi del tema. Alla Tavola Rotonda della mattina, seguiranno 4 workshop verticali dove esperti, consulenti, docenti ma soprattutto manager aziendali racconteranno quale è lo stato dell’arte delle Social HR in Italia.

Il ciclo delle Social HR

Tornerò fra qualche giorno sugli eventi di Bergamo e soprattutto di Torino, anche nella mia qualità di Responsabile Scientifico dell’intera giornata, che ruoterà fra l’altro intorno al libro L’intelligenza collaborativa.Verso la Social Organization che ho scritto avvalendomi anche del contributo di 15 Top Manager e Direttori HR di grandi aziende italiane (o branch italiane di multinazionali) e che sarà disponibile appunto dall’inizio di maggio.

Ma non anticipiamo. Credo sia utile invece oggi cominciare a disegnare la mappa del territorio che esploreremo il 3 maggio insieme a chi potrà essere dei nostri a Torino. Una mappa che abbiamo cominciato a tracciare nella serie di post focalizzata sulla Social Media Strategy per le Risorse Umane e che possiamo meglio dettagliare con l’aiuto della bella infografica realizzata da The Social Workplace. L’idea è quella di rappresentare un luogo di lavoro “sociale”, ovvero che mette al centro il comportamento delle persone con l’obiettivo di creare una “esperienza sociale veramente collaborativa ed integrata”.

Attrarre i talenti

Edificare un “social workplace”, come è nella logica delle Social Organization che abbattono i confini fra ciò che sta dentro e ciò che sta fuori (Social Business), significa che il lavoro online della Direzione HR ha inizio prima che le persone entrino in azienda, con il fine di attrarre i talenti più adeguati al raggiungimento degli specifici obiettivi di business (vedi su questo HR 2.0? Una social media strategy per le risorse umane. Parte prima: Introduzione ed Employer Branding). Secondo The Social Workplace occorre focalizzarsi su due assi: la Brand Reputation e la costruzione di Brand Community. Si tratta quindi per la funzione HR di mettersi in ascolto sul Web per intercettare le conversazioni online in cui si parla della propria azienda in termini, diciamo, di “best (o worst) place to work”. Occorre quindi passare alla costruzione di una relazione interattiva con coloro che ci interessa portare nell’orbita aziendale attraverso la creazione di Community loro dedicate, sia su siti aziendali, sia su social network professionali come LinkedIn, ma anche di altro tipo (ad esempio Pinterest va benissimo per il mondo del Fashion, Twitter per le Telecomunicazioni, eccetera).

Reclutamento

Questa pessima parola (che ci ricorda quanto ancora i nostri modelli culturali e cognitivi associno azienda e caserma, come del resto accade con la definizione “Risorse Umane”, termini come “Ordine di servizio”, eccetera) indica un processo HR chiave che è fra i più rivisitati in ottica social dalle aziende. Tuttavia sono ancora poche le realtà che fanno proprio il suggerimento di utilizzare i dipendenti per l’attività di “peer-to-peer recruitment”. Eppure nessuno meglio di un dipendente soddisfatto può coprire il ruolo di “Brand advocate” e divulgare una positiva immagine della cultura aziendale. In questo quadro si capisce bene anche la “strong suggestion” di incrementare i cosidetti “Employee Referral Programs”, per una dettagliata descrizione dei quali rimando al post di Sullivan The Complete List of Employee Referral Program Best Practices (Part 1 of 2) che, pur risalendo ormai ad un paio di anni fa, mi sembra ancora ricco di ottimi spunti. Si tratta in sintesi di supportare in tutti i modi possibili lo sviluppo di connessioni e della rete sociale dei dipendenti e soprattutto dei potenziali evangelist.

Inserimento

Una volta portati a bordo, occorre fornire ai neoassunti una prima conoscenza dei principali processi, procedure e strumenti organizzativi, in maniera da consentire un rapido ed efficace inserimento e garantire l’allineamento con persone già presenti in azienda. Certamente si possono utilizzare Forum, Wiki e altre piattaforme di Idea Management come suggerito da The Social Workplace. In qualità di consulente ho trovato efficace la progettazione di esperienze di apprendimento collaborativo attraverso strumenti social costruiti “su misura”, ispirati a logiche di Gamification e che prevedono il coinvolgimento di tutor virtuali. Più in generale, tutti i processi di Social HR andranno rivisti alla luce del principio della Gamification, di cui abbiamo parlato in Social learning: come le aziende impareranno a imparare. Anche in questo caso il tema è amplissimo: sarà sufficiente ricordare ai nostri fini che la Gamification, ovvero l’applicazione di modalità e meccanismi tipici del gioco a contesti non ludici al fine di incrementare il coinvogimento delle persone, è una modalità che verrà sempre più applicata in futuro. Gartner, ad agosto 2012, nella sua analisi annuale sul ciclo di vita delle tecnologie emergenti, dopo aver sottolineato come la Gamification si trova al termine della prima linea ascendente ed i tempi per un’adozione di massa sono stimati in un periodo compreso tra i 5 ed i 10 anni, a fine ottobre 2012 ha rilasciato le previsioni dei trend per il triennio successivo, dalle quali emerge come entro il 2015 il 40% delle 1.000 aziende più importanti al mondo utilizzerà la Gamification come meccanismo primario per la trasformazione del proprio business.

Formazione

Arriviamo così al cuore pulsante di un modello di HR che si voglia ispirare ai criteri dello Humanistic Management 2.0: il Social Learning. Questo è vero sia dal punto di vista del contenuto, sia da quello formale. Dal punto di vista del contenuto: la trasformazione delle tradizionali famiglie professionali in learning Community in grado di valorizzare, diffondere e sviluppare il know-how aziendale è l’obiettivo centrale di una realtà privata o pubblica che voglia trasformarsi in Social Organization. Dal punto di vista formale, introdurre in azienda piattaforme di lavoro collaborativo che consentano il passaggio dalle modalità tradizionali di learning (online e offline) alla Social Education (cfr. il discorso avviato in Dal Brainstorming all’Idea Management – Alice annotata 31), significa ripensare la struttura organizzativa delle funzioni Formazione, delle Academy e delle Corporate University. Si deve guardare ad un modello focalizzato sull’obiettivo di fornire ai singoli dipendenti e alle learning Community una vasta gamma di servizi per rendere sempre più efficiente il lavoro collaborativo, fondato su apprendimento continuo e sviluppo permanente del Know-How, come quello descritto in HR 2.0? Una social media strategy per le risorse umane. Parte settima. Dalla famiglia professionale alla learning community).

Gestione e Sviluppo

Ma sono i processi HR più hard, quelli relativi alla gestione e sviluppo del personale, che andranno completamente rivisti, anche se aziende come Ottica Avanzi già sperimentano cruscotti di Social Balanced Scorecard. Penso all’utilizzo dei social graphs e degli analytics descritto in Alice nel Paese di Google e della Scuola Holden e sempre più al centro dell’attenzione anche in relazione allo sfruttamento degli hashtag all’interno del social network per l’accurata definizione di mappe relazionali in base ai temi di interesse; o ad applicazioni come Work.com, evoluzione del precedente Rypple, che Salesforce commercializzerà presto anche in Italia. Sotto questo profilo ritengo utilissimo per i manager della funzione HR prima, di tutte le altre aree aziendali poi, realizzare un’esperienza simulata dell’utilizzo integrato dei social tools per la gestione del lavoro collaborativo, come la mappatura dei profili di competenze social scaturenti dalla registrazione e interpretazione dei comportamenti relazionali online o la gestione di tutto il sistema di performance management 2.0: assegnazione obiettivi, feedback, coaching.

Comunicazione Interna

Stranamente, lo schema di The Social Workplace non contempla i processi di Comunicazione Interna, che costituiscono per molti aspetti il backbone privilegiato per lo sviluppo di metodi e processi di Social HR. Una ricerca realizzata dall’Osservatorio Intranet Banche del MIP in collaborazione con ABI Lab conferma quanto empiricamente possiamo osservare ogni giorno nel lavoro di consulenza per supportare l’adeguamento a modelli di social organization in aziende di dimensioni e settori diversi: il passaggio dalle intranet tradizionali a portali full social. Questo passaggio può essere calibrato a seconda delle diverse situazioni ma il trend è costituito dal moltiplicarsi di intranet social che inglobano caratteristiche molto spinte di interazione e network tra i dipendenti pur conservando un carattere di portale intranet istituzionale.

Organizzazione

Anche lo sviluppo organizzativo è trascurato da The Social Workplace. Ritengo invece essenziale innanzitutto disporre di uno strumento per mappare lo stadio evolutivo in cui si trova l’impresa rispetto ai suoi processi distintivi per definire un adeguato Piano di Change Management, incentrato sulla identificazione, progettazione e implementazione delle Community aziendali. Inoltre, il primo passo da compiere nella costruzione di una Community può consistere nell’applicazione di un metodo ben conosciuto e consolidato anche nelle realtà più tradizionali, denominato organizational network analysis: l’analisi delle interazioni che hanno luogo nell’impresa, individuando i nodi «significativi» (persone e argomenti) con riferimento ai quali le informazioni vengono scambiate. Il sistema può gestire un numero rilevante di informazioni che, opportunamente raccolte ed elaborate in un database dedicato, vengono rappresentate graficamente in mappe cognitive di facile interpretazione. La raccolta dei dati è molto rapida e si caratterizza come una fase oggettiva eseguita dagli stessi responsabili dell’azienda, anziché essere il risultato di un’attività deduttiva condotta da una funzione specialistica interna (direzione Organizzazione e Risorse Umane) o esterna (consulenti). L’elaborazione dei dati consente infine di ottenere in tempo reale un numero rilevante di mappe che visualizzano le dinamiche relazionali sia del sistema organizzativo globale sia di aree specifiche, fino al dettaglio relativo a singole posizioni o persone

Knowledge Management

Trasversale a tutti gli item toccati nell’infografica è invece il Knowledge Management, che già il celebre studio di McKinsey sulla Social Economy indicava come decisivo: il disseppellimento del “tesoro nascosto” descritto in quel report al novanta per cento passa per la rivisitazione in chiave social dei processi di emersione, condivisione e sviluppo del know-how. Ad esempio (ma è solo uno fra i tantissimi possibili), i forum sono applicazioni utili a gestire discussioni online su temi di interesse della Community. Molte piattaforme integrate abilitano i dipendenti a creare discussioni a partire dai propri profili personali per le ragioni più diverse: porre questioni per ottenere risposte qualificate da colleghi ed esperti interni, sviluppare nuove
idee, discutere pregi e difetti di nuovi prodotti e servizi. È interessante notare che pur essendo i forum una delle più consolidate e utilizzate applicazioni in rete, abbinano una semplicità d’uso a una notevole flessibilità, che li rendono fruibili in numerose situazioni diverse (si pensi per esempio ai popolari gruppi di discussione su piattaforme come LinkedIn).

Relazioni sindacali

Pietra di paragone di qualsiasi strategia di HR 2.0 è la policy aziendale per l’uso dei social media. Così scrive David F. Carr, editor di The BrainYard: «Lo scopo di una social media policy è di massimizzare le possibilità che l’esposizione aziendale sui social media sia efficace, accentuando gli elementi di positività ed eliminando gli elementi di potenziale negatività. Questo comporta la redazione di linee guida per l’uso personale dei social media da parte dei dipendenti, nella misura in cui i suoi effetti si riflettono sull’organizzazione di appartenenza». Facile a dirsi ma molto meno a farsi, soprattutto in Italia: il modello dell’azienda collaborativa è tale da mettere definitivamente in discussione i tradizionali modelli di organizzazione del lavoro incentrati sui concetti di gerarchia, potere e controllo e, con essi, il paradigma normativo della subordinazione posto alla base dei processi legali e contrattuali di regolamentazione dei rapporti di lavoro. Per questo, ha dichiarato a questo blog Michele Tiraboschi, Direttore del Centro Studi Internazionale Marco Biagi, “il gruppo di ricerca di ADAPT ha avviato, per il 2013, un nuovo filone di ricerca volto alla analisi dei vincoli giuridici e sindacali allo sviluppo anche in Italia di forme di lavoro cooperativo. L’obiettivo finale, con il coinvolgimento dei propri soci, è la stesura di un progetto di legge che consenta alle imprese italiane di superare i vincoli normativi e contrattuali allo sviluppo e radicamento di forme di Management 2.0”. I sopra ricordati appuntamenti di aprile e maggio rientrano proprio in questo percorso.

Fine rapporto… e oltre

Non va infine trascurata l’attenta gestione in chiave social anche della fase finale della vita del dipendente in azienda, nonchè del suo futuro una volta fuori dall’organizzazione. Ad esempio, coinvolgendolo in Community per ex dipendenti che possono ancora sostenere sotto molti punti di vista l’azienda. Per altri versi, Alexandra Samuel suggerisce di impostare e monitorare ricerche online sul nome della società, collegate a parole chiave come «assunto», «licenziato», «colloquio» o «cassa integrazione». Monitorare costantemente e accuratamente i social media attraverso la selezione di parole-chiave di questo genere non solo consente di sapere in tempo utile quando un dipendente in uscita (non necessariamente in seguito a un licenziamento) si trasforma in un problema, ma può aiutare a identificare dipendenti che sono in contrasto con l’azienda e utilizzano il web magari per inviare tweet negativi sul conto dell’azienda e in
particolare delle sue politiche HR.