Così Gianluca crede che dal viso si possa passare al pensiero, dalla superficie delle cose alla loro profonda incomunicabilità. Eppure lui non ha nemmeno un avatar, perché, figurati, avrebbe voglia di mollare tutto e trovarsi un lavoro come tanti, anonimo. Il controllore vorrebbe fare, sui treni. Ha capito che a viaggiare con la mente, finisci che resti a terra e senza una lira. Io non lo capisco, s’è inventato tutti questi nomi, nessuno dei quali serve a capire qualcosa in più di lui, quanto a confondere, fingere, nascondersi. Sai? Mi ha chiesto di descrivere la seconda parte del VII capitolo del romanzo a colori Le Aziende In-Visibili. Dovrò presentarmi e dire che sono Leo Bloom, che sono stato creato per fare il ‘regista’, e così mi sono avventurato nel suo loculo. Era terribile, lì dentro era nebuloso come lo stato d’animo da cui ero attraversato, come era scritto a pag. 270. Essere dei personaggi elettrici implica una totale compenetrazione tra ambiente interno ed esterno. Io ero l’ambiente che stavo trasformando attraversando.
Cercava di spiegarmi, di darmi delle dritte mentre eravamo a cena, su cosa avrei potuto scrivere. Ero totalmente immerso nel suo circuito cerebrale e quello che ho cominciato a provare è stato tremendo. Una nausea insopportabile cui non potevo sottrarmi, legato com’ero al suo ambiente neurodigitale dove non ci sono né soffitti né pavimenti né pareti ma gorghi infiniti e impossibili a decifrare. Potevo intuire il perché: l’episodio 90 si estende dalla pag. 275 alla pag. 277 e il titolo (TEST ATTITUDINALE) lo angoscia. Non è servito togliersi tutte le maschere e presentarsi con il nome che ha generato tutti gli altri, per essere sicuro di essere un umano: l’alterazione radicale dei sensi (con cui si conclude l’episodio 90) lo ha reso certo di essere un produttore di segnali elettrometaforici. Capito in che senso? Usa me e gli altri eteronomi non come fossimo semplici nickname ma come contenitori emozionali adatti a contenere parti del suo sé che sono incoerenti con la sua idea di perfezione. L’unico modo per essere il suo nome è il palco. Catapultato sul palco, appena uscito dalla stanza e dietro un microfono a leggere le sue nevrosi. Amplificare la sua fonica è un modo metaforico che tra gli umani occupa lo stesso posto delle piattaforme presso di noi. Oh… tranquillo ti spiego meglio: lui usa le piattaforme per incrociare, riempire, colmare il suo spazio ontologico di preassenze, per trasmettere vita alla sua presenza reale, se così non fosse non si spiegherebbe perché conduce i suoi elettronimi in dispositivi acustici amplificanti: i personaggi elettrici sono come i suoni di p. 278 che in uno spazio mentale imbottito di nulla, non vibrano. Ma non di lui dobbiamo parlare, su questo si è raccomandato tanto, quanto di questo: le parole creano dipendenza, proprio così è scritto a pag. 282. La conseguenza nefasta è l’astinenza della scrittura dalla quale i suoi sbalzi d’umore dipendono; ecco perché, invece di semplificare, Gianluca amplifica e moltiplica gli elettronimi e le piattaforme e in questo trova buon avallo nella crossmedialità e nella transconcettualità degli altri umani che incrociano destini reali così come noi intrecciamo tappeti volanti di sogni ridotti a stracci intermittenti di lucciole al neon. Lo so, Viktor, in me non riconosci il solito semplice Leo Bloom, per questo motivo dovrai sforzarti di dimenticare non solo il me stesso di cui sei pratico, ma il te stesso di cui conosci la perfezione della quasi morte.
Quando decise di inventarmi per tenere compagnia a te, amico in coma vegetativo da anni ormai, lui non sapeva di aver fatto un servigio al suo narcisismo, al suo ego deponente in via di frantumazione definitiva. Ma lasciamo stare! Intanto continuavo a leggere le pagine e quasi alla fine della mia consegna a p. 284, leggo: dove vanno a finire questi ricordi sottili, questi aloni mnemici, queste fantasime luminose, questi afflati spirituali? Qui non potevo non bloccarmi e trasgredire alla gerarchia che ci vuole sottoposti alle azioni automatiche degli ego umani: la psiche di chi ha creato questo nostro metamondo non può sottostare alle regole che vorrebbe imporre a noi. Che significa? Che le nostre azioni annullate, cestinate, spariscono e basta come una cadavere in un body bug, come il suo desiderio di non avere aspettative? No! Noi, lui non lo sa che trasformiamo il nostro passato e il nostro non esser-ci in qualcosa di presente sotto altre forme e che l’inconscio elettrico è il futuro atemporale delle sue scelte. Bene, lasciamo perdere… stiamo complicando concetti che di per sé hanno l’odore dell’aria fritta e ormai crede pure lui che solo a sognare si diventa personaggi elettrici, in-visibili. Allora ecco: ti leggo qualcosa che lui scrisse quando noi non c’eravamo ancora: “parlare del Teatro, è parlare di un s-oggetto; di un io che scrive di un oggetto.
Tutto è giocato, o agito, sulla nuova distanza (rapporto) tra oggetto e io: è vero che il metafisico e il sociale arrivano simultaneamente ed io, in quanto scrivente posso scrivere del teatro, ma ciò che in questo momento vedo e vivo, sono le parole di altri.
Metafisico è dunque il fatto che la parola, hic et nunc, cerchi di avvicinarsi alla comprensione di un Corpo impegnato in un evento extraquotidiano o in un rito a cui io non posso assistere: metafisico è dunque ‘prima del corpo’, o assenza del corpo intorno al quale la parola è vibrata come un tatuaggio sulla carne ideale del discorso e non sul corpo vero e proprio in carne e ossa.
Sociale è il processo che avviene oltre il Corpo che esibisce dei significati validi, solo se è presente un pubblico: sociale è l’utilizzo da parte mia di parole già dette in occasione d’eventi teatrali e rituali, ai quali io non posso assistere.”
Quanta pena mi fa, davvero! Non fa altro che restare immobile davanti al monitor, avanguardie delle nostre presenze, tracciando campi invisibili di narrazione e fruttificando l’ansia in lunghe attese, scrivendo commenti cancellando ‘amici’ sottraendosi alla mondanità degli inviti a cena e incontri con fumettisti internazionali sempre nella attesa che noi gli si appaia come Carmelo Bene alla madonna. Senti cosa ha scritto oggi mentre mi spiegava cosa avrei dovuto scrivere:
Gianluca ha ritrovato la calma e oltre il monitor l’elettronimo Leo fa un cenno con la testa e lo saluta. 3.41
Gianluca ha finalmente la sensazione di vagare notturno e solitario per la via nera e bagnata di luce e di pioggia. 3.40
Gianluca ricolloca la sua subcoscienza accanto agli elettronimi sulla credenza dell’impossibilità dei giudizi. 3.34
Gianluca chiede a Leo Bloom come si possa diventare personaggi elettrici, monaci eremiti solitari in lontanissimi campi magnetici via dalla mondana piacevolezza. 3.31
Gianluca ringrazia Leo Bloom per averlo aiutato a descrivere la seconda parte del settimo capitolo de le aziende in-visibili. 3.28
Gianluca amerebbe essere eymerich. 1.28
Gianluca non fa niente. Scrive commenti e poi li cancella. Tutto è una farsa. 1.16
Gianluca ,infine, vorrebbe vedere un enormissimo fungo atomico all’orizzonte e la penisola sprofondare come atlantide… 19.20
Gianluca è stato battuto dal demone dell’insignificanza e allora va a nanna. 17.52
Gianluca esce a bere un caffè poi farà scrivere Leo Bloom la seconda parte del post per Marco. 16.51
Gianluca combatte con il demone cattivo che vorrebbe gettarlo nel down depressivo immotivato. Leo mi aiuta, Bimodale pure. 16.48
Gianluca pensa che una giornata vuota e densa di grigio come questa, potrebbe casualmente anche essere l’ultima ma Leo Bloom lo invita a desistere. 15.55
Gianluca ha pranzato con Leo Bloom e ascolta i Cure. 15.52
che non sia io, Leo Bloom, un elettronimo, l’evanescente oggetto del (suo) proprio desiderio? Come avevo letto alla pagina 286, alla fine del settimo capitolo? Tu che ne pensi, Viktor? Può essere che dopo la morte degli umani ci sia la nostra dimensione? Che non esistano angeli e fantasmi ma solo elettronimi e personaggi elettrici. Che desideri noi, quando desidera morire?