Il gioco della letteratura

Massimo Pietroselli, una delle 100 personalità mutanti appartenenti alla LMS, ci regala un post che pubblichiamo con grande piacere. Pietroselli, nato a Roma nel  1964, è ingegnere elettronico e scrittore di mystery e fantascienza: il suo ultimo romanzo è "La porta sulle tenebre" (Mondadori, 2007). Il progetto delle Aziende In-visibili lo ha subito colpito, poiché sostiene che la letteratura è un gioco intellettuale, serissimo come tutti i giochi: come negli scacchi, ogni giocatore vi apporta la propria creatività, il proprio stile; come gli scacchi, ha sottili rapporti con la realtà, eppure la trascende. Nella complessa partita delle Aziende In-visibili, ha giocato per i colori di Zemrude (Episodio 43, Complementarietà aziendale).       

Il progetto delle Aziende In-Visibili rivitalizza il concetto della letteratura come gioco combinatorio, come costruzione di una struttura più o meno complessa: insomma, l’idea dell’Oulipo (d’altra parte, si ispira a un lavoro di Italo Calvino e non poteva dunque essere diversamente).

La vera caratteristica della letteratura sta nella costruzione, a mio parere; nella Forma invece che nella Sostanza. Dopotutto, come sostiene Franco Ferrucci, dai tempi di Omero non facciamo che scrivere dell’assedio o del ritorno; oppure, per dirla con le parole di As Time Goes By, "è sempre la stessa vecchia storia/una lotta per l’amore o per la gloria/una faccenda di azione o di morte".

E’ la struttura che modifica continuamente la stessa vecchia storia.

Vorrei proporre le parole di due scrittori, al proposito: Stevenson e Poe. A distanza di anni, infatti, i due hanno detto cose molto simili.


Ecco Poe, in "La filosofia della composizione":

Molti scrittori preferiscono far credere che compongono con una specie di sottile frenesia o estatica intuizione, e certo rabbrividirebbero se dovessero consentire al pubblico di dare un’occhiata dietro la scena e vedere le ruote e i rocchetti, i paranchi per il cambiamento di scena, le scale e le trappole… tutto l’equipaggiamento che 99 volte su 100 costituisce la prassi comune dell’histrio letterario.


Gli fa eco Stevenson, in "Alcuni elementi tecnici dello stile nella letteratura" (titolo che è tutto un programma):

Non c’è effetto più smagante per l’uomo del mettere a nudo le molle e i meccanismi di qualunque arte. Ogni nostra arte o mestiere svolge il proprio incantamento in superficie: è in superficie che ne percepiamo la bellezza, la pregnanza, il significato. A grattar sotto, restiamo sempre sgomenti del vuoto, e sbalorditi dinnanzi alla rude congerie di funi e di pulegge…

Se avessimo la capacità di scoprire l’origine di quegli artifici, impiegati più o meno consapevolmente, che riteniamo poco dignitosi per un artista serio, ne trarremmo indicazioni sulla raffinatezza del senso molto più sottili di quanto crediamo, nonché un lontano riverbero delle antiche armonie della natura…

Devo avvertire quel ben noto personaggio che è il lettore comune che, in queste pagine, mi sono imbarcato in un’impresa sgradevole: quella di staccare il dipinto dalla parete per scrutare dietro la tela o, come il bambino armeggione, di smontare il balocco sonoro per vedere com’è fatto dentro.

Non voglio certo arguire, sulla scorta di queste autorevoli valutazioni, che la letteratura e le altre arti siano riducibili a pura meccanica: ma solo che lo scrittore non scrive le proprie opere in pieno, e cieco, furore creativo. E se è vero che molti scrittori lavorino spesso a livello inconscio (lo stesso Stevenson affermerà questo: "Sono ancora un lentone, e covo a lungo in silenzio le mie uova. Pensiero inconscio, ecco l’unico sistema; macerate il soggetto, fatelo bollire lentamente, alzate il coperchio e guardate. Il piatto è pronto, buono o cattivo che sia"), credo comunque che non esista contraddizione: solo dopo aver appreso le tecniche, infatti, l’artista può dimenticarsene. Bisogna imparare il mestiere per poter lavorare, con successo, a livello inconscio.


Provate a scendere le scale badando a mettere un piede avanti all’altro, e cadrete.
Ma provate a scendere le scale senza saper camminare: non ve la caverete molto meglio.

Concludo con le parole di Nabokov in margine a "Lolita":

Ci sono anime miti che giudicherebbero "Lolita" insignificante perché non insegna loro nulla. Io non sono né un lettore né uno scrittore di letteratura didattica… Per me, un’opera di narrativa esiste solo se mi procura quella che chiamerò francamente voluttà estrema, cioè il senso di essere in contatto, in qualche modo, in qualche luogo, con altri strati dell’essere dove l’arte (curiosità, tenerezza, bontà, estasi) è la norma. Non ce ne sono molti, di libri così. Gli altri sono pattume d’attualità o ciò che alcuni chiamano la Letteratura delle Idee, la quale consta molto spesso di scempiaggini di circostanza che vengono amorosamente trasmesse di epoca in epoca in grandi blocchi di gesso finché qualcuno non dà una bella martellata a Balzac, a Gor’kij, a Mann.

Postato dalla personalità mutante di: Massimo Pietroselli

  Post Precedente
Post Successivo