Nel 2014 Federico Capeci – con il libro Generazione 2.0 – è stato uno dei primi a descrivere mentalità, valori, forma mentis e comportamento dei Millennials italiani potendo contare su 10 anni di ricerche di mercato – di cui è un professionista riconosciuto – e un corpus di 15.000 interviste. Ora torna sull’argomento con un libro che aggiorna con nuovi dati quello precedente. Partendo da una prospettiva particolare – quella del marketing – e da un fatto: il 19% dei Millennials italiani dichiara di non riconoscersi nelle pubblicità di oggi. Il marketing non sa dunque più parlare alle nuove generazioni, come sapeva invece fare così bene con quelle precedenti: i Baby Boomers e la Generazione X? Proprio a beneficio di un modo radicalmente nuovo di fare marketing e pubblicità, Capeci aggiorna la sua descrizione dei Millennials (includendovi anche la Generazione Z, i nati dopo il 2000 o Centennials): come utilizzano internet, lo smartphone e tutti i mezzi di comunicazione; qual è il loro specifico Mindset; smentisce inoltre (con i numeri) dieci falsi miti che li riguardano. Per capire meglio gli abbiamo rivolto qualche domanda.
M.M. Cosa resta valido di quelle analisi del 2104 e cosa è cambiato nel frattempo? Nella sua Introduzione al libro Dario Gargiulo ad esempio scrive: “Senza scomodare Facebook e Amazon, ma solo pensando ad Ikea o a Ryanair, possiamo affermare che è in corso un processo di democratizzazione inarrestabile, verso un mercato che il più delle volte viene messo a nudo dal consumatore stesso, che fa da contraltare alle asimmetrie informative che hanno fatto la fortuna dei brand solo fino a pochi anni fa.
In questo scenario, ci troviamo di fronte a tre Generazioni completamente diverse fra loro. Al centro ci sono quelli che, come me, fanno più fatica, ovvero coloro che hanno avuto a che fare sia con una cabina telefonica che con FaceTime. I Millennials invece non si preoccupano di catalogare né di osservare ciò che avviene alle loro spalle e probabilmente sono anche meno interessati a capire a quale fenomeno sociale appartengono, visto che probabilmente una delle poche certezze che hanno è che il mondo attorno a loro cambierà ancora più rapidamente.”
F.C. La base fondativa rimane: il pregio di quell’analisi è stato proprio l’aver cercato di comprendere, fra i primi, i valori fondanti di questa generazione e che allora chiamavamo Generazione 2.0, proprio perchè il termine Millennial non era ancora diffuso. Oggi, a quella generazione affianchiamo i Centennials, che partono dallo stesso sistema valoriale, ma del quale propongono una nuova declinazione, più concreta, pragmatica, consapevole e per certi versi disillusa. Sono i ragazzi che oggi hanno tra i 10 e i 19 anni, la cosiddetta Generazione Z, che servono all’analisi per capire il vero portato e la prospettiva del cambiamento iniziato dai Millennials.
M.M. Cosa è il Millenial Bang?
F.C. E’ la consapevolezza che da un certo momento in poi tutto è cambiato ed è destinato a cambiare.
Qualcuno parla di mutazione sociale e non pochi sostengono che il sistema cognitivo di questo gruppo di ragazzi sia davvero diverso dalle generazioni precedenti, più complesso, reticolare, relazionale e rapido. Il Millennial Bang nasce quando ci si accorge di quanto questi ragazzi siano diversi da noi, e di quanto stiano cambiando il contesto sociale e culturale in cui viviamo e in cui vivremo. Il problema è che molte delle diagnosi che facciamo su questa generazione si fermano ai comportamenti e non approfondiscono i valori e le motivazioni per le quali si manifestano i fenomeni. Per questo ci limitiamo ad osservarli quando sono connessi ad internet, quando si scambiano opinioni e dati nei social, quando si fanno selfie. Siamo pieni di stereotipi, come spesso accade tra adulti e giovani, che ci nascondono la vera portata del cambiamento.
E’ importante invece capire che i Millennials hanno acquisito da adolescenti una “web-forma-mentis”: sono cresciuti con l’idea secondo cui ogni cosa si può ottenere subito, le informazioni sono sempre disponibili, non esistono soggetti con cui non si riesca a comunicare e che lo si possa fare in ogni momento; hanno compreso di poter fare un video di successo anche senza essere registi, di poter valutare un prodotto senza essere degli esperti, di poter commentare una pubblicità con gli autori senza essere dei creativi, di poter scrivere un blog e parlare a decine di migliaia di utenti, senza essere una celebrità.
Sono cresciuti e diventati grandi in questo modo ed oggi non sanno più distinguere se queste dinamiche sono possibili solo sul Web o anche “fuori”. La verità è che questa domanda i giovani non se la pongono neanche.
Per questo, ad esempio, li trovi spesso intolleranti nei negozi: rispetto alle loro aspettative, il magazzino sarà sempre troppo poco ampio, i prodotti troppo comuni, il commesso poco preparato, il proprietario poco incline a cambiare offerta in base ad un loro suggerimento e così via.
Sono cresciuti nel Web 2.0 e oggi traspongono nel mondo cosiddetto reale, sic et simpliciter, tutti i valori e le dinamiche esistenti negli ambienti collaborativi della rete. È questo ciò che li caratterizza: un “Millennial Mindset” che agisce sul loro modo di comportarsi, di parlare e di pensare. Hanno un proprio stile, che è nato nel Web ma che viene vissuto poi in ogni ambito della vita. Anzi, hanno uno “S.T.I.L.E.”: la combinazione di 5 elementi di base che forma il loro modo di vedere il mondo e di agirvi.
M.M. Qual è dunque lo S.T.I.L.E. dei Millenials?
Lo S.T.I.L.E. è un acronimo, coniato proprio con il primo testo e poi aggiornato e arricchito nel libro Post Millennial Marketing, che vuol descrivere il sistema di valori delle nuove generazioni, tra Millennials e Centennials. Il sistema di relazioni costruite da questi ragazzi si fonda su questi principi chiave, che poi formano anche il sistema di attese che hanno verso la scuola, le istituzioni, le aziende, i prodotti, le comunicazioni. Ogni loro gesto è pensato per essere naturalmente S.ocializzato o socializzabile, si fonda sulla T.rasparenza e sull’autenticità come elemento di base per costruire relazione, è I.mmediato e reattivo rispetto agli accadimenti e agli stimoli, necessita di L.ibertà e di possibilità di accedere alle cose e ai contenuti senza limiti, è attratto dall’E.sperienza e dall’immersione nelle cose, nelle storie, nelle relazioni. Questo è lo S.T.I.L.E. dei Millennials, ma è anche lo stile che dovremmo avere noi per capirli e per dialogare con loro.
F.C. Qual è in sintesi la peculiarità del rapporto fra il Millenial e il digitale?
È come l’acqua per i pesci o l’energia elettrica per noi: non esiste in quanto vitale. Il digitale è ciò che ha formato questa nuova forma mentis e ciò che li ha plasmati. Sono cresciuti senza i vincoli di spazio, tempo, quantità con cui gli adulti hanno dovuto sempre fare i conti. Questo è il loro mondo digitale: quello che è cruciale non è tanto il fatto che sono sempre connessi e che senza Internet morirebbero (cosa per altro vera), ma l’imprimatur che il crescere in questi mondi ha comportato per il loro sistema valoriale, per la loro identità e per le loro relazioni.
M.M. E cosa identifica invece peculiarmente i Centennials?
Se i Millennials sono cresciuti con i social media, lasciandosi alle spalle il “vecchio” mondo del Web 1.0 per aprire le porte al Web 2.0, i Centennials non hanno neanche idea di che cosa sia accaduto nel tempo intercorso tra uno e l’altro. Almeno, i Millennials avevano genitori, fratelli maggiori, insegnanti che gliene hanno parlato, ancora legati ai siti statici e al mondo fisico… i Centennials sono nati nel mondo connesso e non hanno alcuna memoria del passaggio tra on e off, tra Web 1.0 e 2.0. Questo non aver visto il passato, forse, li salverà da chi vuole a tutti i costi ricordare il mondo com’era per riaffermare la propria identità, anche nel marketing.
I Centennials, non avendo vissuto il passaggio tra i due “mondi”, non hanno conflitti da risolvere o cause da sostenere: possono avere una visione super partes delle cose, valutando con equilibrio il reale e il virtuale, l’1.0 e il 2.0, il vecchio e il (non più) nuovo. Da diversi studi emerge oramai con una certa coerenza una caratteristica di questa generazione: la consapevolezza e l’equilibrio nel saper conciliare on e offline, senza passioni, prese di posizione aprioristiche o fascinazioni.
Per fare un paragone, ricordiamo che cosa accadde con la rivoluzione culturale del ’68. Una generazione ha imposto nuovi valori culturali e sociali attraverso l’annientamento delle regole e dei valori riconosciuti no a quel momento: la figlia contestava la mamma e il suo essere totalmente dedicata alla famiglia; il figlio contestava la severità zelante del padre; gli studenti contestavano i metodi di insegnamento; i cittadini la politica non autorevole ed ogni potere precostituito. C’era un prima e si voleva un dopo. Il mondo ambito dai sessantottini era un mondo necessariamente ideale: occorre volare molto in alto per potersi staccare e contestare il mondo. La stessa cosa accadde ai Millennials: hanno abbracciato completamente il mondo vissuto nei social media, opponendolo al mondo reale e alle costrizioni che questo necessariamente proponeva. Sono infatti cresciuti1:
- senza limiti di spazio, perché la disponibilità di contenuti era immediata, anche se prodotta all’altro capo del mondo;
- senza limiti di tempo, perché in rete i contenuti nascevano, morivano e ritornavano senza uire con continuità;
- senza limiti di comunicazione, perché parlavano, scrivevano, postavano di tutto, con tutti, in tutti i modi possibili;
- senza on-off, perché erano always on o never off;
- senza privacy, perché la rete e le imprese commerciali li hanno ospitati fornendo spazi di espressione senza i quali era diventato impossibile vivere e socializzare;
- senza limiti di quantità, perché potevano ottenere tutto, gratuitamente, immediatamente, senza dover scegliere tra date possibilità.
- senza cose, perché a loro non interessava la proprietà ma l’uso, non interessava la cosa ma il servizio e il beneficio individuale ad essa correlato.
Sessantottini e Millennials condividono la rivoluzionarietà dei pensieri e la volontà di cambiamento e di fuga verso le costrizioni e i limiti a cui si sentivano assoggettati, seppur i primi hanno probabilmente mancato l’occasione di rendere i loro valori condivisi presso tutta la loro generazione.
Il parallelismo ci porta ad interpretare meglio cosa aspettarci dai Centennials. Chi è venuto dopo il ’68 ha guardato con criticità alle modalità con cui i giovani di allora hanno portato avanti le proprie idee ed ha tentato di trattenere da questa i valori più positivi, smussando le asperità e gli idealismi. La stessa cosa faranno i Centennials rispetto al mondo idealizzato dei Millennials. I Centennials vivono il mondo digitale, ma sanno che anche il passato mondo analogico ha dei benefici, possono valutare se e quando è meglio uno o l’altro, possono osservare e scegliere. Non hanno necessità di imporre un “senza”, ma possono valutare senza dogmi che cosa sia meglio e più utile, possono ottenere uno, l’altro o entrambi.
M.M. Perché secondo te bisogna approdare a quello che tu chiami il Post Millenial Marketing e in cosa consiste?
F.C. I giovani ci interessano perchè sono la più ragionevole rappresentazione del nostro futuro. Non ci interessano perchè sono tanti o perchè sono pochi, perchè spendono o non spendono, perchè influenzano gli altri o meno… ci interessano perchè se pensiamo come loro e per loro, impariamo a navigare la complessità del mondo che ci attende e che è alle porte. Post Millennial Marketing è questo: non parla di giovani, ma identifica un nuovo frame che abbandona il vecchio e troppo semplicistico AIDA per affrontare la complessità con gli occhi dei Millennial. E’ un sistema a 6 passi, non consecutivi, ma che dovrebbero orientare il design e la pianificazione del marketing odierno, rivolto ai giovani come agli adulti.
M.M. Il Marketing insomma non è più quello di una volta…
F.C. Il marketing ha sempre saputo parlare ai giovani, ma oggi non funziona più, perché è pensato per la Generazione X, non per i Millennials. Il problema è che i giovani di oggi sono molto diversi dai giovani del passato e la società “post Millennio” non può essere capita e gestita con logiche di continuità rispetto a ciò che non esiste più; occorre una nuova mentalità.
Tra il “Baby Boomers Marketing” e il successivo “X Generation Marketing”, infatti, anche se vi sono indubbiamente delle enormi differenze, si possono intravedere delle logiche di continuità: il boom economico e demografico in cui hanno operato i direttori marketing di un’epoca ha consegnato ai direttori marketing della generazione successiva le grandi masse da gestire e convertire ai consumi. Un tipo di marketing è l’evoluzione logica dell’altro; uno ha raccolto il testimone e la storia del precedente.
Il “Post Millennial Marketing”, di cui oggi vediamo gli albori, è invece destinato ad essere drasticamente differente, davvero nuovo, perché da un certo momento in poi è la società stessa, guidata dai nostri giovani, ad essere cambiata radicalmente nel modo di essere, di comunicare, di creare relazioni e valore, sia culturale sia economico. Diversa nel modo di fruire dei mezzi di comunicazione, diversa nei gusti pubblicitari, diversa nei consumi.
Se, quindi, il marketing pensato per i Baby Boomers (i nati tra il 1945 e il 1964) era un marketing che parlava di positività e futuro, e il marketing per la Generazione X (i nati a cavallo degli anni ’70 e prima dei ’90) era un marketing in risposta alla società del conformismo e dei consumi di quegli anni, il marketing della Generazione Y e Z (i nati dopo la metà degli anni ’80, anche dette generazioni dei Millennials e dei Centennials) è, dovrebbe essere o sarà, il marketing per la società connessa, che sta nascendo con i nostri giovani di oggi.
Purtroppo poche aziende oggi interpretano il mondo contemporaneo correttamente e spesso quando parlano di giovani propongono stereotipi o, ancor peggio, parlano di – e ad – un mondo andato, semmai quello della Generazione X. E tra la necessità di conformismo dei giovani degli anni ’80 e la volontà di connessione di quelli di oggi c’è un abisso: il marketing rivolto alla prima aggrega e uniforma, il marketing della connessione, invece, partendo dalle singole identità e rispettando le espressioni individuali, cerca un senso comune alle relazioni e un significato di gruppo. Il marketing della Generazione X è fatto di réclame e di spot in televisione; il marketing dei Millennials è fatto di storytelling e digitale. Il marketing degli anni ’80 è top-down; il marketing post 2000 è partecipativo e “convocativo” (non a caso il concetto di convocazione è alla base del modello di leadership proposto nel mio Intelligenza Collaborativa, ndr) Purtroppo molti dei direttori di marketing che dovrebbero capire e comunicare con i Millennials fanno parte della Generazione X e forse per questo fraintendono una generazione così diversa da loro.
È in questo abisso tra il vecchio e il nuovo marketing, quello nato dopo il Millennial (Big) Bang appunto, che si perdono i direttori marketing di oggi, alle prese con modalità di comunicazione non più efficaci, incerti sulle buone pratiche del mondo nascente.
Questo libro si propone di ridurre questo distacco, fornendo le logiche che accomunano il passato e il presente, per poi intraprendere il percorso verso il Post Millennial Marketing, grazie alla constatazione e valorizzazione delle differenze del contesto attuale rispetto a quello di ieri.
M.M. Mi fai due esempi di aziende: una che ha capito i nuovi trend, una seconda che invece è andata incontro a qualche “epic fail” per non averli capiti?
In positivo citerei SKY, con l’iniziativa SKY Academy: un’azione di corporate responsibility ma che bene si adatta allo STILE dei Millennials e segue le regole del Post Millennial Marketing. Poi potrei citare casi già noti come Nike, Coca-Cola, Diesel, etc… ma di questi ne è pieno il web. Penso sia molto in linea con il Post Millennial Marketing anche quanto stia facendo Vodafone per il segmento Young: si guardi l’offerta “Shake Remix” di questi giorni, molto in STILE dal prodotto, all’offerta fino alle creatività usate e dai mezzi. Anche di epic fail ve ne sono molti in rete, ma vorrei raccontare un caso vissuto in prima persona. Un’azienda di bevande alcoliche fece un’advertising che mostrava dei ragazzi chiusi in camera con il computer che, attratti da una situazione ben più allettante fuori, che ovviamente ruotava attorno a questo aperitivo, uscivano felici per finalmente socializzare all’aria aperta. Un flop totale, già dai primi focus groups, in quanto questa distinzione tra on e offline, tra camera e fuori, tra amici di serie A e amici di serie B suscitava incomprensione prima ancora che fastidio.
M.M. In generale, quali sono i tre passi fondamentali che le aziende dovrebbero compiere per mettersi sulla lunghezza d’onda del Post Millenial Marketing?
F.C. Innanzitutto ascoltare in modo proattivo i propri target (che siano consumatori, utenti, stakeholder o persone…): oggi non basta più ascoltare e sicuramente passiamo troppo tempo ad ascoltare per rispondere, dimenticando di capire e di dialogare davvero nel momento stesso in cui stiamo ascoltando. Poi un’altro passo fondamentale del frame è il comparire nei momenti in cui si palesa un profilo e un need in un dato contesto: non si tratta di puro e semplice programmatic buying di spazi media, ma di un più complesso sistema ingegneristico in cui contenuti straordinariamente sorprendenti possano emergere nei momenti di rilevanza dell’utente, nei contesti e media più opportuni. Come terzo citerei il Brand Purpose: una volta accettata la sfida della frammentazione dei messaggi, occorre riconnettere tutto con il purpose, esplicitando il ruolo che l’azienda vuole darsi nella vita e nel quotidiano delle persone, il valore che intende fornire in cambio dell’engagement e della loyalty. Non basta avere una alta awareness e un’ottima brand image: oggi occorre fare un passo ulteriore, dotarsi di un sistema di valori che possano far riconnettere al consumatore tutti i punti trovati per strada nel suo percorso, attraverso i molteplici touchpoint che sapremo utilizzare.