Per questo quinto appuntamento con la poesia di Wislawa Szymborska riletta alla luce dei principi dello Humanistic Management, ho scelto Gli animali del circo, descrizione perfetta dell’organizzazione sociale come Istituzione Totale fondata sulle regole ferree dello Scientific Management. Come ha scritto Francesco Morace nel suo commento per il volume Nulla due volte. Il management attraverso la poesia di Wislawa Szymborska: “Le aziende hanno cercato di “addomesticare” gli uomini, privandoli della loro inevitabile e straordinaria unicità vitale. Il modello organizzativo e manageriale fondato sulle “divisioni” dell’impresa ha trasformato i manager in orsi che battono le zampe ritmicamente, i ricercatori in scimmie in tuta gialla che vanno in bicicletta, e perfino gli amministratori delegati in leoni che saltano nel cerchio fiammeggiante, per il diletto di un pubblico di azionisti i cui applausi scrosciano a cascata.
Si tratta di una vera e propria disumanizzazione dell’impresa, che in nome del controllo (sui colleghi, sul mercato, sui consumatori) tende a produrre squadre di animali “ammaestrati” come quelli tristi e melanconici dei vecchi circhi. Animali in gabbia costretti a ripetere un copione che non stupisce più nessuno. Ed è questo il punto. Perché ancora oggi la magia del circo sta proprio nella sorpresa. Nel mondo previsto e programmato che i manager cercano di costruire, la sorpresa e la meraviglia costituiscono invece componenti pericolose, che spaventano e che ad ogni costo si cerca di evitare. Eppure scopriamo che le persone e i consumatori adorano l’inaspettato, privilegiano la sorpresa e la meraviglia, come i bambini. Quindi c’è qualcosa che non torna. Le organizzazioni devono imparare a stimolare e poi gestire i contributi creativi e inaspettati. E poi imparare a valorizzarli. E in questa dinamica non paga la ripetizione programmata e controllata, bensì il talento e l’improvvisazione, nel senso del jazz e della jam session. Trasformare la minaccia in opportunità, reagire creativamente all’imprevisto e all’imprevedibile, gestire l’organizzazione lasciando spazio ai talenti e alle vocazioni individuali, coordinare e valorizzare le storie di ognuno”.
Gli animali del circo
Gli orsi battono le zampe ritmicamente,
la scimmia in tuta gialla va in bicicletta,
il leone salta nel cerchio fiammeggiante,
schiocca la frusta e suona la musichetta,
schiocca e culla gli occhi degli animali,
l’elefante regge un vaso sulla testa,
e i cani ballano con passi uguali.
Mi vergogno molto, io – umano.
Divertimento pessimo quel giorno:
gli applausi scrosciavano a cascata,
benché la mano più lunga d’una frusta
gettasse sulla sabbia un’ombra affilata.
Il mondo è un palcoscenico
Una metafora pregnante dell’organizzazione aziendale (e della vita associata più in generale) è quella dello spettacolo, come sapeva già Shakespeare (tutto il mondo è un palcoscenico): giusto il titolo di un volume chiave nella storia dello Humanistic Management, L’Impresa shakesperiana. Personaggi reali e virtuali sul palcoscenico aziendale (ETAS, 2002, con illustrazioni di Milo Manara). Lo dimostra il fatto che, negli ultimi venti anni, gli studi organizzativi e le pratiche di sviluppo manageriale hanno fatto ampio riferimento al teatro in quanto modello di interpretazione dell’impresa, oltre che come tecnologia formativa.
Inoltre, hanno scritto Piccardo e Pellicoro in un bell’articolo apparso su Sviluppo e organizzazione, la rivista del CRORA Bocconi, “tale suddivisione non rende completamente merito alla complessità dei numerosi interventi presenti in letteratura. La metafora teatrale, per esempio, si è arricchita sempre più di nuovi contributi che hanno aperto a temi organizzativi eterogenei. Dinamica relazionale, leadership, formazione, comunicazione, estetica, strategia e pianificazione sono espressioni dell’azione organizzativa per le quali il teatro fornisce una chiave di lettura”.
E non basta, perché in azienda lo spettacolo non è solo teatrale, ma anche cinematografico (Fare come Hollywood, è l’incipit del paragrafo de L’ascesa della classe creativa in cui Florida mostra come l’archetipo del team ideale sia il gruppo di lavoro, composto da attori, registi, tecnici, produttori, eccetera, che dà vita ad un film) e televisivo (La tv come media e come schema mentale, è il sottotitolo del capitolo del Manifesto dello Humanistic Management dedicato alla Business Television). Più in generale, “lo stesso termine risorsa umana – nota Andrea Notarnicola nel suo libro Televisione e teatro in azienda, ETAS 2006 – risulta di fatto superato: le persone vogliono essere riconosciute non come risorse, ma come protagoniste di una rappresentazione.” Cresce la disponibilità di ciascuno “ad essere operaio sul palcoscenico al servizio di un copione e del regista (il progetto d’impresa e il management), purché siano garantiti anche per i ruoli più brevi gli applausi a fine spettacolo. I lavoratori diventano così lavor-attori…La nuova intelligenza collettiva, inoltre, impone una condivisione dei valori, degli obiettivi, delle strategie e dei comportamenti non una volta per tutte, ma istante per istante. Se l’azienda è una rappresentazione, deve essere in diretta”. Come scrive Szymborska in Una vita all’istante:
Una vita all’istante.
Spettacolo senza prove.
Corpo senza modifiche.
Testa senza riflessione.
Non conosco la parte che recito.
So solo che è la mia, non mutabile.
Il soggetto della pièce
va indovinato direttamente in scena.
Mal preparata all’onore di vivere,
reggo a fatica il ritmo imposto dell’azione.
Improvviso, benché detesti improvvisare.
Inciampo a ogni passo nella mia ignoranza.
Il mio modo di fare sa di provinciale.
I miei istinti hanno del dilettante.
L’agitazione, che mi scusa, tanto più mi umilia.
Sento come crudeli le attenuanti.
Parole e impulsi non revocabili,
stelle non calcolate,
il carattere come un cappotto abbottonato di corsa –
ecco gli esiti penosi di tale fulmineità.
Poter provare prima, almeno un mercoledì,
o replicare ancora una volta, almeno un giovedì!
Ma qui già sopraggiunge il venerdì
con un copione che non conosco.
Mi chiedo se sia giusto
(con voce rauca,
perché neanche l’ho potuta schiarire tra le quinte).
Illusorio pensare che sia solo un esame superficiale,
fatto in un locale provvisorio. No.
Sto sulla scena e vedo quant’è solida.
Mi colpisce la precisione di ogni attrezzo.
Il girevole è già in funzione da tempo.
Anche le nebulose più lontane sono state accese.
Oh, non ho dubbi che questa sia la prima.
E qualunque cosa io faccia,
si muterà per sempre in ciò che ho fatto.
L’antitodo alla disumanizzazione: il modello del Cirque du Soleil
La vita, anche quella aziendale, è uno spettacolo, una rappresentazione. Ma come i drammi di Shakespeare possono essere tragedie o commedie, o una mescolanza delle due, così il microcosmo dell’impresa può rivelarsi un circo simile ad un lager o un mondo vitale che produce creatività.
Il circo che descrive la poetessa polacca è l’evidente metafora di un contesto sociale in cui si è realizzata la visione del futuro descritta da Franz Kafka ne Il disperso. Qui, ha notato Piero Citati, egli profetizza l’invasione dello Scientific Management in ogni aspetto della vita associata e la meccanizzazione di tutto ciò che è umano: quella dittatura dello Standard di cui abbiamo parlato in La dittatura dello Standard e il Nonsenso di Alice (Alice Annotata 17b). “Karl comprende che la vera essenza della vita americana è l’automatismo. Il primo incontro è un prodigio dell’ingegneria meccanica, che attrae il suo spirito infantile. Lo zio gli ha lasciato nella stanza una tipica scrivania americana, con cento spartizioni di tutte le misure…. Sul fianco del mobile, c’è un regolatore: girando la manovella si ottengono i più diversi cambiamenti e spostamenti. Basta girare la manovella e le sottili pareti divisorie scendono, formando la base e il soffitto di nuovi scompartimenti…Anche la casa dello zio è una specie di enorme scrivania, un gioco meccanico…Negli immensi uffici, l’automatismo inscena una grandiosa e assurda commedia di burattini… così ogni errore è escluso dalla grande macchina americana”.
Questo spiega perché lo sguardo innocente di Karl Rossman, fino a ieri sostituito da quello della macchinetta del caffè (ricordate i geniali sketch di Camera Caffè?), unico luogo aziendale dove si poteva agire come in quel “teatro di Oklahoma” che rappresenta l’utopia finale del racconto kafkiano, è oggi diventato quello che ognuno di noi può esercitare attraverso i social network e il web 2.0. Uno sguardo che finalmente può sottrarsi al modello “comando e controllo” e che richiede un totale cambiamento di mentalità e strumenti operativi (vedi ad esempio la serie di post dedicati alla social organization). Un sfida difficile, per la quale molti manager e molte funzioni HR ancora non sono pronti (cfr. I 10 alibi del Top Manager ostile all’innovazione 2.0 e HR 2.0? 10 motivi per cui i professionisti HR dovrebbero evitare i Social Media).
Quella che porta allo Humanistic Management 2.0 è tuttavia una strada che inevitabilmente le organizzazioni devono imboccare, per trasformarsi nelle social organization che l’epoca contemporanea richiede. Ovvero in quei Mondi Vitali di cui il circo, scrivevamo in tempi non sospetti io e Giorgio Del Mare (Le cose e le parole, Sperling&Kupfer, 1995), può essere invece la migliore metafora, quando è fondato sul talento, la creatività e l’originalità dei singoli artisti, piuttosto che sulla loro riduzione ad automi spersonalizzati. Lo spettacolo circense nella sua migliore interpretazione è costituito da numeri realizzati da professionisti – generalmente in team – ben gestiti e a imprenditività diffusa. Il top management integra, ordina e coordina, garantendo il macrorisultato finalizzato e l’immagine sul mercato (vedi su questo anche La social organization – parte quarta). Non a caso al rivoluzionario Cirque Du Soleil gli studiosi di management hanno da tempo attribuito il valore di autentico benchmark dell’innovazione strategica.
Qui tutto avviene in un ambiente spazioso, lunare, onirico, dove diversi eventi accadono parallelamente o simultaneamente: proprio come in un’impresa dove non vigono più le logiche sequenziali della catena di montaggio, ma dove le cose avvengono in quello che Marc Augè ha definito “il contempo”. Una famiglia di contorsionisti dà vita ad una strana foresta di gambe e braccia amorevolmente avvinghiate. Un po’ più in là, mentre una ventina di ginnasti-rettili, dalle maschere e dai costumi multicolori, finiscono di esibirsi in esercizi assolutamente contrari ad ogni legge della fisica, un colibrì, ovvero una cinesina armata solo di un ombrellino rosso, saltella su funi parallele, sfalsate di livello e distanti più di un metro l’una dall’altra con faticosa leggerezza,/con paziente agilità,/con calcolata ispirazione (L’acrobata). Sotto le funi, avanza il movimento ipnotico delle palline di una giocoliera. Prima tre, poi quattro, fino a otto, la velocità delle sue mani sembra annientare qualsiasi limite umano di coordinamento corpo-mente. Accompagnata dalle sue impossibili sfere, la donna lascia il campo a due ballerine. Il cuore comincia a marciare a un ritmo impazzito, tentando disperatamente di seguire il tempo sempre più accelerato della coppia, che al battere flamenco dei tacchi fa roteare con le mani delle bolas. Le due percussioni (i tacchi e le bolas) raggiungono ritmi vertiginosi e stremanti, quasi insostenibili persino per chi come noi si limita a fare da spettatore.
Ma insopportabile, per la sua bellezza, è la visione di un giovane uomo e una fanciulla, che si lasciano cadere nel vuoto per essere salvati solo all’ultimo momento dalla presa (di piede) dell’uno o dell’altra. Volteggiano sul trapezio in movimenti lenti, danzanti, ora scambiandosi di attrezzo, ora fondendosi tra loro impudichi, erotici, lussuriosi. Un corpo diviso in due o moltiplicato, spaccato e poi rinsaldato, è il gioco che propongono: in perfetto sincrono (quei due sapevano a memoria dove volevano arrivare, canterebbe Paolo Conte) e dando l’illusione di essere compiuto senza rete. Di essere dunque pericoloso come il vero amore e come quello totalmente illegale. Quasi a sfidare l’incapacità dei nostri tempi di “imparare a volare” (direbbero i Pink Floyd), quindi di vivere (la vita è…sollevarsi sulle ali, scrive Szymborska in Un appunto) affidandoti ciecamente ad un’altra persona; ovvero la perdita della “facoltà di ammirare e di fidarsi”, esaltata da Unamuno in Don Chisciotte, che è poi quell’“autentica pazzia di cui sentiamo il bisogno per essere guariti del buonsenso che ci tiene tutti soffocati”. Che è anche la lezione chiave trasmessa dalla nostra Alice Postmoderna (vedi ad esempio: Il buon senso del nonsenso -Alice annotata 14b).
Nelle Istituzioni Totali di oggi è consentita solo l’illusione del volo. Nessuno vuole correre il rischio della fiducia reciproca, valore centrale per ottenere mass collaboration e co-creazione del valore: che potrebbe implicare lo spiaccicarsi al suolo per la disattenzione, l’imperizia o persino la volontà criminale del partner. Bella mossa. Come quella di chi ammazzasse un uomo per evitare che vivendo possa soffrire.
La foto di Fabiana Cutrano è tratta da Nulla due volte. Il management attraverso la poesia di Wislawa Szymborka.
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