Il concept de Le Aziende InVisibili

Le Aziende In-Visibili, in prima battuta, è un romanzo. Che ancora è invisibile, ovvero non pubblicato: lo sarà entro il 2008. In questo blog ne daremo delle anticipazioni, ne parleremo con gli autori, lo iscuteremo con i potenziali lettori: ma soprattutto partiremo da qui per generare in rete nuovi percorsi di senso.

Ma procediamo con ordine. Il Piano dell’Opera si è consolidato intorno all’ipotesi di realizzare, oltre alla riscrittura della cornice calviniana, 110 aziende in-visibili, quindi una coppia di “episodi” del romanzo per ognuna delle 55 “città invisibili”.

Complessivamente quindi il mosaico è costituito da 128 episodi: 110 aziende in-visibili più le 18 semi-cornici che aprono e chiudono i 9 capitoli. Questo schema mi sembra sia estremamente soddisfacente per varie ragioni. In questa sede vorrei però sottolineare soprattutto come tale schema sia coerente con lo spirito di Calvino che, secondo molti interpeti, fonda la sua idea della scrittura proprio sul principio antinomico. Mi spiego meglio prendendo spunto dall’ottimo saggio di Mario Barenghi appena pubblicato, “Italo Calvino, le linee e i margini”.

Lo stile di pensiero di Calvino (autodefinitosi, appunto con una antinomia, “un saturnino che aspira ad essere un mercuriale”) non è dialettico, scrive Barenghi, bensì antinomico: la sua attenzione si concentra sempre sull’interrelazione, sulla dipendenza e sul condizionamento reciproco che si creano tra termini opposti. Ad esempio: espansione vitale e stanziamento critico, energia istintiva e ordinamento razionale, intelligenza e volontà. A questi se ne potrebbero aggiungere innumerevoli altri, mai esattamente sovrapponibili. La forma e la materia; l’arco e le pietre, la forma degli scacchi e i legni che compongono la scacchiera. L’unità e la differenza; l’impurità e la purezza, come nei Cristalli di Ti con zero. La legge interna della narrativa di Calvino è una sorta di dualismo euristico, non rigido, né manicheo o definitorio. Le antinomie calviniane non offrono spiegazioni ultimative, ma servono come strumenti di una ricerca. Quello che conta è il legame intrinseco fra i termini opposti, la loro relazione reciproca: ciò che resta nel mezzo, la scintilla che scocca.

Così nelle Città Invisibili le città nascoste sono quelle che hanno una potenzialità positiva, in opposizione alla minacciosa marea delle città continue. Le città del desiderio e della memoria fanno parte del “regno del soggettivo” in opposizione a quelle della morte e del cielo, rientranti nel “regno dell’oggettivo”. Ma ogni città è leggibile come un’antinomia (o una serie di antinomie): gli abitanti di Maurilia non s’accorgono che la costanza di nomi e di luoghi non impedisce mutazioni senza posa, equivalenti ad una sostanziale perdita d’identità (come ha benissimo colto Antonella Cilento nella sua trasposizione “aziendale”); la difficile coabitazione di spiritelli stanziali e nomadi è il tratto distintivo di Leandra; l’opposizione fra stabilità e mobilità viene proiettata sull’asse verticale nel caso di Isaura, città dai mille pozzi che si presume sorga su un lago sottotterraneo ma le cui aeree impalcature la fanno muovere verso l’alto. Eutropia nel suo incessante muoversi per ricominciare da capo cela “l’ambiguo miracolo” di una rara permanenza nel tempo. Eccetera.

Anche nella produzione saggistica secondo Barenghi “i procedimenti che Calvino predilige sono l’elenco e la disgiunzione binaria, spesso sotto forma di antitesi”. Così la prima lezione americana inizia con le parole “Dedicherò la prima conferenza all’opposizione leggerezza- peso”. E nella seconda: “questa apologia della rapidità non intende negare i piaceri dell’indugio”. Nella terza il dualismo, lo schema bipolare, si esprime in maniera diversa: l’esattezza non rinvia ad alcun valore positivo, inesattezza e imprecisione sono difetti e basta. L’esattezza tuttavia può essere ricercata in due direzioni divergenti (il rigore geometrico di un disegno, l’adesione strenua a un dato concreto) che non si possono conciliare, sono alternative.

Salvo naturalmente la possibilità di escogitare immaginose coppie emblematiche – la farfalla e il granchio, il cristallo e la fiamma, Saturno e Mercurio. La quarta conferenza è incentrata sulla visibilità ed ha il suo contrappunto nella invisibilità, centro focale del nostro progetto. Il concetto di molteplicità, infine, rimanda in Calvino a due idee antitetiche di totalità. Un’immagine negativa, entropica, dove forme ed istituzioni si vanno perdendo, per staticità o degradazione (il trionfo dell’indifferenza, il mare dell’oggettività); e un’immagine positiva, legata a un’idea d’infinita ricchezza e varietà vitale (Complessità).

Non va infine dimenticato che al susseguirsi di dicotonomie si affianca in Calvino l’esigenza di un ordinamento tassonomico, che funga da matrice di tutte le dicotomie, ivi compresa quella fra il tutto e la parte, l’individuo e il mondo. E questo forse era il nocciolo dell’idea di Coerenza (Consistency) con cui avrebbero dovuto chiudersi le lezioni americane.

Ecco dunque che questo principio antinomico e al tempo stesso tassonomico si può ben applicare al nostro progetto. Esso presiede ad una serie di dualismi, rispecchiamenti, opposizioni che scaturiscono dall’idea originaria di tradurre le città invisibili in aziende invisibili per le quali si propone (riprendendo la metafora dell’azienda come labirinto ma anche come libro spesso evocata nei testi dello humanistic management) un Ante e un Retro. Ancora una volta, non necessariamente in antitesi, ma semplicemente come strumenti per leggere in maniera diversa una medesima realtà (nello spirito oulipiano degli Esercizi di stile). Prendiamo le due versioni di Leonia proposte rispettivamente da Alberto Provenzali e Giuseppe O. Longo. Il tema comune è la rappresentabilità (e prima ancora la consistenza) delle cose con il linguaggio (Provenzali) e con la memoria (Longo), che è un tema chiave di tutto il libro di Calvino.

Più sinteticamente, i rimandi antinomici possono essere anche fra “Aziende in-visibili” diverse e per diversi motivi: sotto il versante del contenuto narrativo, ad esempio, la versione di Anastasia proposta da Josè Rallo diventa un “Flashback” (forse solo immaginario) di Deckard (il Direttore del personale “controfigura del Marco Polo calviniano, che dall’insieme di altri indizi che si accumulano nel romanzo risulta essere figlio di emigranti siciliani) che corrisponde al “Flashforward” della versione di Tamara proposta da Piero Trupia, mentre il deja-vu da cui è colto Bill H. Fordgates Senior (l’Amministratore Delegato contraltare dell’Imperatore) nella Dutre-Rudet (altra antinomia che rispecchia quella con l’originale Trude) di Giuseppe O. Longo, rimanda al deja-vu (virtuale) di Forgates Junior nella Aglaura di Nicola Gaiarin (che i due siano zio e nipote è rivelato nella Despina di Isabella Rinaldi ). Sotto il profilo dei contenuti manageriali, una possibile Vision positiva dell’industria petrolifera (quella di Mattei) descritta nella mia rivisitazione di Zaira si confronta con le pratiche reali della negoziazione in questo settore evocate da Fausto Morganti nella sua rilettura di Zirma. I processi brutali di acquisizione descritti da Pino Varchetta (Olivia) fanno il paio con l’alternativa di salvaguardare nei casi di Merger il genius loci (Sofronia): opzione che fra l’altro è al centro delle riflessioni di Isabella Rinaldi (Despina). Sotto il profilo stilistico infine il “Flusso di coscienza individuale” con cui Giulio Sapelli ha rivisitato Laudomia si accoppia al “Flusso di coscienza collettiva” usato ancora da Provenzali, il racconto in prima persona di Deckard a quello in terza di Fordgates (Senior o junior) eccetera.

Ancora, per rafforzare la coesione interna del tutto ho introdotto due elementi:

1) ho pensato che sarebbe stato utile, divertente e molto in linea con lo spirito oulipiano cui Calvino aderiva assegnare a ciascuna azienda in-visibile una posizione organizzativa: ma data la natura particolare delle nostre aziende, la loro in-visibilità appunto, ho pensato di collocarle, invece che su un Organigramma, su un Astrogramma (una mia personale invenzione, come direbbe il Cavaliere Bianco di Alice nel Paese dello Specchio) che consente anche di seguire, per chi lo desidera, le rotte dei viaggi di Deckard su una mappa celeste, sia pur leggermente modificata alla bisogna;

2) dato che uno dei temi centrali delle nostre riflessioni è il Mutamento (non a caso abbiamo costituito la Living Mutants Society), ho ritenuto interessante introdurre per ciascuno dei 128 episodi una chiave di lettura tratta da uno dei 64 esagrammi degli I Ching – Il Libro dei Mutamenti per antonomasia – di volta in volta nella versione Yin o Yang (64 x 2 fa appunto 128). Qui l’ispirazione è venuta da uno dei più famosi romanzi di P.K. Dick The Man in The High Castle (non dimentichiamo che il nostro Deckard deve il suo cognome all’eroe di Blade Runner) in cui come saprete si immagina che la seconda guerra mondiale sia stata vinta dai tedeschi e dai giapponesi, il che comporta, fra le altre cose, che i manager delle grandi Corporation utilizzino per prendere le più importanti decisioni appunto il Libro dei Mutamenti – I Ching.

Un’ultima nota: vi è un’ulteriore doppia lettura. Non solo al percorso narrativo scritto si affianca un percorso iconografico di cui ho cominciato a ragionare con Emilio Genovesi e Chiara Diana, Direttore Generale e Art Director di Domus Academy, ma anche uno musicale, per cui ogni episodio ha una sua “colonna sonora”.

Marco Minghetti è il fondatore dello Humanistic Management (www.humanisticmanagement.it). Nel 2006 in collaborazione con il Premio Nobel per la Letteratura Wislawa Szymborska ha scritto il volume Nulla due volte. In precedenza aveva pubblicato L’impresa shakespeariana (illustrato da Milo Manara) e il Manifesto dello Humanistic Management.