Smart manager per smart worker

 

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Sempre più frequentemente si discute di Smart Working, ma spesso con accezioni diverse e confuse: telelavoro, rivisitazione degli spazi fisici anche in ottica phygital, lavoro collaborativo in community online… Personalmente ho proposto questa definizione:  “lo Smart Working è l’approccio innovativo all’organizzazione del lavoro che si caratterizza per flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari di lavoro e degli strumenti, a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”. Tuttavia, riusciamo forse ad arrivare ad una ancora migliore comprensione del fenomeno se spostiamo l’attenzione dallo smart work inteso come modo di lavorare, allo smart worker, inteso come colui (o colei) che lavora in modo smart.

La questione allora diventa: chi è lo smart worker? Secondo l’originale visione esposta in maniera estremamente chiara nel volume SMART WORKING & SMART WORKERS. Guida per gestire e valorizzare i nuovi nomadi di Tiziano Botteri e Guido Cremonesi , lo smart worker è un individuo che lavora in modo nuovo rispetto ad un passato stanziale: lavora dove vuole e quando serve, non ha orari fissi, utilizza strumenti informatici per svolgere la propria attività ovunque. La categoria comprende sia freelance che dipendenti, sia Millennials che cinquantenni. Non coincide con il telelavoro. È una modalità nuova di lavorare favorita indubbiamente dalle nuove tecnologie ma anche dalla trasformazione in senso “smart” sia del lavoro in sé che delle organizzazioni. Gli autori delineano il ritratto di questo nuovo tipo di lavoratore – che definiscono “nomade” – osservandolo da diversi punti di vista. La previsione è che col tempo il prefisso smart perderà la propria specificità e che tutti quelli che lavorano saranno, in qualche misura, “smart workers”, (un po’ come lo smart phone distingueva all’inizio solo un certo di tipo di telefono).

Per capire meglio di che si tratta abbiamo rivolto alcune domande ai due autori del libro.

M.M.:  Perché questo libro?

Lo scopo del libro è quello di fornire alcune indicazioni operative che servono a chiarire il senso dello smart working, la sua declinazione in chiave organizzativa e generazionale, il suo stato dell’arte anche in materia di regolamentazione legislativa italiana.

Si tratta di un tema che la rivoluzione digitale sta enfatizzando in modo radicale e che costituisce un aspetto essenziale su ciò che molte ricerche internazionali evidenziano, ossia il ‘prolungamento’ del lavoro a distanza e, più in generale, il futuro del lavoro. Un futuro che avrà un impatto notevole anche sull’evoluzione tradizionale della carriere in azienda e che non mancherà di trasformare diversi paradigmi lavorativi: il controllo delle attività, la tipologia di relazione professionale, i tradizionali processi HR.

M.M.: Cosa si intende per lavoratore nomade e intelligenza disseminata, concetti chiave nella vostra visione?

In presenza di un nuovo fenomeno, qualunque sia il campo in cui si manifesti, il lessico utilizzato tende ad assicurare una corretta divulgazione dello stesso. “Lavoratore nomade” è l’espressione italiana (e non solo) tramite la quale si vuole tradurre “Smart Workers”. Si sta parlando di professionisti e manager, assunti o liberi da vincoli contrattuali specifici con una singola azienda, che svolgono una parte consistente del loro job a distanza, in mobilità fisica e spaziale e che garantiscono la loro prestazione in condizioni nelle quali la stanzialità non riveste più l’importanza di prima. Ciò comporta una flessibilità oraria di non poco conto, la concertazione della pianificazione di più persone, una maggiore intimità con i progetti da seguire, una capacità della gestione della propria autonomia e maturazione della propria abilità lavorativa di luogo e di contributo

Il lavoro ‘stanziale’ è spesso etichettato come formale, poiché visibile in azienda e sottoposto ai tradizionali paradigmi organizzativi citati in precedenza. Invece nel lavoro ‘informale’, cioè quello mobile e nomade, assistiamo a una sorta di dispersione sul territorio (spesso anche vasto) del knowledge delle persone. E poiché lo Smart Working interessa in particolar modo – ma non esclusivamente – coloro che sono ricompresi nel bacino dei professionisti della conoscenza, ecco che viene introdotto il tema dell’intelligenza disseminata e non più solo presente nei luoghi dell’impresa. Ciò modifica in maniera sostanziale anche la gestione manageriale dei lavoratori nomadi e implica una maggiore attenzione al binomio Persone/Loro Conoscenze.

M.M.: Quale è il rapporto fra Digital Trasformation e Smart Working, sia dal punto di vista del modello cognitivo che sotto il profilo tecnologico?

La trasformazione digitale è ovviamente strettamente connessa con lo sviluppo di nuove forme organizzative di tipo smart e con l’evoluzione del lavoro verso lo Smart Working: è la disponibilità di strumenti tecnologici sempre più agili e costantemente connessi che rende possibile pensare di svincolare il lavoro da un luogo fisico (l’ufficio) e da un tempo stabilito (9.00 – 18.00) per approdare a forme più flessibili dove il lavoratore può lavorare ed essere produttivo potenzialmente in qualsiasi tempo ed in qualsiasi luogo, usando gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione, con il solo obbligo di rispettare i tempi e le dead-line di volta in volta stabilite sul progetto specifico.

Da un punto di vista di modello cognitivo questo nuovo approccio propone la necessità di ridisegnare il rapporto, in chiave lavorativa e di ruolo, tra libertà e vincoli.

Da un lato infatti si aprono per lo smart worker ampi spazi di libertà, dovuti al cadere dei confini tradizionali del lavoro: c’è maggiore libertà di luogo, di tempo, di modalità di lavoro. Il lavoratore nomade si svincola anche da tutto la rete di copioni relazionali legati alla frequentazione quotidiana dello spazio lavorativo (riti, riunioni, pause caffè). Nuovi spazi di libertà si aprono anche in seguito all’inevitabile (meglio, auspicabile) allentarsi del controllo del capo sul lavoratore (vedi risposta alla domanda successiva)

D’altra parte rimane certo molto alto e anzi si arricchisce di intensità il tema del vicolo stringente sui risultati (e non può che essere così).

L’area intermedia tra libertà e vincoli è invece molto più sfumata e lì si pongono tutte quelle interazioni organizzative, con i colleghi, capi, collaboratori che nel nuovo terreno delle comunicazioni digitali e da remoto vanno un po’ ridisegnate.

Per Marco Minghetti SMART WORKING

In questo modificarsi delle aree di libertà e vincoli legati al ruolo e al lavoro si pongono quindi 3 punti di attenzione fondamentali che ridisegnano il contorno dell’azione del lavoratore nomade ed il suo rapporto con l’organizzazione (e costituiscono appunto un nuovo modello con cui confrontarsi)

  1.  Nell’area di nuova libertà che si apre per il lavoratore bisogna fare attenzione (paradossalmente) a ridefinire nuovi confini, perchè il lavoro non si espanda fino a fagocitare tempo e spazi privati dedicati e riservati ad altri ruoli (quelli della vita privata e famigliare). E’ opportuno inoltre verificare e rafforzare nel lavoratore nomade nuove e più raffinate competenze di self-management, auto-organizzazione, time management che gli consentano di autogestirsi in questa area di libertà;
  2. Nell’area che rimane caratterizzata dai forti vincoli (quella dei risultati) occorre esercitare con molta chiarezza e definire in modo netto una delega responsabilizzante costruita sui risultati;
  3. L’area intermedia che sta tra nuove libertà e nuovi vincoli e che nell’epoca della digital transformation è fatta di interazioni mediate dai nuovi canali comunicativi (call, webinar, meeting da remoto, chat, mail, …), è un’area nella quale costruire nuovi accordi per regolamentare l’interazione del collaboratore con il manager e con le altre figure e ruoli dell’organizzazione (soprattutto per quanto riguarda la definizione di regole riguardanti le modalità comunicative e l’utilizzo dei diversi canali di comunicazione disponibili).

M.M.:  Come e perchè lo Smart Work ridefinisce i rapporti fra manager e collaboratore?

Dal punto di vista del rapporto manager-collaboratore lo Smart Working porta innanzitutto a dover ridisegnare e ridefinire (alla luce dei nuovi parametri di descrizione di libertà e vincoli citati sopra) le forme e modalità di controllo che il manager esercita sui suoi sottoposti: occorre separare con nettezza il controllo sul risultato dal controllo sulla persona (come riassunto nella tabella riportata qui sotto).

2 Per Marco Minghetti SMART WORKING

Il paradigma del controllo, legato a forme di management per così dire più “tradizionali” e ancora radicate, andrebbe rivisto. Questo, facile a dirsi, non è altrettanto facile a farsi perché scardina un’abitudine al controllo e ad uno stile direttivo di management rimane molto radicata anche oggi (tanto che le ricerche sull’affermazione dello Smart Working in Italia ribadiscono che la paura di perdere il controllo delle proprie risorse è una delle prime tre barriere riscontrate nei progetti di Smart Working).

M.M.: Cosa sostituire al paradigma del controllo, in un processo che ridisegni i rapporti tra manager e collaboratore?

Dal nostro punto di vista, la Fiducia è la risposta.

Fiducia intesa in vari modi:

1) La costruzione di rapporti basati sulla fiducia reciproca è il primo necessario passo per lasciar andare parte controllo manageriale e costruire vera responsabilizzazione del lavoratore su ciò che conta davvero, e cioà sui risultati attesi dall’organizzazione

2) Come dice Glenn Urban “Fiducia significa essere vulnerabili senza sentirsi in pericolo”. Il mondo dello Smart Working richiede al manager di rendere la sua posizione stessa più vulnerabile, di rinunciare a certi privilegi, formalismi e protezioni, di mettersi alla pari, in un open space condiviso, di accettare di non essere quello che ne sa di più o quello che sa prima degli altri. Accettare questa condizione di “vulnerabilità” in modo trasparente e credibile, ammettendo a volte difficoltà e debolezze (ad esempio sul versante delle nuove tecnologie), può aiutare a ridisegnare il rapporto del manager con i suoi collaboratori in modo funzionale alle nuove condizioni

3) Così come il manager dovrebbe alimentare il clima di fiducia mostrando alcuni suoi lati più “vulnerabili” ed avvicinando in questo modo le relazioni, altrettanto andrebbe fatto da un punto di vista di tolleranza all’errore. Un ambiente in cui l’errore (quello naturalmente non dovuto a dolo o negligenza colpevole) viene non solo tollerato, ma evidenziato, comunicato, valorizzato ed utilizzato come uno strumento di apprendimento per l’organizzazione, è un vero ambiente di fiducia in cui l’organizzazione impara in fretta e in modo agile può rispondere alle nuove esigenze del mondo smart.

M.M.: Quali sono le competenze dello smart worker (e dello smart manager)?

Iniziamo dalle competenze che più in generale lo smart worker dovrebbe avere e che a maggior ragione il manager dovrebbe saper maneggiare (tanto più se anch’esso smart worker):

1) Capacità di mantenere il Focus

Più che una competenza è una necessità di approccio più ampia, per sopravvivere all’interno di un mondo frammentato, sottoposti al sovraccarico informativo e alla disgregazione dei confii spazio temporali del lavoro.

Mantenere il Focus significa avere consapevolezza e saper agire a livello del Ruolo. Creare una distinzione il più possibile netta tra i diversi ruoli agiti, dividere in modo ottimale gli spazi ed i tempi dei vari ruoli (professionale e personale) per non creare commistioni e sovrapposizioni poco produttive e poco funzionali (chiedersi dunque: in che ruolo sono adesso? Come quello che sto facendo contribuisce in modo determinante a conseguire i miei obiettivi di ruolo?).

2) Ordine e organizzazione per gestire il rischio di sovraccarico informativo

L’ordine e la capacità organizzativa sono imprescindibili per il lavoratore nomade, perché permettono di difendersi dall’accumulo di informazioni; di archiviare e poi ritrovare facilmente tutti i dati, gli oggetti e le notizie di cui c’è bisogno, se e quando ce n’è bisogno; di eliminare o accantonare quelle informazioni che sono superflue o ininfluenti.

3) Nuovi asset per la gestione del tempo (piccoli trucchi per una gestione del tempo 4.0)

Per ridurre i rischi connessi con l’eccesso di connettività ed imparare a padroneggiare e usare a proprio vantaggio la tecnologia, non diventarne schiavi, a non inseguire stimoli e richieste che arrivano dall’esterno e che spostano il focus da ciò che è importante.

4) Padroneggiare i nuovi canali comunicativi e le nuove competenze comunicative digitali

Dato che la comunicazione e le informazioni viaggiano ormai anche su nuovi canali e che questi nuovi canali (mail, chat, video-conference, …) hanno caratteristiche, modalità di funzionamento, linguaggi, peculiari, lo smart worker deve conoscerle, e non solo, dovrebbe sapere anche, in base alla tipologia di messaggio che vuole trasmettere, quale canale è più opportuno utilizzare (e quali sono le conseguenze dell’aver utilizzato il canale non adeguato al messaggio da trasmettere)

Se queste sono le competenze base che lo smart worker dovrebbe possedere per muoversi nel nuovo mondo organizzativo smart, va da sé che al manager spettano anche, ad un livello più alto, tutte le responsabilità relative al far sì che i propri collaboratori possano possedere, apprendere e consolidare queste competenze.

Al di là delle competenze operative elencate qui sopra, ci piace sottolineare una caratteristica che dal nostro punto di vista dovrebbe avere il manager smart: una competenza che va al di là dell’operativo, è più legata alla gestione “umana” delle risorse, che si rende a maggior ragione necessaria in un mondo in cui la tecnologia e nuove forme di interazione a distanza tendono a rendere fredde e distanti le interazioni.

Il lavoratore smart si confronta con forme di sradicamento e senso di perdita di certezze che aumentano il bisogno di un certo “calore” manageriale, e questo rende paradossalmente ancora più importante per il manager smart il presidio sui fattori umani e gli aspetti relazionali ed emozionali. Abbiamo chiamato nel libro questa competenza manageriale del manager smart “Prossimità”, intendendo con questa parola non la vicinanza fisica ma la capacità di cogliere esigenze da segnali deboli e farsi interprete dei bisogni ed aspirazioni delle proprie risorse con particolare sensibilità e calore relazionale, e di dare appunto particolare valorizzazione alle interazioni umane e di persona, in un mondo smart digitale e virtuale.

Un estratto del libro

La gestione dello smart worker: protocolli logistici, organizzativi e gestionali

Il lavoratore ed il manager smart si muovono in un contesto caratterizzato da variabili logistiche, organizzative e gestionali che sono differenti da azienda ad azienda. Si tratta di parametri che il manager o il lavoratore solitamente non possono modi care e sui quali non possono agire direttamente, ma che comunque vanno presidiati e tenuti in considerazione sia perché possono costituire un substrato più o meno fertile ed adeguato alla creazione di una cultura di management smart, sia perché possono presentare opportunità o vincoli speci ci con cui è necessario confrontarsi nell’operatività quotidiana.

Spazi al lavoro

La rivisitazione in chiave moderna del design degli uffici può portare ad ottenere sensibili vantaggi in termini di transizione verso modalità di gestione smart. Diversamente dagli uffici tradizionali dove gli spazi sono allocati ad personam e fissi nella loro destinazione d’uso, l’ambiente dello smart of ce tende ad avere spazi flessibili, organizzati secondo le finalità d’utilizzo ed attrezzati al meglio per lo svolgimento delle attività relative. Saranno dunque presenti:

  • aree di lavoro individuali;
  • aree riunioni essibili;
  • piccole sale meeting;
  • aree caffè e per incontri informali;
  • spazi riservati e silenziosi per call conference o lavoro individuale;
  • aree destinate a risorse condivise (es. cancelleria);
  • spazi essibilimultifunzione.Per rendere efficace la gestione ed il funzionamento degli spazi all’interno di queste nuove coordinate sono necessarie alcune regole base di utilizzo e condivisione:
  • regola della scrivania pulita: le postazioni di lavoro comuni devono essere lasciate libere da oggetti e documenti personali;
  • rotazione e cambiamento periodico delle postazioni: garantire un avvicendamento reale delle persone sulle diverse scrivanie evita che si veri chino casi di “appropriazione indebita”, frutto del riproporsi delle vecchie abitudini “stanziali” e non nomadi;
  • sistema di prenotazione delle meeting room efficiente, chiaro e condiviso e ben funzionante: permette di sfruttare al meglio tutti gli spazi disponibili, evitando sovrapposizioni o parziale utilizzo;
  • sistema di archiviazione dei documenti in chiave “smart” cioè in forma digitale e non cartacea (la presenza ancora massiccia di archivi ingombranti e old-style fanno sì che anche in organizzazioni che hanno adottato protocolli smart anche per la sede, alcune funzioni, come per esempio l’amministrazione, siano ancora detentrici di uno spazio dedicato e non condiviso (certo anche per motivi di delicatezza dei dati trattati, privacy, ecc… ovviamente, non solo per motivi di ingombro dei documenti)

Spazi fuori dal lavoro

La ristrutturazione degli spazi dell’ufficio tradizionale si accompagna al fatto che una crescente porzione del lavoro viene svolta al di fuori ed oltre l’ufficio:

  • in uffici di altre persone (clienti, enti, fornitori);
  • nei caffè, hall di hotel, sale d’attesa;
  • in casa;
  • in mobilità: treno, aereo, ecc.

Va da sé che questo è reso possibile se e solo se il lavoratore è messo in condizione di avere strumenti affidabili, sicuri, veloci, velocemente connessi. Che tipo di scelta fa l’organizzazione in tal senso? Fornisce ai suoi lavoratori gli strumenti tecnologici necessari oppure lascia la libertà di utilizzare mezzi personali (il famoso BYOD – Bring Your Own Device)? E se viene percorsa la seconda opzione, come questa è resa compatibile con la necessità di sicurezza e tutela dei dati?E non si tratta solo di sicurezza informatica: utilizzare dispositivi mobili in modo inapproppriato o fuori dagli spazi deputati presenta fortissimi rischi anche da un punto di vista della sicurezza e salute della persona.

Si pensi ai rischi posturali di postazioni di lavoro non conformi o, in modo molto più drastico, ai rischi di infortunio (e al costo, poi anche organizzativo oltre che sociale) derivanti da comportamenti non sicuri come l’uso improprio dello smartphone per mandare messaggi o controllare le e-mail mentre si è alla guida. L’azienda si è premunita ed ha fornito strumenti di sensibilizzazione in questa direzione?

Un altro punto nodale in ambito informatico è rappresentato dal sistema di assistenza: se le persone lavorano da remoto il servizio assistenza e l’help- desk dovrebbero essere strutturati in modo da essere accessibili, funzionali e garantire risposte ed interventi snelli e veloci.

Allargando ancora di più l’orizzonte vanno inclusi in questa lista dei protocolli logistico-organizzativi tutti gli interventi formativi specifici che l’azienda dovrebbe sostenere e portare avanti per facilitare e fluidi care i processi di conversione allo Smart Working:

  • L’azienda ha svolto o programmato interventi formativi che accompagnino la conversione del lavoro in chiave smart?
  • Ha chiarito il senso dei vari interventi logistico-organizzativi ai vari livelli dell’azienda?
  • Ha fatto formazione sulle nuove norme comportamentali attese e che devono accompagnare l’eventuale rinnovamento degli spazi?
  • Ha sostenuto il cambiamento con una formazione di lungo periodo?
  • Ha rafforzato le competenze digitali soprattutto di quelle generazioni coinvolte dal processo riorganizzativo ma magari non così a loro agio con le nuove tecnologie?
  • Ha sostenuto i manager, accompagnandoli in una reinterpretazione de loro ruolo e rafforzando in chiave smart le loro competenze gestionali?

Se tutto ciò non è avvenuto, o è avvenuto in modo non chiaro o non completo, è evidente che si apriranno poco a poco all’interno dell’organizzazione delle crepe nelle quali si inoltreranno, come piccole gocce in un muro, le vecchie abitudini organizzative e le vecchie modalità di lavoro. Queste con effetto lento ma dirompente ed inesorabile faranno crollare la facciata smart di quelle organizzazioni che non avranno saputo accompagnare adeguatamente e strutturalmente il processo, metteranno a nudo l’aspetto solo fashion e superficiale di certi interventi “smart” oltre che rivelare in modo evidente le incoerenze organizzative e gestionali di cui parlavamo proprio all’inizio di questo capitolo.

La gestione dello smart worker: vademecum operativo

Nel delineare i tratti distintivi del manager smart e nel passare in rassegna alcuni protocolli organizzativi più ampi e di contesto, l’intento era di fornire un indirizzo macro che orientasse l’azione del manager e lo aiutasse a reinterpretare il senso del proprio ruolo all’interno di nuove coordinate. Abbiamo nel corso del capitolo affermato che un manager smart deve orientare la sua azione sulla base delle linee guida e dei principi chiave di Organizzazione, Capacità di Empowerment, Flessibilità, Inclusione e Collaborazione, Prossimità, inseriti in un sistema di relazioni permeato di ducia e responsabilizzazione. All’interno di questa cornice più ampia proviamo ora a fornire indicazioni molto operative e pratiche da applicare nella gestione quotidiana, suggerimenti che siano di supporto al manager per:

  • tenersi in contatto con le proprie persone;
  • organizzare gli spazi per le interazioni;
  • gestire le comunicazioni e le informazioni;
  • gestire il tempo.

Eccone elencate alcune (quelle a nostro avviso più interessanti e utili)

1) Utilizzare gli spazi dell’incontro fisico e la comunicazione analogicaIl manager si trova innanzitutto alle prese con una ricodificazione dello spazio in cui cambiano ovviamente anche i messaggi psicogeografici collegati allo spazio stesso.

È evidente che il messaggio del capo nel suo grande ufficio isolato dal resto dell’azienda (l’immagine del megadirettore galattico di fantozziana memoria emerge inevitabile) è ben diverso rispetto al caso del manager confuso all’interno dell’open space o magari dislocato su postazioni mobili e non esclusive.

Ma non è solo il manager a cambiare spazi fisici di azione e non è solo intorno al suo ruolo che la codifica cambia e assume significati differenti. Anche se ad oggi i lavoratori nomadi sono spesso ancora presenti all’interno dell’organizzazione è evidente che la tendenza sarà sempre più verso la dislocazione in spazi esterni con conseguente digitalizzazione della relazione.Gli ambienti dovranno quindi diventare sempre più funzionali e congrui al tipo di comunicazione che si deve realizzare, mentre nuovi significati e nuove codi che andranno attribuite ai diversi luoghi, fisici e virtuali, dell’incontro (sale siche per meeting reali; luoghi raccolti e silenziosi per conference-call e meeting a distanza; social network aziendali per incontri e scambi virtuali ecc.).

In un mondo in cui diventano sempre più numerose e frequenti le interazioni virtuali e da remoto, l’incontro e l’interazione sica diventano parallelamente meno necessari e quindi più rari, ma allo stesso tempo ancora più importanti e da valorizzare.

Nel mondo smart incontrarsi di persona diventa un’occasione da sfruttare, non tanto per entrare nel merito dell’operatività ordinaria quanto piuttosto per coltivare la relazione, scambiarsi feedback rotondi e completi sull’andamento delle cose, sul coinvolgimento, sulla motivazione. Rotondi e completi perché l’incontro dal vivo è l’unico che dà la possibilità di attingere a quella miriade di informazioni (la parte cosiddetta “analogica” della comunicazione, non-verbale, di sguardi, espressioni, posture) che l’interazione virtuale e “digitale” non riesce a dare (neanche in video conference).

Quando si incontra con i suoi il manager dovrà allora confondersi con loro, mescolarsi, mettersi sul loro piano, comunicare, chiedere, veri carne la motivazione, osservare le interazioni, far emergere e chiarire dubbi e zone d’ombra, porsi come il viaggiatore curioso di fronte allo spettacolo delle interazioni umane del suo team che molto probabilmente avrà avuto poca occasione di vedere e osservare da vicino. La capacità di osservazione attenta, di lettura empatica delle dinamiche, di veri ca della coerenza tra l’indizio non verbale ed il contenuto diventa allora una competenza cruciale, che va allenata e mantenuta per sfruttare a pieno questi momenti di interazione “live”, dal vivo.

Altra capacità che il manager deve allenare è quella dell’utilizzo del non-verbale (gesti ed espressioni del volto) e del para-verbale (tono e modulazione della voce) nella propria comunicazione, diventando abile nel gestire i messaggi che passano su canali analogici, in un mondo digitale. Quando si è in presenza sica dei collaboratori sarà cruciale fare uno screening della propria energia e di quanto essa stia fluendo ed influendo nella relazione con il collaboratore, riuscendo anche ad incanalarla per alimentarne l’efficacia. Sapendo che il nomade, che poi tornerà al suo lavorativo peregrinare, si alimenterà di questa energia e terrà traccia dei significati raccolti durante questi momenti di incontro.

2) Rafforzare le competenze di gestione del tempo (proprio e dei collaboratori)

Viviamo in un tempo liquido, dominato dalla frammentazione e dalla durata limitata degli istanti comuni e di incontro, segnato dall’incongruenza del convivere di istanti diversi nel continuum di un’unica interazione e dall’ambivalenza del poter essere nello stesso momento “qui ed ora” ma anche altrove grazie alle nuove tecnologie. Oggi più che mai all’interno dei team smart diventa una necessità ed una responsabilità del manager normare il proprio tempo e quello dei collaboratori e fornire un sapiente orientamento che dia a tutti le linee guida chiare ed univoche nelle quali non perdersi e non disperdere tempo. Per farlo è necessario:

  • stabilire deadline chiare e definite;
  • stabilire regole che definiscano come far sapere agli altri dove e quando si sta lavorando;
  • assicurarsi che esistano, e tutti sappiano usare ed usino, calendari e sistemi di agenda condivisa;
  • verificare che le scelte in termini di gestione del tempo non impattino in modo negativo su alcuni collaboratori in particolare (es. meeting in orari svantaggiosi per chi è fuori sede, o in sede, o per motivi di fuso orario, ecc.).Infine sarà opportuno intervenire sul rafforzamento delle competenze legate al time management, sia proprie che dei propri collaboratori. Non dimentichiamoci infatti che uno dei rischi collaterali connessi con la natura stessa del lavoro smart è proprio la perdita del riferimento temporale che impatta come e forse anche di più di quella spaziale sul senso di smarrimento che si può venire a creare nel lavoratore agile. L’esempio, simile nei contorni ma distante anni luce dal contesto del lavoro smart, è quello dell’impiegato che giunto al suo primo giorno di pensione non sa cosa fare di tutto il tempo libero che gli si prospetta. Il paragone è volutamente paradossale – soprattutto visto il progressivo allontanarsi dell’orizzonte temporale ed anche concettuale della pensione per le generazioni odierne – ma la sensazione di smarrimento presenta delle similitudini chiare. Bisogna pertanto fornire alle persone strumenti per gestire il proprio tempo in autonomia con maggiore efficacia.

3) Costruire nuove competenze digitali e ottimizzare l’utilizzo degli strumenti tecnologiciAnche in quest’ambito il manager ha responsabilità gestionali precise e dovrà:

  • fare in modo che siano de nite in modo rigoroso le modalità di utilizzo dei sistemi di gestione documenti, cloud computing, condivisione les;
  • valutare in modo oggettivo le competenze digitali di ciascuno e colmare le eventuali lacune;
  • tenersi sempre aggiornato in termini di strumenti digitali e possibilità offerte dalle nuove tecnologie.

4) Rivedere il modo di gestire le riunioni

Questa parte merita probabilmente un po’ più di spazio. Molte persone all’interno dell’organizzazioni lamentano un “eccesso di meeting” e certamente in numerose aziende italiane il fare meeting o la cultura del meeting sembra essere dominante rispetto al fatto di garantire efficacia vera ai meeting stessi. Il tema, complesso e delicato, è legato al discorso dello Smart Working per almeno 2 motivi:

  1. il primo motivo è che proprio le riunioni fanno parte di quelle costrizioni sociali e organizzative da cui lo smart worker rifugge e di cui ha la possibilità di liberarsi. Una affermazione ricorrente in tal senso, e strettamente legata a forme di lavoro smart, è che le giornate di lavoro da casa, o in luoghi altri rispetto all’ufficio sono molto più proficue e redditizie intermini di ROI (Return On Investment) temporale. Motivo principe di questo sta proprio nel fatto che il tempo fuori dall’ufficio è – almeno parzialmente – libero dalle riunioni, che in molte aziende sono troppe e non tutte necessarie;
  2. il secondo motivo è che proprio a causa del proliferare incontrollato dei meeting da un lato, e grazie dall’altra parte alla disponibilità di moderne tecnologie e di una costante connessione con il mondo, le persone presenti fisicamente alle riunioni occupano uno spazio fisico (quello della riunione, appunto) ma spostano la loro produttività (sia pure ridotta e in parte limitata) ad altri luoghi virtuali di lavoro. Sono cioè presenti alle riunioni, ma fanno altro.Piccola nota a margine: quando accade – e in talune aziende non solo accade, è la norma – di vedere durante i meeting pc aperti, partecipanti che mandano mail o lavorano ad altro, ricevono o fanno telefonate, consultano sms o messaggistica varia, a noi sembra che possa essere un segnale sufficientemente chiaro da cui partire per interrogarsi sull’efficacia, probabilmente non elevata, di quella riunione. Si potrebbe trarne spunto per riflettere sulla struttura della riunione in questione (obiettivo, durata, ordine del giorno), sul livello di coinvolgimento e sulla effettiva necessità di partecipazione di tutti i presenti, oppure semplicemente sulla necessità di una definizione più rigida di norme di buon comportamento e di rispetto reciproco all’interno delle riunioni.Non è questo il luogo per trattare il tema di come organizzare una riunione per ottimizzare l’efficacia. Limitiamoci solo ad un veloce reminder dei principi chiave e delle domande obbligatorie da farsi prima di un meeting:
  1. Quale è l’obiettivo di questa riunione?
  2. Chi è fondamentale che sia presente?
  3. Che tipologia di meeting scegliere? Virtuale o reale?Partendo dal punto 1 ricordiamo che è possibile identificare, in base all’obiettivo, almeno 3 tipologie di riunione: informativa, decisionale, esplorativa. Individuata la tipologia di meeting discendono a cascata le risposte alle successive domande circa i partecipanti da invitare (domanda 2) e la tipologia di meeting da realizzare (domanda 3).

Una riunione informativa ha come obiettivo il fatto che tutti i partecipanti escano dalla riunione con un bagaglio di informazioni esaustive e complete sull’argomento trattato. È dunque una riunione tendenzialmente divulgativa e monodirezionale, cui possono accedere anche molti partecipanti, magari anche da remoto.

Una riunione decisionale invece ha come obiettivo, o output desiderato, che si arrivi ad una decisione de nita su un dato problema e che una volta uscite dalla riunione le persone sappiano cosa fare nel merito del loro ruolo per l’implementazione di quanto deciso. Sarà una riunione auspicabilmente molto dibattuta, dove il numero di partecipanti non potrà essere molto ampio (10 persone al massimo, come linea guida) se non a scapito di una perdita di ef cacia; l’opzione di riunione “in presenza” sarà sicuramente da preferire, per facilità di dibattito e scambio di idee, laddove non subentrino impedimenti o distanze o costi tali da rendere il meeting virtuale l’unica opzione disponibile.

Per la riunione esplorativa l’obiettivo è di avere il maggior numero di idee su un dato tema o esplorare e disegnare insieme vari scenari possibili. Il numero dei partecipanti dovrebbe essere contenuto (vale la regola indicativa delle 10 persone) e sarà interessante far sì che siano presenti persone di luoghi e funzioni diverse, che portino nel dibattito sguardi molteplici e variegati sul tema. È ovvio che scegliere se la riunione sarà “reale” o virtuale dipenderà molto dalla dislocazione geografica dei possibili partecipanti.

La classificazione per tipologia ed il metodo delle 3 domande forniscono una linea operativa chiara, che permette di ridurre l’improvvisazione e di utilizzare in modo efficace ed efficiente i nuovi strumenti di virtual-meeting che la tecnologia mette a disposizione.

Alle 3 domande vanno aggiunte queste semplici regole pratiche per completare l’ottimizzazione e cogliere tutte le opportunità offerte dai sistemi di meeting in chiave smart:

  • ridurre i meeting in presenza e limitarli a quando strettamente funzionali;
  • condensare i tempi delle riunioni, per non disperdere energie e guadagnare in efficienza e anche in efficacia;
  • ottimizzare i vantaggi che derivano dai momenti di interazione in presenza che, proprio perché più ridotti come numero, risulteranno, o dovrebbero risultare, più focalizzati nei contenuti;
  • sostituire alcune riunioni strutturate e formali con interazioni più brevi, informali e mirate, di persona o on-line;
  • ridurre il numero di persone presenti ad un meeting a quelle realmente necessarie.

Per quest’ultimo punto la tecnologia ci viene in aiuto… grazie ad un suo limite: ammesso anche che nei meeting virtuali ormai i sistemi supportino la presenza di un numero crescente di partecipanti, la gestione dell’interazione e del coordinamento degli interventi risulta talmente complessa da mettere a dura prova la pazienza e la concentrazione. L’inefficacia di meeting con troppi partecipanti, già nota nei meeting in presenza – salvo quelli informativi – ma spesso trascurata per eccesso di “zelo”, risulta nei meeting virtuali ancora più evidente e conclamata.