Digitalizzazione o morte
La rivoluzione digitale sta riscrivendo le regole della concorrenza e molte imprese tradizionali stanno sempre più seriamente rischiando di essere lasciate indietro e addirittura di essere cancellate. Come ho avuto modo di ribadire nel corso della Convention Cisco svoltasi a Riccione l’8 maggio (vedi qui il video del mio intervento), il mondo sta passando dall’economia tradizionale (quella di Adam Smith, di Marx, di Taylor) ad un nuova modalità variamente chiamata Wikinomics, Creative Economy, Sharing Economy, ma che comunque è fondata sulle logiche completamente nuove della condivisione, della co-creazione di valore, dell’intelligenza collaborativa. Interi settori di business stanno subendo radicali trasformazioni: basti pensare al terremoto che in questi giorni sta scatenando una app come Uber nel mercato dei servizi di trasporto per avere una idea di come da un giorno all’altro mercati ritenuti stabili e impermeabili al cambiamento possano essere totalmente sconvolti.
Sul numero di Maggio 2014 della McKinsey Quarterly Martin Hirt e Paolo Willmott offrono alcune interessanti indicazioni strategiche su come le aziende dovrebbero affrontare questo drammatico momento di cambiamento: uno di quelli che, secondo il CEO di una importante banca internazionale, “si verificano una volta ogni 100 anni”. Riprendiamo qui alcuni punti salienti della loro analisi, che confermano, ancora una volta, come la risposta a questa transizione epocale consista nel passaggio ai nuovi modelli di social organization.
Opportunità e minacce
La digitalizzazione abbassa le barriere all’ingresso, determinando la caduta di confini ritenuti per molto tempo invalicabili. Al tempo stesso, la natura “plug and play” delle risorse digitali provoca la disaggregazione di intere catene del valore, creando aperture per concorrenti focalizzati su una specifica value proposition e in rapido movimento. I nuovi operatori di mercato spesso possono ottenere significative economie di scala rispetto ai player tradizionali e ottenere rapidamente alti margini di profitto.
Sarà la capacità di disporre di competenze digitali (e quindi, aggiungo io, di “open” leadership) che determinerà quali tra le aziende tradizionali creeranno o perderanno valore in un contesto evolutivo che segue un percorso ormai chiaro (indicato in figura): nuove tendenze emergono e appaiono nuovi player dirompenti; i loro prodotti e servizi sono utilizzati dai cosiddetti early adopters; le aziende tradizionali cominciano ad adattarsi a questi cambiamenti, accelerando processi di collaborazione e di co-creazione di valore con i clienti e quindi con tutti gli altri stakeholder, a partire dai dipendenti (di qui la necessità di allineare anche le conversazioni interne alle logiche del web 2.0, il che richiede l’attivazione di processi di social HR). Alla fine, quello che inizialmente era cambiamento radicale diviene la “nuova normalità” e gli operatori storici impreparati corrono il rischio di diventare il prossimo Blockbuster. Altri, che hanno costruito con successo nuovi prodotti e servizi, diventano i player di riferimento.
In questo quadro, le opportunità per le aziende che abbracciano i nuovi modelli di social organization (da confrontare con quelle indicate in Social Business=#SocialHR: due eventi IBM per fare il punto sulla Social Organization) comprendono:
Migliorare le interazioni tra i clienti, i fornitori, altri stakeholder esterni e dipendenti. Per molte operazioni, i consumatori e le imprese preferiscono sempre più i canali digitali, che rendono i contenuti universalmente accessibili mescolando mezzi di comunicazione (grafica e video, per esempio), adattando i messaggi per il contesto di riferimento (che fornisce la posizione geografica del cliente o informazioni demografiche) e soprattutto consentendo di edificare community online attorno a temi e bisogni specifici. Questi canali consentono di abbassare il costo delle transazioni e di registrarle in maniera trasparente, ciò che può aiutare nella risoluzione delle controversie.
Migliorare il processo di presa di decisione gestendo i big data provenienti da tecnologie sociali o dall’Internet of things. Questo contribuisce a migliorare le prestazioni delle varie funzioni aziendali – per esempio, prevedendo stanziamenti per operazioni di marketing mirate (fino al livello di singoli consumatori) – o a mitigare i rischi operativi.
Attivare nuovi modelli di business e operativi, come l’innovazione di prodotto peer- to-peer o il servizio clienti. La cinese Xiaomi sviluppa le funzionalità dei suoi nuovi cellulari attraverso processi di co-creazione con i clienti, piuttosto che investire massicciamente in R & S, mentre Telstra ha impostato il customer care in modo tale che gli utenti si sostengono a vicenda per risolvere i problemi senza spese per l’azienda. Nuovi modelli di business o di lavoro possono anche disintermediare la catena cliente-fornitore – così accade quando quando gli sviluppatori di board-game fabbricano prodotti utilizzando stampanti 3-D che vendono direttamente ad Amazon.
In sintesi, la visione che la stessa McKinsey aveva proposto ormai due anni fa nel celebre report sul “tesoro nascosto” della social organization si sta dispiegando nella realtà in modo estremamente rapido. In questo quadro è interessante ricordare anche l’ultimo rapporto Forrester commissionato da Tibco (Febbraio 2014) che ha calcolato l’impatto economico della trasformazione dei processi tradizionali in processi basati sul lavoro collaborativo online, secondo una metodologia che anche io sto applicando nel mio lavoro di consulente. I risultati sono incredibili: un ROI del 333% dopo 7,6 mesi dalla trasformazione e un risparmio medio di quasi 2 milioni di dollari dopo tre anni con 10 processi core passati alle nuove modalità di social collaboration.