Per la serie Le Aziende nascoste, una nuova rensione postata da Pino Varchetta: La famiglia Savage (regia Tamara Jenkins)
E’ tutto uguale: il colore del cielo che si specchia senza soluzione di continuità su quello delle case, allineate, una uguale all’altra, come lo sono i cammelli ai limiti del deserto in procinto di formare la carovana per il lungo viaggio che li attende. Le case corrono dritte, formando lunghi viali percorsi da rare, silenziose vetture, sempre guidate da una sola persona, per lo più donna, per lo più di età media.
Le condizioni atmosferiche paiono sempre le stesse: si vive ai limiti del deserto, il clima è secco temperato, con poco vento. La vegetazione non si può definire lussureggiante, ma è presente, ordinata e prevedibile anch’essa, senza sbavature, senza eccessi; tutto nella media. L’aria che si respira è quella di un dopo inaugurazione e tutti si muovono attraversando la città come mossi da un copione predefinito, vicini gli uni agli altri, per lo più silenziosi, sorridenti ma insieme mesti. Avvicinandosi attraverso una focale non troppo aggressiva, diciamo un 85 mm., si potrebbe scoprire una serie di volti non più giovani ma non troppo vecchi, paffuti in genere, non segnati da molte rughe, abbronzati, abbigliati da sempre in vacanza, bermuda, calzettoni al ginocchio per gli uomini, gonne larghe per le donne, ovviamente scarpe da ginnastica, tipo Nike, Adidas, e, ancora, cappellino a visiera per tutti. Camicette e polo per le donne, camicie e polo per gli uomini. Talvolta da lontano puoi intravedere una sagoma controluce, incerta, appoggiarsi a un bastone-stampella e nel silenzio attonito è come se si sentisse un sottovoce parlare di menischi, legamenti, osteoporosi. Nessun segno per così dire di autorità pubblica, di pubblici uffici, di pubblici servizi. L’autonomia e l’autosufficienza sono protette da una rete invisibile ma presente di seconde anime dentro le case tutte uguali, che accompagnano aggiungendo prevedibilità a prevedibilità, deserto a deserto. E’ un luogo, la città falsa, pensato per madri e padri in attesa di. Un padre inizia a stare meno bene. Qualcuno dice che sta scivolando nella demenza senile; imbratta, infatti, le pareti del bagno con le tracce delle proprie deiezioni. L’evento esce dalla norma e richiama gli estranei. Due figli, entrambi di mezza età, una donna e un uomo, entrambi feriti, entrambi alla ricerca di un breve spazio nell’industria culturale; entrambi si occupano di teatro e portano le tracce di una madre che li ha abbandonati alle elementari e di un padre che è stato per lo più assente e che ora imbratta i bagni che frequenta. I due si sono sentiti sempre poco, sopportati da lontano, non senza un tratto di nostalgica affettività, accomunati da una vita grama, tenuta dentro tuttavia e mai esplosa, mai elaborata. L’evento del vecchio padre li riconduce da luoghi lontani e diversi alla città falsa. E in quel panorama color pastello, perfetto, senza alcuna lacerazione apparente, i due ragazzi non più giovani appaiono veri, nella loro fragilità, nel loro spavento, nella loro impotenza, nel loro rinfacciarsi astii mai sedati e nel loro rivolersi bene come quando erano fanciulli, soli, una madre lontana e un padre presente ma senza una effettiva comprensione. In qualche modo sopravvivono, in qualche modo stivano il padre strappandolo dalla città falsa e planando insieme in un luogo di dolore ma colmo di ascolto e di comprensione. E quando il padre muore, se non piangono, si risentono dopo un lunghissimo intervallo ancora famiglia, e nel lasciarsi ripartono per le loro diverse città vere, dove riprenderanno a lavorare e a sognare, curati da quell’intervallo nella città falsa alle prese con un mondo profondamente feroce. Postato dalla personalità mutante di: Pino Varchetta