La (Business) Intelligence della Direzione HR
L’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence del Politecnico di Milano ha pubblicato il Rapporto Big Data: come orientarsi nel labirinto?, focalizzato, si legge nell’Introduzione, sui seguenti obiettivi:
“monitorare lo stato di diffusione delle soluzioni di Big Data Analytics & Business Intelligence;
identificare i benefici e analizzare le barriere all’adozione di tali strumenti;
analizzare gli impatti delle soluzioni di BDA & BI sull’organizzazione della Direzione ICT;
indagare le applicazioni di Social Analytics;
censire i casi di successo;
comprendere il ruolo svolto dalle startup nell’ambito delle soluzioni di BDA & BI”.
Il linguaggio utilizzato sembrerebbe indicare che il Rapporto propone elementi di studio interessanti solo per chi si occupa di ICT, Marketing e Pianificazione; il che corrisponde al punto di vista implicitamente adottato dai ricercatori, quello per cui è il driver tecnologico a guidare l’innovazione aziendale. Un punto di vista che naturalmente non può essere quello dello Humanistic Management 2.0, secondo cui il rinnovamento del modello cognitivo e culturale viene prima di quello organizzativo e tecnologico in qualsiasi processo di change management. Il che non significa che HR e tecnologia non debbano parlarsi; anzi, come abbiamo scritto commentando un altro Rapporto del Politecnico, l’Innovazione HR è necessariamente sempre più social, collaborativa e digitale.
Se questo dialogo non si accende, accade fra le altre cose quello che indicano i risultati esibiti dagli studiosi del Politecnico di Milano: l’HR fanalino di coda fra le funzioni che utilizzano i Big Data in azienda. Viceversa, il Rapporto contiene elementi che credo sia opportuno portare all’attenzione dei Direttori HR, per indurli a confrontarsi più attivamente con questo tema, senza delegare la “Business Intelligence” ad altri (implicitamente riconoscendosi ancora alfieri di quello Scientific Management radicato nella stupidità diffusa di chi “è pagato per lavorare e non per pensare” e sulla centralità di un approccio gerarchico in cui le funzioni chiave sono affidate troppo spesso ai cosiddetti “utili idioti”: che saranno senz’altro utili a qualche cordata di potere interno, ma restano degli idioti ai fini del raggiungimento degli obiettivi aziendali).
Mi rivolgo dunque ai Direttori HR delle aziende (fortunatamente sempre più numerose) che stanno affrontando il percorso evolutivo verso la social organization, adottando una chiave di lettura dell’impresa, fondata sull’approccio che seguo anche nel mio lavoro di consulente Hitrea, secondo cui la Direzione HR costituisce uno dei motori propulsivi fondamentali del cambiamento teso a fare emergere e sviluppare l’intelligenza collaborativa diffusa nell’ecosistema aziendale. In questo quadro, il tema dei Big Data rappresenta un banco di prova cruciale su cui misurare la capacità della funzione Risorse Umane di evolvere verso metodi e processi ispirati a logiche di Social HR, come accennavamo già nel post La primavera delle Social HR.
Cosa sono i Big Data
Per prima cosa, occorre capire di cosa stiamo parlando. I ricercatori del Politecnico offrono la seguente definizione di Big Data: “la crescita delle fonti informative disponibili e della relativa mole di dati prodotti, affiancata dalla disponibilità di tecnologia di elaborazione e storage più potente e accessibile a minor costo, ha portato nel corso degli ultimi anni nelle grandi imprese a livello internazionale la consapevolezza di dover raccogliere e analizzare efficacemente le enormi moli di dati sia strutturati che destrutturati, creati dai propri sistemi informativi aziendali e disponibili da altre fonti esterne. I Big Data sono il risultato della collezione di tali informazioni e sono caratterizzati da proprietà quali volume, velocità e varietà: la quantità di dati è tale da rendere inefficiente il ricorso a database tradizionali e richiedere l’utilizzo di sistemi di memorizzazione scalabili; sono elevate la frequenza di aggiornamento del dato e la rapidità con cui il dato è memorizzato, storicizzato ed elaborato; le fonti sono tra loro estremamente eterogenee per origine, contenuto e rappresentazione”.
“In particolare”, si legge poco dopo, “è possibile classificare gli strumenti di Analytics in due principali categorie di sistemi di BDA & BI:
Performance Management & Basic Analytics, l’insieme di strumenti di Descriptive Analytics che permettono di accedere ai dati secondo viste logiche, flessibili e dinamiche e di visualizzare in modo sintetico e grafico i principali indicatori di prestazione. Si tratta di un’analisi passiva, che mira a rappresentare in modo tempestivo i dati mediante funzionalità di query e reporting, limitandosi a offrire una vista logica dell’esistente;
Advanced Analytics, l’insieme di strumenti avanzati che consentono di gestire con efficacia processi decisionali di elevata complessità attraverso l’utilizzo di metodologie evolute di prescriptive e predictive analysis, come modelli e metodi matematici di forecasting, statistica, data mining e ottimizzazione, consentendo di determinare trend e prevedere il valore futuro di variabili numeriche e categoriche”.
L’uso dei Big Data nelle 4 fasi di sviluppo organizzativo
Nella mente dei Direttori HR in ascolto dovrebbe essersi senz’altro accesa qualche lampadina: il Performance Management non è forse di loro stretta competenza? La Pianificazione del personale non è forse un’attività chiave? La capacità di leggere le conversazioni interne estraendo (data mining) gli elementi anche qualitativi che influiscono sul clima aziendale e quindi sulla produttività (in una parola: misurare l’engagement) non è forse un elemento essenziale per edificare quello che oggi va di moda definire un Winning Workplace?
Già l’anno scorso del resto una ricerca Deloitte aveva messo in luce le enormi potenzialità dell’utilizzo dei sistemi di Analytics per la funzione HR, posizionando le aziende lungo 4 stadi di un percorso evolutivo che corrispondono quasi perfettamente ai 4 livelli di trasformazione organizzativa che porta dall’azienda tradizionale gerarchico-burocratica alla social organization così come li descrivo nel primo capitolo del libro L’intelligenza collaborativa. Verso la social organization (vedi anche: Dal management 1.0 alla social organization: una trasformazione in 4 mosse).
In breve, il modello dimostra che le organizzazioni possono passare dall’essere “reattive” a “proattive” per arrivare a porsi quindi su un livello più specificamente “strategico” ed infine “predittivo”. Come mostra la ricerca, si può provare a “saltare” qualche livello, ma poichè “natura non fecit saltum”, Deloitte consiglia un approccio di sviluppo graduale, esattamente come faccio anche io quando supporto processi di crescita verso la social organization.
Abbattere i silos organizzativi che escludono la funzione HR dai processi di innovazione
Al cuore di tutti questi trend evolutivi si pone l’ineludibilità della rivoluzione social, come conferma lo stesso Presidente del MIP Gianluca Spina nel suo contributo a L’intelligenza collaborativa: “Due cose mi colpiscono nell’appassionato discorso di Marco Minghetti per convincere il lettore generico, ma forse ancor più il manager «old economy», della potenza trasformativa del lavoro collaborativo sostenuto dai social media. La prima è l’inevitabilità della rivoluzione… La pervasività dei social media è già oggi tale da rendere il fenomeno irreversibile. Dunque le aziende e più in generale le organizzazioni non potranno più permettersi di ignorare o addirittura contrastarne l’utilizzo quando gli individui che fanno parte dell’organizzazione li considerano naturalmente parte integrante della loro giornata, del loro modo di rapportarsi agli altri e, in definitiva, della loro vita… Il secondo elemento di rilievo delle considerazioni di Minghetti (con, nel mio caso, un impatto personale probabilmente non intenzionale da parte dell’Autore) sta in questo: quanto le considerazioni svolte si applicano in modo anche più radicale al «mio» business, quello della formazione del capitale umano e della classe dirigente”.
Anche Spina, con le sue riflessioni, evidenzia dunque come si imponga nelle aziende l’allineamento delle conversazioni interne con quelle esterne attraverso un sempre maggior utilizzo dei social media e delle community a queste associate (cfr. Online Customer Communities. Il Report Gleansight 2013).
Come dicevamo in apertura, il Rapporto sui Big Data del Politecnico appare invece fortemente sbilanciato, oltre che sull’ICT, sul versante del Social Media Marketing, trascurando l’analisi dei riflessi della questione sulle Social HR. Ad esempio, così descrive le potenzialità dello strumento della Social Network Analysis: “L’analisi delle interazioni tra utenti, siti web, pagine di interesse, aziende e prodotti apre nuovi scenari nella segmentazione della customer base, permettendo di cogliere la nascita di nuove tendenze o l’abbandono di prodotti o servizi specifici dell’azienda. L’estrema diffusione di dispositivi mobili sempre connessi genera, inoltre, un traffico sempre più geolocalizzato ridefinendo il concetto di “qui ed ora”. L’utilizzo di queste informazioni, ad esempio dei dati tweet geolocalizzati, permette di progettare azioni di marketing più mirate”.
Tutto giusto, ma la descrizione sarebbe stata più completa se avesse ricordato che, come scrivo ne L’intelligenza collaborativa, “il primo passo da compiere nella costruzione di una community interna può consistere nell’applicazione di un metodo denominato organizational o social network analysis: l’analisi delle interazioni che hanno luogo nell’impresa, individuando i nodi «significativi» (persone e argomenti) con riferimento ai quali le informazioni vengono scambiate.
Il sistema può gestire un numero rilevante di informazioni che, opportunamente raccolte ed elaborate in un database dedicato, vengono rappresentate graficamente in mappe cognitive di facile interpretazione. L’elaborazione dei dati consente infine di ottenere in tempo reale un numero rilevante di mappe che visualizzano le dinamiche relazionali sia del sistema organizzativo globale sia di aree specifiche, fino al dettaglio relativo a singole posizioni o persone”. In altre parole consente la visualizzazione di quello che lo Humanistic Management definisce il Personigramma spesso oscurato dall’Organigramma.
Per approfondimenti sul piano teorico si veda l’articolo di Bugatti e Gatti pubblicato a settembre su Sistema Impresa: Migliorare le performance organizzative aziendali attraverso l’utilizzo dell’Organizational Network Analysis (ONA). Due concrete case history di Social/Organizational Network Analysis applicata all’interno della Direzione HR sono state presentate da Nicola Pelà, Direttore HR di Luxottica e da Massimo Mazzuoli, Direttore Organizzazione di Gucci, nell’ambito della Giornata Social HR realizzata da Hitrea in apertura del Digital Festival 2103.
La necessità di una governance coordinata dei processi di Knowledge Management
Solo se lo si pone nel contesto tipico del social business, fondato sull’abbattimento delle barriere fra esterno ed interno e sull’apertura dei silos organizzativi (a partire da quello che divide la funzione HR da tutte le altre), assume un significato strategico il doppio rilievo proposto dalla ricerca del Politecnico di Milano: proprio come accade con i progetti relativi alla trasformazione in social organization basati sulla creazione di community collaborative, presieduti dalla funzione HR, anche quelli connessi alla Business Intelligence da una parte sono essenzialmente riportabili all’area del Knowledge Management (cfr. I dieci processi da sviluppare in chiave social secondo McKinsey ) e dall’altra “richiedono una governance coordinata per permettere di raggiungere benefici quantificabili e di lungo periodo” (cfr. Quale Team per il Cambiamento Strategico?).
Purtroppo, come dicevamo, la visione del Rapporto appare limitata e parziale, per cui alla domanda “Quale governance per i Big Data Analytics & la Business Intelligence?”, la risposta che viene offerta è la seguente: “L’analisi mostra che in prevalenza il controllo e la gestione sia compito del Business Intelligence Manager (34%), direttamente del CIO (24%) o di un riporto dello stesso (27%). Nel 3% del campione se ne occupa un Knowledge Manager, mentre nel 12% dei casi non esiste un referente formalizzato. La crescita delle fonti informative e della quantità di dati richiede una crescente consapevolezza delle opportunità che gli analytics possono offrire. Nel campione analizzato emerge come nel 21% dei casi sia già presente un’unità specializzata nella gestione delle progettualità con professional e key user di diverse funzioni aziendali. A maggior ragione solo in alcuni casi sporadici la gestione viene demandata all’esterno (6%), mentre nel restante 68% del campione il progetto viene gestito esclusivamente all’interno della funzione ICT stessa”.
Analogamente, la domanda su chi governa i Social Media trova questa risposta: “I Social Media stanno avendo una crescita disarmante negli ultimi anni, ma sono pur sempre un fenomeno venuto alla ribalta da poco tempo. L’interesse verso questi canali, percepiti a ragion veduta come nuovi strumenti per arricchire la relazione con il cliente, risulta ad oggi appannaggio delle funzioni di Marketing (nell’88% del campione), della Comunicazione (77%) e del Customer Care (30%). Nella maggioranza dei casi il Marketing (56%) coincide con la funzione che ne governa i progetti. Raramente la governance è affidata alla Direzione ICT (6%), mentre più spesso è demandata all’esterno dell’organizzazione e si rapporta con la funzione Marketing all’interno dell’impresa (14%). In un quarto del campione, invece, non esistono risorse dedicate al governo delle iniziative Social, che vengono gestite, qualora presenti, con un approccio tattico e contingente”.
Come si vede la Direzione HR (salvo per quel 14% riferito al raccordo fra Comunicazione Interna ed Esterna) sembra essere completamente tagliata fuori. Prendiamo atto di questo dato (senza dimenticare che la qualità delle risposte deriva in gran parte da come e a chi pongo le domande), aggiungendo tuttavia che la mia esperienza empirica e peraltro altri Rapporti di ricerca realizzati sempre dalla School of Management del Politecnico di Milano (come quello sopra citato sull’innovazione HR, ma potremmo aggiungere le ricerche su Smart Working e Social Portal) offrono fortunatamente una visione della Direzione HR molto più dinamica e proattiva su questi temi. Sorge un dubbio: non è che anche i diversi Osservatori del Politecnico Milano abbiano bisogno di una governance maggiormente coordinata, rompendo qualche “silos organizzativo” interno?